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Domenica, Amendola, Elvis. Che tris d’assi!

Recensione del film "Domenica" di Wilma Labate

di Aurelio Picca

Domenica, di Wilma Labate, è Domenica: una ragazzina trottola e forte nelle sue risposte e domande idiomatiche che sanno di dramma, il quale non pesa. Domenica è un nome che le hanno imposto nel giorno del Signore, ma soprattutto perché lei è figlia di un orfanotrofio. è una ragazza senza. E ora è stata stuprata. La telecamera è all?obitorio, comincia con un frammento di giallo. La polizia dice che lo stupratore si è gettato dalla finestra. Allora Claudio Amendola, un collega che è al suo ultimo giorno di servizio, perché ha un cancro e dovrà morire, deve risolvere il caso. Domenica lo segue per riconoscere il cadavere del suo violentatore. I due si saldano come un piccolo Virgilio e un pesto e umorale Dante. Attraversano una Napoli fatta di campi e campielli come una Venezia senz?acqua. Domenica traghetta il poliziotto verso la morte. Ed è lei, la bambina senza, che ha l?audacia e l?amore di farlo sentire padre, di imporgli la tenerezza. Questo rapporto dà la misura e misura l?intero film. Si gonfia un polmone emotivo che non si buca. Tutto è trattenuto eppure è leggero come le gambette di Domenica senza, che poi si trasforma in più. è un talento questa misura priva di forzature, pronta a far straripare l?emozione o la tragedia. Infine ci si commuove, perché accade la speranza, quando il traghetto parte di nuovo verso il regno dei morti. Ma Domenica è lì a proteggere, mentre Elvis Costello ti fa accapponare la pelle.

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