Formazione

Domani il Nobel per la pace

Impazziscono i bookmaker che danno favorito ElBaradei

di Paul Ricard

Domani alle 11, come ogni anno; un venerdì, come sempre. La febbre delle ipotesi sul Nobel per la pace cresce; ogni anno assegnare il riconoscimento sembra quasi impossibile, tanto più in questo 2004 in cui tutte le crisi internazionali hanno ripreso vigore. Non c’è pace in Palestina e Israele, venti minacciosi si levano in tutto il Medio Oriente circondando l’Iraq devastato; in Europa decine di persone sono morte in Kosovo questa primavera e in Irlanda del nord è stato impossibile riformare un governo autonomo; per non spingersi nei conflitti delle regioni africane. I cinque membri del Comitato Nobel di Oslo che assegnano il premio scelgono in genere in base a due criteri: una persona o un’associazione che molto ha lavorato per scopi pacifici (a prescindere dai risultati), oppure un riconoscimento a chi ha abbandonato la via del conflitto – armato o ideologico – per sedersi al tavolo dei negoziati (in anni recenti, esempi di questo secondo genere di premi sono Yihtzak Rabin e Yasser Arafat per il Medio Oriente, o in Ulster David Trimble e John Hume). Negli ultimi anni i cinque saggi – che operano una selezione da una lista di candidature consegnate fino a otto mesi dell’assegnazione – si sono trovati ad agire in un contesto internazionale di crisi transatlantica perpetua fra la ‘vecchia Europa’ e l’amministrazione Bush, una battaglia fondamentale sul significato di “politica per la pace”: una scelta fra potenza uniletarale e diplomazia multilaterale nella risoluzione dei conflitti. Non vi è dubbio sulle simpatie del Comitato; nel 2001, poco dopo l’11 settembre, scelse una via neutrale e – precorrendo i tempi, verrebbe da dire – riconobbe l’importanza e la fragilità dell’Onu premiando le Nazioni Unite e il segretario Kofi Annan. Nel 2002, in piena tempesta internazionale (e fra l’offensiva in Afghanistan e quella in Iraq) ha scelto un anziano mediatore come Jimmy Carter, guarda caso ex presidente democratico, da anni in lista. L’anno scorso, a sorpresa, è stato il turno di Shirin Ebadi, l’avvocatessa iraniana per i diritti umani, che lotta dall’interno del sistema contro gli eccessi del regime degli ayatollah – in un paese che l’amministrazione Bush considera uno sponsor del terrorismo internazionale nonché un pericolo nucleare (e che secondo alcuni potrebbe essere il prossimo sulla lista dei nemici da sconfiggere). E quest’anno? La scelta è stata fatta nel corso dell’ultimo mese, su un totale di 194 candidature, un record. Si parla di un’altra agenzia Onu, l’Aiea, e del suo direttore Mohammed ElBaradei che si è speso senza risparmio in mesi di serrata diplomazia per evitare una crisi sul nucleare dell’Iran. Si è parlato anche – non sono nomi nuovi – dell’ex ispettore capo dell’Onu in Iraq Hans Blix, dell’ex-presidente ceco Vaclav Havel e di papa Giovanni Paolo II. Ma si citano anche le campagne anti Aids, il medico cinese Jiang Yanyong, che obbligò Pechino a riconoscere la gravità dell’epidemia di Sars, i politici statunitensi Sam Nunn e Richard Lugar per il programma di neutralizzazione dell’arsenale nucleare sovietico. Oppure Mordechai Vanunu, l’ex tecnico nucleare israeliano, uscito di prigione dopo 18 anni per aver rivelato il programma atomico del suo paese. Nel frattempo si intrecciano le scommesse dei bookmakers. In Australia l’agenzia Centrebet dà 3 a 1 ElBaradei e l’Aiea, 4 a 1 un premio Nunn-Richards, 7 a 1 Blix, 10 a 1 Vanunu e 8 a 1 Havel; 10 a 1 anche per The Treatment Action Campaign e il suo leader Zackie Achmat, per il lavoro compiuto nel combattere l’Aids. Ma si sa che il comitato Nobel ama sorprendere. E in lista qualcuno mette anche Save the Children (per la campagna in aiuto dei bambini soldato); o Courage to Refuse, il gruppo dei ‘refuseniks’ israeliani che rifiutano il servizio militare nei Territori. Nonché l’attivista russo per i diritti umani Sergei Kovalyev; il dissidente cubano Oswaldo Paya; l’Unione europea; un classico come l’Esercito della Salvezza; l’inviato speciale Onu in Iraq Lakhdar Brahimi. Quel che si può tranquillamente predire è che George U. Bush e Tony Blair – anche loro sarebbero stati fra i candidati – hanno pochissime chances. Centrebet li dà rispettivamente a 26 a 1 e 51 a 1: erano fino a qualche settimana fa 1001 a 1 ciascuno, ma l’agenzia ha avuto un improvviso timore di un brutto

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