Organizzazioni non governative

Don Ferrari: «Non si può parlare di migrazioni senza ong e migranti»

Don Mattia Ferrari è il cappellano di Mediterranea Saving Humans la ong impegnata nel salvaggio dei migranti nel Mediterraneo che dopo aver incontrato il Papa ci dice: «Noi sosteniamo il valore politico della fraternità. E non ci sarà vera fraternità finché non saranno previsti nel dialogo tutti i migranti e tutti gli attivisti»

di Alessandro Banfi

don Mattia Ferrari con il team di Mediterranea Saving Huma e Bentolo
don Ferrari a casa Santa Marta da Papa Francesco con il team di Mediterranea Saving Humans

Don Mattia Ferrari è il cappellano di Mediterranea Saving Humans, che lui ritiene sia limitante definire solo come Ong. “Siamo e ci sentiamo un movimento popolare” spiega in questa chiacchierata con Vita.it. “Qualcosa di più che una semplice associazione non profit”. Don Mattia, 30 anni non ancora compiuti, è cresciuto nella parrocchia di Formigine, in provincia di Modena, è stato ordinato prete nel 2018. Oggi studia Scienze sociali all’Università Gregoriana di Roma. Ha scritto con Nello Scavo Pescatori di uomini per la Garzanti.

State cercando di proporre una “contro-narrazione” della Conferenza internazionale su sviluppo e migrazioni di Roma, che pure ha visto il coinvolgimento inedito di molti del Mediterraneo e dei leader europei…

Don Mattia Ferrari: A noi sembra che i grandi assenti a questi incontri siano proprio i migranti stessi e gli attivisti, coloro che si occupano sul campo di che cosa accade davvero. Parliamo di contro-narrazione perché oggi sui media prevale la narrazione dei potenti. Noi cerchiamo di rovesciare la prospettiva: vogliamo prendere il punto di vista degli ultimi, dei migranti stessi. Il rischio di sentire solo i governanti è evidente.

Eppure c’è chi ha visto nella Conferenza sulle migrazioni di Roma un cambiamento positivo: si è abbandonato il sovranismo della Fortezza Europa, per aprire un dialogo con i Paesi del Mediterraneo…

Don Mattia Ferrari: Il problema è proprio questo. Quando si parla di Tunisia, di chi parliamo?  Chi è l’interlocutore? È il popolo tunisino oppure un dittatore che impone la sua logica? Attenzione alla retorica del dialogo del Mediterraneo, perché anche in nord Africa ci sono capi di Stato e di governo che sono fortemente condizionati dalle logiche occidentali. Oggi il colonialismo assume le forme di un neo colonialismo economico, che porta condizionamenti veri ai bilanci degli Stati e alla loro organizzazione.

Voi con altri movimenti e associazioni avete organizzato un contro-vertice…

Don Mattia Ferrari: Sì, la cui logica è stata quella di far sentire la nostra voce, completamente assente al summit organizzato dal Governo alla Farnesina. Vista obiettivamente è un’enormità: si parla di migrazioni senza chi lavora sul campo in modo volontario, come le Ong, e senza raccontare chi sono i migranti dando loro voce, ascoltando le loro storie, le loro vite, le loro esigenze. Finché tutti non saranno coinvolti, sarà il segno che qualcosa non funziona nel meccanismo di questi vertici. Noi sosteniamo il valore politico della fraternità. E non ci sarà vera fraternità finché non saranno previsti nel dialogo tutti i migranti e tutti gli attivisti.

La logica che prevale è quella di parlare di migranti come di problemi, e non di persone…  

Don Mattia Ferrari: Sì, anche quando si constata l’ovvietà che in Italia manca la forza lavoro, a volte il discorso implicito è brutale: i migranti diventano “cose” che dobbiamo fare entrare perché funzionali alla nostra macchina economica… Tante volte il riflesso è proprio quello dello “scarto” come lo ha chiamato papa Francesco, denunciando questa realtà.

A proposito, so che lei ha visto recentemente il Papa…

Don Mattia Ferrari: Sono stato a trovarlo con un ragazzo camerunense, Bentolo (vedi qui il racconto di Avvenire) che avevo conosciuto in una situazione estrema. Lui aveva trovato il mio numero su internet mentre era in fuga dal suo Paese 3 anni fa. Catturato dai trafficanti in Libia, era entrato in contatto in uno dei centri di detenzione con altri profughi subsahariani cristiani, alcuni dei quali in fin di vita dopo mesi di torture e privazioni. Mi chiamò sullo smartphone per dare la benedizione al suo amico Sami, che era ridotto in fin di vita dopo due anni di torture e detenzione.

E lei riuscì a farlo?

Don Mattia Ferrari: Sì, grazie ad una videochiamata riuscii a mettermi in contatto con Sami, 24 ore prima che morisse… Fu molto toccante. I libici lo avevano scarcerato perché non volevano che morisse proprio durante la detenzione. Ma di fatto è stata una loro vittima. Vittima anche degli accordi che la Libia ha sottoscritto con l’Italia per frenare il flusso di migranti.

Ma poi Bentolo è riuscito ad arrivare in Italia…

Don Mattia Ferrari: Io ne avevo perso le tracce, ma lui è poi riuscito ad approdare in Italia dopo molti mesi, grazie ad un salvataggio della Sea Watch 4, perché il suo barcone era naufragato. Quando ha parlato con la prima operatrice italiana dopo lo sbarco, ha fatto il mio nome e ci siamo ritrovati

Così lei lo ha portato a Santa Marta dal Papa.

Don Mattia Ferrari: Avevo raccontato la sua storia al Papa e quando è arrivato in Italia, gli ho proposto di incontrarlo. Francesco lo ha visto dopo pochi giorni…

Dev’essere stato un altro momento indimenticabile…

Don Mattia Ferrari: Certo, Bentolo era stupito di come lo trattasse, di come papa Francesco. Davvero Bergoglio dimostra con il suo comportamento che gli altri non sono oggetti ma fratelli. Alla fine, mi ha detto: “Ora mi sento guarito da tutte le ferite. Adesso chiamerò i miei amici ancora prigionieri in Libia e gli farò arrivare la benedizione del Papa”.


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