Politica

Don Ciotti: basta con la parola legalità

di Riccardo Bonacina

Già lo scorso novembre avevo dedicato un post al tema dei confini sempre più labili tra legaità e illegalità (qui il post) a margine di un incontro con procuratore antimafia Franco Roberti e don Luigi Ciotti, presidente di Libera. Scrivevo: “Numeri impressionanti che ci dicono, e questo è un dato che è necessario avere ben chiaro, che l’illegalità ha sempre più bisogno della legalità per ripulire i suoi profitti sporchi. I confini tra legalità e illegalità si fanno confusi nell’era della finanziarizzazione e della globalizazzione, se anni fa si diceva che “la buona economia scaccia la cattiva” oggi bisogna sapere anche che “la cattiva economia ha bisogno di quella buona”. L’illegalità vive nell’ombra della legalità, la usa, approfitta delle zone grigie, e per questo è necessario dotarsi di nuovi strumenti ed esercitare nuove responsabilità”. Sintetizzavo così l’appello che sottostava ai vari interventi, un appello e un tema che chiunque in questi anni si sia battuto contro il dilagare dell’azzardo legale nella vita quotidiana delle persone e dei nostri quartieri conosce bene.

Oggi, nella splendida Certosa di Avigliana (poco distante dalla Sacra di San Michele, in Val di Susa, qui il sito) recuperata grazie alle cure all’amore del Gruppo Abele, dove mi trovavo per commentare il Piano triennale di Sostenibilità del Gruppo UnipolSai presentato dal suo presidente Stfanini e che, guarda un po’, prevede proprio l’impegno no slot, ed è il primo grande player finanziario e assicurativo a farlo, ho ascoltato con una certa emozione don Luigi Ciotti nel suo splendio intervento. Che riassumo (dai miei appunti) così, nelle sue battute conclusive: “Per favore, basta con la parola legalità. Basta educazione alla legalità. Ve lo dice uno che negli ultimi vent’anni si è speso senza risparmio su questo, ma devo riconoscere che in questi 20 anni l’illegalità è cresciuta, l’indice di mafiosità (intendo i coportamenti diffusi) è aumentato e le mafie e la criminalità usano dei comportamenti che l’educazione alla legalità non ha scalfito. Dobbiamo cambiare e voltare pagina. Dobbiamo impegnarci nell’educazione alla responsabilità, questo è il punto. E finiamola anche con l’espressione “società civile” che non dice nulla, dobbiamo parlare di “società responsabile. Ci sono troppi cittadini a intermittenza, troppa gente che si commuove ma non si muove, troppi richiami, anche strumentali alla legalità. Ne usciamo solo con un grande apello e chiamata alla responsabilità”.

Converrete con me che è un ragionamento e un appello quello di don Ciotti che la dice lunga sulla sua qualità umana, un appello e un ragionamento che deve essergli costato perchè è anche l’ammissione di una sconfitta, sconfitta che non ti fa ripiegare e ritirare ma che, prendendone coscienza, ti rende capace di rilanciare, di ricominciare. Rende capace di fare un altro passo, un nuovo passo in avanti. E a me pare un punto di non ritorno, per l’esperienza che s’è originata dal carismo di don Ciotti (50 anni l’anno prossimo per il Gruppo Abele e 20 anni di Libera), e per tutti noi. Non c’è dubbio, lo ripeto da tempo, la legalità non può essere “il” valore. Come qualcuno ha scritto sui muri di recinzione del carcere di San Vittore a Milano (foto mia qui sotto) “La legalità (in sè) uccide”.

Il mio amico scrittore Doninelli, circa un anno fa scrisse questa stupenda e a me pare definitiva riflessione. “Un trailer Rai m’informa che Falcone e Borsellino sono morti in nome della legalità. Io credevo che fossero morti in nome della verità e della giustizia, invece no. 
Ecco dunque una parola sulla quale e per la quale da anni si spendono parecchi soldi. Una parola che viene insegnata ai bambini fin dalla più tenera età, e che campeggia nei loro disegni esposti negli atrii delle scuole accanto a parole come “pace”, “amore” e “fratellanza”. 
Non che io sia contrario alla legalità, s’intende. Ma mi chiedo, per esempio, perchè questa parola ha sovrastato altre parole come, appunto, “giustizia”? 
Mi torna alla mente quello che mi disse tanti anni fa un amico giurista. Mi spiegò la differenza tra “diritto” e “legge”: il diritto “consente”, la legge “prescrive”. Il diritto mi dice quello che posso fare, la legge quello che devo fare. Inutile dire che nessuna di queste due cose avrebbe senso senza l’altra. È necessario che le due cose siano in equilibrio tra loro, perché un eccesso di legge limita il diritto, e negli anni ne vedremo le drammatiche conseguenze». Poi, con un mezzo sorriso pieno di sofferenza, concluse: «Vedrai che ti manderanno a casa gli ispettori a controllare se il sugo di pomodoro che hai preparato è a norma o no…».
Io non credo che questo succederà, però non riesco a liberarmi da una certa sensazione di violenza, di totalitarismo, che mi opprime non appena sento nominare a sproposito la “legalità”. Se insegniamo la legge senza insegnare anche il diritto, se parliamo di legalità senza parlare anche di giustizia e di legittimità, commettiamo non soltanto un’opera diseducativa, ma un vero e proprio furto culturale, un insulto alla ragione. 
Una maestra elementare mi spiega che l’idea di legalità si riassume in una serie di comportamenti pratici, e quindi si può insegnare facilmente, mentre l’idea di giustizia è difficile perché, dice, «è astratta».
Capite? La giustizia è astratta, mentre la legalità è concreta. Era così semplice! Pensate che idiota sono: per cinquantasei anni ho creduto il contrario! Ho creduto che la giustizia fosse ciò che il mio cuore desidera per natura: dunque, nulla di più concreto e urgente. Invece no, la giustizia è astratta mentre la legalità è concreta.
E io che l’ho sempre trovata fastidiosamente astratta! A me la legalità è sempre sembrata un principio acefalo, a-soggettivo. Senza il grande mistero della giustizia, senza la ragionevolezza del diritto, chi ha l’autorità di dirmi che cos’è legale e che cosa non lo è? Se elimino le esigenze elementari e la ragionevolezza, rimane solo il potere.
Durante il dominio di Hitler in Germania le malefatte sue e dei suoi erano evidenti a tutti, ma il rispetto delle leggi e del potere costituito ostacolò ogni moto di ribellione, o quasi. Ecco quello che può accadere (e spesso accade) quando un valore, pur importante, viene staccato dalle esigenze fondamentali che, sole, possono renderlo comprensibile, cioè umano”.

Prendiamone coscienza per favore, prima che la criminalità usi il terreno acefalo della legalità come suo territorio e come sua industria.

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