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Don Colmegna: la mia Teresa

Il ricordo del presidente della Casa della carità: «Aveva una volontà ferrea di "stare nel mezzo"»

di Sara De Carli

La coperta di Gino. Sarebbe piaciuta a Teresa Sarti l’immagine che don Virginio Colmegna tira fuori per ricordarla. Loro che – lo ricordano in tanti, anche nei messaggi lasciati sul sito in questi giorni – colpivano proprio per il loro essere così trasparentemente innamorati, neanche sfiorati dall’età, lontani dalla paura di “amare come si ama in un matrimonio invecchiato” di cui parla Madeleine Delbrêl. Ma l’immagine di don Virginio è ancora più nitida: la volontà di Teresa è la coperta della follia di Gino. Non è la contrapposizione di mente e cuore, calcolo e slancio, esprit de geometrie e esprit de finesse: anche Teresa era passione pura per la pace. Quello di don Virginio è l’elogio per chi la pace l’ha saputa costruire.

Qual è il suo primo ricordo di Teresa?
L’ho conosciuta all’inizio delle sue iniziative sulla pace. Nel caso di Teresa la pace è qualcosa per cui si è il temine si è “spesa” calza alla perfezione. Senza contare il fatto che lei è originaria di Sesto San Giovanni, dove abbiamo molti amici in comune. Fin dal primo incontro sono stato sempre molto impressionato dalla sua capacità di costruire un sistema organizzato, con semplicità e carica interiore. Teresa ha sempre avuto – e non era affatto scontato, quando l’esperienza di Emergency è partita – la volontà ferrea di rilanciare la possibilità di essere presente nelle zone di confine del male, la volontà di “stare in mezzo”. Una cultura forte, questa, di cui ha permeato tutte le sue attività e a cascata le attività della sua organizzazione. La sua volontà è stata la coperta della follia di Gino.

L’ha incontrata di recente?
Ricordo l’ultimo incontro, a casa loro, Teresa era già malata. Lei e Gino mi hanno chiamato per parlare dell’Italia, della loro voglia di ripetere quanto fatto in Sudan, in Afghanistan e in giro per il mondo anche qui. Cioè di dare anche agli ultimi, ai più poveri, ai più deboli, delle risposte non solo di qualità ma addirittura di eccellenza. È quello che stavano già facendo a Palermo, con il poliambulatorio gratuito per i migranti (con o senza permesso di soggiorno). C’era in loro la voglia di fare qualcosa anche a Milano, una città dove la guerra non è fatta di armi e spari ma tuttavia c’è: culturale, fatta di rotture, povertà, esclusione… Non è questo il momento, ma confido di riparlarne con Gino, per poter davvero fare qualcosa assieme.

Emergency ha da sempre una fortissa presa sui giovani: secondo lei si spiega con il carisma della sua presidente?
Certamente è dovuto alla personalità di Teresa e di Gino, alla loro grande fantasia, esuberanza, alla sorprendente capacità di non scendere a patti, alla loro radicalità. Però – ripeto – Teresa sapeva costruire.

Teresa, Gino, ed Emergency sono espressioni laiche della solidarietà, lei invece della carità. Mai avuto occasioni di divergenze?
Teresa proveniva da una cultura laica, ma con quell’idea di “eccellenza per tutti” aveva ben radicata la centralità della persona. E poi sapeva immettere nelle cose che faceva una incredibile energia di vita, secondo quella dinamica che per me – non ho timore di dirlo – va oltre l’uomo. Ho un grande rispetto per lei e per Gino, della loro diversità.

Da sacerdote, qual è la sua preghiera per Teresa?
La mia preghiera, oggi, è: “Ti ringrazio, Dio, per avermela fatta conoscere”. E a Gino dico: “Il Dio in cui credo è un Dio che stupisce per la sua generosità”.

Il 12 settembre lei sarà a Firenze per celebrare i 15 anni di Emergency…
Oggi sono ancora più contento di aver accettato il loro invito. Sarò là con la commozione nel cuore e il taglio della riflessione non potrà che portare traccia della consapevolezza di questa amicizia semplice e non detta, ma sincera.


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