Famiglia
Don Benzi: appello per un neonato messo in istituto
Il fondatore della Comunità Papa Giovanni XIII denuncia la situazione di Matteo, 5 mesi, che nonostante l'età è stato inserito in istituto nonostante la disponibilità delle famiglie dell'associazion
“Perché Matteo è stato portato in Istituto? Perché anche lui non può avere diritto ad una mamma e ad un papà quando la legge glielo permette?”. E’ questo che si chiedono le quattro mamme e i quattro papà delle altrettante quattro comunità di tipo familiare dell’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII , dislocate sul territorio versiliese, che da ben due mesi si sono rese disponibili ad accogliere in famiglia il piccolo Matteo (5 mesi), nato all’Ospedale Versilia di Lido di Camaiore (LU) e da tempo dimissibile.
La denuncia della situazione del bambino giunge dallo stesso presidente dell’Associazione Papa Giovanni XXIIl, don Oreste Benzi, in un comunicato stampa. Il piccolo, scrive l’associazione, dopo la nascita di fatto non ha mai visto la luce del sole se non attraverso le finestre della sua stanza, è sempre stato accudito da persone diverse, non ha mai ancora provato l’abbraccio di una madre e di un padre che lo seguano 24 ore su 24, senza seguire orari di lavoro.
Il piccolo Matteo riscontra già segni di disturbo comportamentale, anaffettività e sofferenza tipica di ogni bambino ospedalizzato o istituzionalizzato. “Le nostre famiglie”, scrive don Benzi, “si sono rese disponibili all’accoglienza anche per un breve periodo, giusto il tempo per trovargli una famiglia che lo ami e lo curi. Invece no, non curanti della LEGGE 149 del 28 marzo 2001 Art.2 comma 2 che dice: “Per i minori di età inferiore ai sei anni l’inserimento può avvenire solo presso una comunità di tipo familiare”, è stato deciso che il posto per lui era in Istituto, un ambiente neutro, asettico, pulito (come spesso viene definito da alcuni giudici) ma nel quale vi sono solo operatori che turnano, che fanno il loro lavoro, anche con impegno e amore, ma che certo non si possono sostituire ad una casa, una famiglia, a dei genitori”.
“La cosa ancora più sconvolgente”, prosegue don Oreste, “è che la Legge questo lo sa, è chiara e per una volta anche comprensiva e umana, e vuol dare la possibilità a tutti i bambini di avere una famiglia, sempre. Perché allora i giudici o chi per essi la disattendono? Perché invece di applicare la legge, decidono senza senso, senza logica e direi senza amore? Purtroppo noi non lo sappiamo, ma di certo vogliamo opporci, lottare e denunciare questi comportamenti irresponsabili e ingiusti, perché chi ci rimette è sempre il minore, il più debole, il più indifeso. Ribadiamo la nostra disponibilità come famiglia ad accogliere Matteo, ad accudirlo ed amarlo fino al momento del passaggio alla sua nuova famiglia, perché questa è l’unico ambiente in cui un bambino può e deve crescere in armonia e gioia”.
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