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Don Ciotti: quando il valore del denaro supera quello della vita, ecco il conflitto

Fare la lotta alla mafia vuol dire dare risposte sociali, educative, culturali accessibili alle persone. Vuol dire riflettere anche sul carattere transnazionale che la mafia sta assumendo costituendo un pericolo globale per i diritti dei cittadini. A 22 anni dalla firma della “Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale” e in occasione della IV assemblea generale di Red ALAS, in corso a Buenos Aires, attraverso il suo fondatore, don Luigi Ciotti, Libera torna a fare punto sullo stato della lotta alle mafie e alla corruzione

di Gilda Sciortino

Saranno oltre 70 i rappresentanti di realtà della società civile, provenienti da Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Ecuador, EL Salvador, Guatemala, Honduras, Messico, Nicaragua, Perù e Repubblica Domenicana che da oggi sino al 13 novembre si ritroveranno a Buenos Aires in occasione della IV assemblea generale di Red ALAS – América Latina Alternativa Social – la rete latinoamericana promossa da Libera, pronta a riflettere su focus come: l’educazione e il protagonismo giovanile – giustizia riparativa e prevenzione della violenza; l’incidenza politica per il riutilizzo sociale dei beni confiscati; la memoria e l’accompagnamento delle vittime, dei familiari e degli attivisti dei Diritti Umani e Ambientali; la ricerca e comunicazione sociale.

Un appuntamento importante, che rafforza il lavoro portato avanti da ALAS per “osservare da molto vicino la violenza, la corruzione e l’impunità in molti paesi dell’America Latina, ma sarà anche l’occasione anche per scoprire e apprezzare la capacità organizzativa della società civile, dell’essere comunità resiliente, del saper lottare e resistere da parte delle popolazioni di questo continente”.

Cinque giorni di lavoro che affronteranno alcuni dei temi sui quali si è riflettuto pochi giorni fa ai Cantieri Culturali alla Zisa, a Palermo, dove si sono ritrovati oltre 50 relatori italiani e stranieri per fare punto sullo stato della lotta alle mafie e alla corruzione a livello locale, nazionale e internazionale. a 22 anni dalla nascita, sempre ai Cantieri Culturali del capoluogo siciliano, della “Convenzione contro la criminalità organizzata transnazionale”.

Oggi come ieri don Luigi Ciotti, fondatore e presidente di Libera.

Se siamo stati tanti a Palermo, e lo saremo anche in Argentina sino al 13 novembre, lo dobbiamo a una battaglia cominciata nel 2000, con quel primo incontro delle associazioni che avevano il desiderio di sottolineare la necessità di fare uno sforzo, mettere in campo un’azione congiunta tra parti sociali e istituzioni. Ovviamente, partendo dal basso, dai cittadini più fragili.

La stampa di allora parlò di “controvertice di Libera”.

Non lo era perché avevamo concordato con i funzionari dell'ONU che c'era una voce importante da ascoltare, la voce della gente. Io, come sempre a nome di un “noi”, dissi che bisognava costruire una rete internazionale e 22 anni dopo, a Palermo, ci siamo ritrovati anche con le delegazioni dell’America Latina, dove in questi giorni ci ritroveremo. A gennaio sarà la volta dell’Africa. Va detto che, oltre alla convenzione, nel 2000, vennero previsti due protocolli aggiuntivi, importanti per i temi di cui ci occupiamo, che anticipavano un'azione destinata alla repressione di traffici illeciti di migranti, di donne, bambini, armi.

Fu, quindi, l’inizio di un processo di cambiamento?

Molti allora firmarono la Convenzione, ma purtroppo non misero in pratica nulla. L’ho denunciato dicendo che è stata una vergogna, soprattutto quando già allora si parlava di migranti, divenuta emergenza da diversi anni a questa parte. Una ferita che ha segnato il tradimento della “Dichiarazione Universali dei Diritti Umani”. Per questo ho detto che bisognava costruire un cammino comune creando sinergia tra istituzioni, cittadini, gruppi i movimenti. In seguito, abbiamo tutti sognato che, con la caduta del Muro di Berlino, arrivasse il grande cambiamento. A distanza di anni oggi ci sono 77 barriere costruite nel mondo, 7 delle quali già finanziate. Dato sconcertante, se consideriamo che insieme equivalgono a 40mila km, praticamente la circonferenza della Terra. L’evidenza è che c’è un’emorragia di umanità in quanto tutto inevitabilmente connesso. Ecco anche perché a Palermo abbiamo voluto riflettere su quattro temi: promozione dell'uso sociale dei beni confiscati, monitoraggio civico e anti-corruzione; contrasto a tratta e traffici internazionali; diritto alla verità per la costruzione di una memoria collettiva perché è vergognoso che oggi l’80 % delle famiglie di vittime di mafia non conosce la verità. Eppure le verità passeggiano ogni giorno per le vie delle nostre città. L’omertà uccide la verità, ma anche la speranza della gente.


Quando si parla di mafia, di che genere di fenomeno parliamo oggi?

Da noi, in Italia, le mafie uccidono di meno, mentre negli altri paesi continua a essere presente anche se in modo diverso. Da quasi 100 anni la ‘ndrangheta ha messo piede in Australia e, proprio secondo gli investigatori australiani, sarebbero ben 51 i clan mafiosi italiani di vario tipo che operano in quel paese, 14 dei quali appartenenti proprio alla ’ndrangheta: all’incirca 5mila affilati.

Il movimento antimafia ha negli anni avviato una riflessione su tutto questo?

Ciò che abbiamo fatto per tanti anni, oggi non regge più l’urto del tempo. L’antimafia deve interrogarsi. Ci sono state molte cose belle, importanti e positive, ma bisogna fare una riflessione che contenga uno scatto in più. Secondo l’ultima valutazione dell’Europol, la criminalità organizzata italiana e non solo sta assumendo una connotazione sempre più transnazionale, costituendo un pericolo globale e crescente per la sicurezza degli stati, della loro economia e dei diritti dei cittadini. Conseguentemente l'attività di contrasto alle mafie è diventata una priorità per l’intera comunità internazionale ed europea, così come evidenziato dal documento strategico dell’Europol dell’aprile 2021 che mette in evidenza le minacce gravi della criminalità per l’Unione Europea. Quando il valore del denaro è superiore a quello della vita, sei già in conflitto. La guerra in Ucraina, per esempio, sta alimentando la criminalità proprio perché la mafia cresce grazie ai conflitti.

Cosa è, dunque, cambiato in questi anni?

Il cybercrime è ritenuto dalle organizzazioni criminali un settore molto redditizio e la stessa Interpol conferma che in Unione europea il suo costo sociale ha raggiunto circa 800 miliardi di euro all’anno.La mafia transnazionale si è spostata sul web, usando le nuove tecnologie. Le organizzazioni criminali che si occupano tradizionalmente di traffico di stupefacenti, per esempio, si muovono in questa direzione. In America Latina, in particolare, i cartelli sudamericani ormai usano molto Internet e sono in grado di portare avanti operazioni molto complesse.

Dal canto loro, le mafie italiane non stanno certo a guardare. Continuano e continueranno a mettere in pratica le forme tradizionali di crimine sul territorio, ma già oggi vediamo che molti capi mafia stanno mutando la loro immagine stereotipata, mentre le nuove generazioni della criminalità portano il colletto bianco. Paradossalmente, ma non troppo, da qualche anno sono gli imprenditori in difficoltà economica che cercano loro stessi i capitali della mafia. Ecco perché dico che siamo chiamati a metterci la testa in tutto questo.

Quale può essere oggila risposta più adeguata?

Sono da 58 anni nel Gruppo Abele e so bene che la lotta alla mafia vuol dire lavoro, casa, servizi sociali, sostanzialmente quello che è venuto meno in questi anni. La risposta giusta, è quella sociale, educativa, culturale, ma accessibile alle persone e da portare avanti in collaborazione con le istituzioni. La mafia ormai viaggia nell’alta finanza, investe nelle immobiliari, fa operazioni che ci sfuggono e il denaro che accumula e lo raccoglie dal basso. Il gioco d’azzardo, per esempio, va in questa direzione, così come le forme di usura e i reati d’ambiente ai quali dobbiamo fare attenzione. Di droga se ne parlava tanto anni fa, mentre ora non più. Uno dei nostri più grandi problemi oggi è l’indifferenza. Il crimine organizzato mafioso è diventato, nella percezione comune, crimine normalizzato. È più forte di prima ma sotto altre forme, quindi dobbiamo interrogarci su questo mutamento.

Ciò che è stato fatto, magari in modo lodevole, dunque, non basta più?

Dobbiamo un po’ morire. Non basta più cercare strade nuove, percorsi inediti perché la criminalità ha modificato il suo modo di agire. Non. dimentichiamo che l’ultima mafia è sempre la penultima. L’obiettivo ovviamente è il denaro, ma ne ha così tanto che può investire in qualunque cosa vogliano. Ha ragione un magistrato calabrese molto bravo, Giuseppe Lombardo, quando dice che possono aprire anche una banca tutta loro.

Importante, quindi, costruire reti internazionali dal basso, collaborando con le istituzioni, senza fare sconti a nessuno. La più grande povertà, al di là di quella che coinvolge materialmente molte persone, è quella umana politica, che allontana dalle persone. Parliamo delle mafie, ma dobbiamo connettere il fenomeno al tema delle politiche sociali e dei servizi della persona che non funzionano. Abbiamo quattro miliardi di persone con un accesso saltuario all’acqua nel mondo: acqua potabile solo per il 2% e accessibile all’1%. Non lo credevo neanche io ma, se ci pensiamo, il Mar Mediterraneo è l’1% degli oceani. La Terra oggi potrebbe sfamare tutti, invece 828 milioni di persone non hanno da mangiare e la cosa tragica è che il 2% sono bambini. Ce lo dicono le Nazioni Unite che 3,1 miliardi di esseri umani non hanno avuto accesso, lo scorso anno, a una dieta equilibrata.

Anche l’Italia lancia l’allarme attraverso una stima della Coldiretti che, in una ricerca basata sui dati del “Fondo per l’aiuto europeo agli indigenti”, dice che sono 2,6 milioni le persone che chiedono aiuto per nutrirsi

Di che parliamo quando sappiamo che ci sono 59 guerre in atto nel mondo, ma noi ne vediamo solo una? Dobbiamo creare le connessioni mettendo i pezzi insieme nelle analisi e nella lettura dei fenomeni. Papa Francesco, quando è andato in Argentina, ha mandato un bellissimo messaggio nel quale ribadisce che le mafie sono un problema mondiale che richiede uno sforzo internazionale istituzionale congiunto. Lui parla testualmente di “funzionamento deficitario delle istituzioni”, denunciando il debito di tutte le istituzioni. Questo è uno dei volti della corruzione che non è solo tangenti, ma anche inefficienza, inefficacia, incapacità. Ecco l'ampiezza spirituale sociale, culturale ed economica di visione di Francesco sulla corruzione. C’è un Papa che dice” attenti, questo è un problema”, e parla del danno sociale su larga scala riferendosi al bene comune. La Chiesa ha tante responsabilità, ma ha fatto molti passi in avanti, le si deve riconoscere.

Le istituzioni, poi, la cui sacralità non deve far distogliere l’attenzione sull’impegno che sono chiamate a svolgere.

Le istituzioni sono sacre ma dobbiamo distinguerle da chi le governa, da chi le gestisce. Nel 2000, a Palermo, nel discorso conclusivo dicevo “Basta con di molti partiti che hanno a loro interno persone che sono espressione di illegalità. I partiti devono darsi un codice di autoregolamentazione. Basta con quei politici più preoccupati dell'estetica che dell'etica del loro agire, più interessati alle poltrone, al potere, al prestigio. Non si può parlare di contrasto alle mafie se, dentro alcune realtà, ci sono persone che hanno calpestato la legalità nel nostro Paese”. È la storia di ieri, è la storia di oggi. Dopo 22 anni alcuni elementi ritornano e ci pongono domande. Oggi c’è un divorzio tra politica ed etica. Una politica senza etica diventa puro esercizio di potere e, se lontana dalla strada e dagli ultimi, tradisce la sua essenza. Abbiamo visto che in campagna elettorale, tranne poche eccezioni, nessuno ha introdotto il tema della mafia, solo adesso qualcuno inizia a farlo. Prima non se ne parlava perché non si doveva disturbare le coscienze della gente. È una vergogna. Oggi, nella lotta alle mafie e corruzione nel nostro Paese, abbiamo bisogno di una politica sana, di una politica vera.

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