Salute

Don Gnocchi, presa in carico globale e tecnologia d’avanguardia per gestire la cronicità

Una delle best practice sul numero del Magazine in distribuzione per raccontare chi dà risposte concrete a bisogni sanitari che fino ad oggi sono in larga misura rimasti orfani. L'intervista all’ingegner Marco Campari, consigliere delegato della Fondazione Don Gnocchi

di Sara De Carli

«Prendere in carico il paziente vuol dire seguire il paziente quando necessita di un cambiamento di setting assistenziale. Il difficile non è seguire il paziente quando è nella Rsa, quando è nel centro diurno o al domicilio… ma seguire il paziente nel suo percorso, aiutarlo a percorrere il giusto cammino», l’ingegner Marco Campari, consigliere delegato della Fondazione Don Gnocchi, riassume così la sfida più grande che la sanità ha oggi di fronte, quella della cronicità. Lui ha più di quarant’anni di esperienza nella consulenza strategica, organizzativa, contabile e gestionale della sanità e dal 2009 è membro del Consiglio di amministrazione della Fondazione Don Gnocchi. La Don Gnocchi oggi è una realtà specializzata in ogni forma di riabilitazione, nell’assistenza agli anziani fragili e alla disabilità complessa. Nel 2015, con i suoi 5.600 fra dipendenti
e collaboratori, ha erogato 330mila giornate di degenza ospedaliera e 580mila trattamenti ambulatoriali ospedalieri, mentre sul fronte extraospedaliero ha superato il milione di trattamenti ambulatoriali.


Cronicità e innovazione tecnologica: la peculiarità della Fondazione Don Gnocchi è quella di tenere insieme due temi così attuali e contemporaneamente così distanti…
La cronicità e la riabilitazione assistita con le alte tecnologie sono temi nei quali siamo profondamente coinvolti. La cronicità perché comporta la presa in carico del paziente, che è per definizione un paziente polipatologico e che necessita di assistenza in diversi setting. Per fare tutto ciò è necessario che l’organizzazione sia supportata da sistemi informativi, perché la memoria della storia del paziente è fondamentale per la continuità assistenziale. La Fondazione Don Gnocchi si è dotata di un potente strumento informativo che consente di seguire con grande facilità il percorso del paziente: questi strumenti sono in fase di applicazione
e si diffonderanno in tutti i Centri. È un investimento molto grosso ma per noi è un elemento qualificante, che nel tempo ci consentirà di garantire un notevole livello di assistenza.

I mutilatini di don Carlo oggi sono diventati gli anziani, i disabili, le persone in stato vegetativo… soggetti che forse più difficilmente trovano risposte nel pubblico. Perché e per quale ragione voi invece ve ne fate carico?
La Fondazione Don Gnocchi grazie alla visione del suo fondatore ha accolto una popolazione che non
era da ricovero ospedaliero ma da assistenza. Perciò ha occupato uno spazio che tecnicamente è quello dei post acuti, fuori dagli ospedali. La sanità pubblica invece storicamente si è concentrata nell’assistenza acuta, perché gli acuti erano la prevalenza dei malati: se va a rileggere la legge fondativa del Sistema Sanitario Nazionale, la n. 833 del 1978, vedrà che è tutta concentrata sui posti letto negli ospedali, di cronicità non si parlava. La presa in carico non era nella missione del Ssn. Adesso invece, con l’aumento così rapido dell’età, i pazienti cronici sono diventati una popolazione importante: i pazienti cronici sono moltissimi, costano molto e consumano una larga quota del fondo sanitario nazionale.

Diceva che la cronicità e la presa in carico hanno un costo molto elevato. Quanto?
È una domanda complessa. La Lombardia ha emesso una legge
con cui ha fatto un salto nel futuro,
è la prima regione in cui possiamo sperimentare la presa in carico e la continuità assistenziale. Noi, che 
in Lombardia abbiamo quasi la 
metà dell’attività, stiamo valutando insieme alla Regione proprio quanto costa questa presa in carico, che non è il costo delle prestazioni ma dell’accompagnare il percorso.
 La Regione ha fatto un’ipotesi: considerate tutte le prestazioni che in un anno vengono erogate al paziente cronico, l’8% della somma è quello da destinare alla presa in carico. Noi stiamo verificando questi numeri all’interno della nostra realtà.

L’altra faccia è quella tecnologica, che appartiene da sempre alla Fondazione: don Gnocchi parlava di riabilitazione in un tempo in cui tutti pensavano solo all’assistenza…
Adesso ad esempio lavoriamo insieme al Sant’Anna di Pisa per la robotica e all’IIT di Genova per lo sviluppo di sistemi avanzati per la riabilitazione. Abbiamo sette centri che stanno sperimentando la robotica nella riabilitazione degli arti superiori, mentre il centro sperimentale di Roma sta iniziando a lavorare anche sugli arti inferiori. La robotica pare dare un notevole contributo, perciò stiamo mettendo a punto delle isole robotiche, con un fisioterapista che potrà seguire 3 o 4 robot a seconda della complessità del paziente. Nell’ambito dell’assistenza domiciliare abbiamo un kit di teleriabilitazione a domicilio, che abbiamo appena presentato al presidente Mattarella: le prime sperimentazioni sono in corso in Piemonte e in Basilicata. Poi abbiamo un CareLab, che utilizza la realtà virtuale per la riabilitazione pediatrica.

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Quanto investe la fondazione per queste tecnologie nella riabilitazione?
Poco più di un milione all’anno per le macchine, poi ci sono i costi dei tecnici che devono imparare ad utilizzarle. Abbiamo avviato da poco dei corsi per fisioterapisti che vogliono conseguire il grado di utilizzo dell’alta tecnologia.

La tecnologia è un contributo per la sostenibilità?
Ci sono molte opportunità, in particolare penso al controllo a distanza. La cronicità porterà a un utilizzo maggiore del domicilio, sia perché non possiamo costruire strutture per tutti sia perché la permanenza in struttura costa. Al domicilio però è necessario
un controllo sul paziente: più la tecnologia riduce i costi del controllo a distanza, più è possibile controllare il paziente, con una centrale che 
può controllare molti pazienti.
 Su questo siamo molto attenti. Sperimenteremo anche il prototipo 
di un robot, EnrichMe, che è una specie di assistente… Le faccio un esempio: moltissimi anziani devono prendere pillole, il robot ti porta la pastiglia giusta all’ora giusta. Sembra una sciocchezza, ma la compliance sull’utilizzo del farmaco è determinate per verificare se funziona l’outcome sulla cronicità.

Dal punto di vista delle cure domiciliari, la sfida qual è?
Uno dei temi è stabilire fino a
che punto ci possiamo permettere
 di restare al domicilio. Il costo del ricovero in Rsa cresce in modo lineare man mano che aumenta la fragilità: più il paziente è fragile più costa, perché richiede più assistenza. Il domiciliare invece ha un costo non lineare: nell’area della bassa fragilità costa meno di una Rsa, ma da un certo punto in poi costa molto più. La sfida è portare quel punto sempre più avanti, per tenere a domicilio anziani sempre più fragili. Questo accadrà
se l’assistenza sarà integrata dalla tecnologia.

I dati ci dicono che la sanità pubblica non riesce più ad essere “per tutti”. Qual è il ruolo del non profit?
Il sistema è entrato in crisi quando la curva dell’invecchiamento è cresciuta: il privato oggi si trova di fronte a una domanda: la differenza è che mentre il profit tendenzialmente eroga prestazioni nella zona acuta e nella riabilitazione connessa al post acuto, è il non profit che si è portato nella cronicità oggi è in grado di dare un apporto davvero importante.

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