Formazione
Don Lorenzo Milani e la ministra Lucia Azzolina
Proprio nei giorni in cui il Governo lancia la sua strategia per la ripresa della Scuola ricorre l’anniversario della morte di don Milani, cosa vrebbe detto il priore di Barbiana? Nelle linee Guida approntate la società civile viene riconosciuta la possibilità di partecipare al sistema educativo complessivo per svolgere “attività di sorveglianza e vigilanza degli alunni”. Ve lo immaginate don Lorenzo delegato alla sorveglianza e vigilanza in collaborazione con il sistema scolastico formale?!
Chissà come il parroco di Barbiana avrebbe affrontato la questione della DAD, di alunni dentro ed alunni fuori, di una scuola che fatica da decenni ad essere missione ed ora anche ad essere un semplice servizio uguale per tutte e tutti.
La principale lezione di Barbiana viene da una reazione ad una percentuale che don MIlani trovò semplicemente sconvolgente: i figli degli operai e dei contadini venivano bocciati con molta più facilità e frequenza dei figli dei ricchi. Lui non la chiamò povertà educativa, semplicemente disuguaglianza sociale. Le sue tabelle statistiche riportate con una lucidità straordinaria sui ciclostile parrocchiali riportavano due variabili in relazione tra loro: “mestiere del Babbo” e “ragazzi persi alla scuola tra quinta elementare e prima media”. Il dato era lampante: il 78,9% erano figli di contadini, il 15,8% erano figli degli operai. I “figliuoli dei ricchi” erano dispersi per meno dell’1,4% (Lettera ad una professoressa, 1967). Anche da quella lettera, scritta in modo corale come un’esercitazione degli allievi della Scuola di Barbiana, prende le mosse la rivoluzione del ‘68 per la riforma sociale del sistema scolastico ed universitario, una riforma che puntava a dare ampio spazio alla vera mobilità delle classi sociali prevista nella costituzione del ‘48.
Quando scoppia la pandemia del 2020 l’Italia è alle prese con una ancora più grande crisi del sistema scolastico e della povertà minorile e con un immobilismo pressoché assoluto delle classi sociali, una definizione che sebbene sia sparita dal vocabolario del politicamente corretto resta immutata nei fatti: i figli dei poveri, nonostante una scuola “uguale per tutti“, restano al palo più di prima.
Le percentuali ricordate dalle diverse alleanze che hanno condiviso il manifesto “educAzioni. 5 passi per contrastare la povertà educativa e promuovere i diritti delle bambini, dei bambini, degli e delle adolescenti” sono ancora più allarmanti di quelle raccolte alla buona da quel sacerdote impegnato:1.260.000 minorenni in povertà assoluta (Istat 2018); 12,5% dei bambini 0-2 hanno accesso ad un asilo pubblico comunale, con gravissimi squilibri territoriali (24,8% in Emilia Romagna e 2,1% in Calabria); complessivamente il 24,7% dei bambini 0-2 hanno accesso ad un servizio pubblico o privato (Istat 2017/2018); 14,5% degli adolescenti usciti prematuramente dal circuito scolastico (Istat 2018); 13,5% dei giovani abbandonano prematuramente gli studi (Istat 2019); 24% dei quindicenni non raggiungono competenze minime in matematica (Ocse-Pisa 2018); 12,3% dei ragazzi 6-17enni vive in case prive di pc o tablet (Istat 2018/2019)
Di fronte a questa débâcle del welfare e del sistema scolastico il Governo cerca di correre ai ripari con mezzi e strumenti che non gli sono familiari, prova ad allargare il raggio di azione in modo innovativo, ma poi di fronte alla porta vuota sbaglia il rigore.
Nelle linee guida presentate dalla ministra Azzolina c’è un dato che avrebbe dovuto trovare infatti piena condivisione nella scuola rurale messa in piedi da don Lorenzo: “La scuola a settembre deve riaprire non solo in ottica di sicurezza – ha dichiarato la Azzolina – ma in un’ottica nuova, deve essere una scuola più aperta, più inclusiva. Questo ci chiedono gli studenti e le studentesse, di fare scuola anche fuori dalla scuola: nei cinema, nei teatri, nelle biblioteche, nei parchi”.
Ci siamo! La palla è messa bene sul dischetto. Ma quando il governo parla dei corpi intermedi ecco che la palla viene tirata irrimediabilmente fuori dai pali. Alla società civile viene riconosciuta la possibilità di partecipare al sistema educativo complessivo per svolgere “attività di sorveglianza e vigilanza degli alunni”.
Ve lo immaginate don Lorenzo delegato alla sorveglianza e vigilanza in collaborazione con il sistema scolastico formale?!
E’ tutto qui l’errore di un’idea che parte bene ed atterra male: l’idea che l’educazione si esaurisca nella scuola e che l’emergenza Covid richieda solo la ricerca di nuovi spazi a disposizione per “allargare” le mura. Un po’ come si fa nella finanza creativa quando un brutto debito, la cui cifra se conosciuta farebbe perdere di colpo tutti gli investitori, diventa un debito meno brutto solo perchè messo sulle spalle di altri ignari azionisti che non conoscono tutte le caratteristiche del debito di origine.
Se si sposta la débâcle dagli edifici scolastici ai musei ed alle biblioteche non abbiamo risolto alcun problema, lo abbiamo semplicemente spostato altrove con una fantasia bizzarra per cui il “posto” nuovo diventa improvvisamente “luogo”.
Come ci insegnano gli antropologi come Augè, perchè un museo, un cinema o una biblioteca diventi “luogo educativo” non serve che il contenitore “scuola” si sposti, ma che si innovi il legame tra un ragazzo ed un museo, tra un adolescente ed il cinema, tra un bambino ed una biblioteca. Perchè questo avvenga è fondamentale non tanto portare i banchi altrove ma costruire relazioni significative ed efficaci. Chi può farlo? Insegnanti, personale ata, personale amministrativo, tutor scolastici? Anche, ma non solo. Perchè un cinema dica qualcosa di nuovo ad un ragazzo quel cinema deve “parlare” e potrà parlare solo se chi “abita” quel cinema ( un’associazione culturale del quartiere, un movimento, un gruppo di anziani esperti e volenterosi, il gestore di un circolo) parlerà a quel ragazzo e stringerà una relazione tra persona ed ambiente all’interno di un contenuto scolastico che si rinnova nel nuovo contenitore.
In altre parole perchè la Scuola di Barbiana, oggi come allora, parli ad un giovane non basterà che la scuola ufficiale trasferisca il suo sistema formale nelle aree rurali della Toscana ma urge che la scuola faccia parlare quelle aree rurali con i ragazzi, che valorizzi il patrimonio naturale e storico, il patrimonio di pensiero e di lavoro, attraverso la comunità che abita ed anima quei luoghi, e questo può avvenire solo se il Governo si decide a considerare la società civile così come normata dalla riforma del Terzo Settore: un sistema che “condivide la funzione pubblica” al pari del sistema pubblico. Proprio come ha sancito la Corte Costituzionale in questi giorni, con la sentenza n.131 depositata il 26 giugno, giorno dell’anniversario della morte di don Lorenzo. Per la Corte Costituzionale il dialogo tra sistema pubblico e sistema del terzo settore è un modello che si fonda «sulla convergenza di obiettivi e sull’aggregazione di risorse pubbliche e private per la programmazione e la progettazione, in comune, di servizi e interventi diretti a elevare i livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, secondo una sfera relazionale che si colloca al di là del mero scambio utilitaristico».
Il governo faccia ripartire la scuola da domani, prima ancora che dal 14 settembre.
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