Sostenibilità

Domani berremo nelle bio bottiglie

Ovvero l’acido polilattico del mais, biodegradabile, che arresterà la dispersione in discarica. Anche se qualche difetto ce l’ha...

di Christian Benna

Plastica addio, anche in Italia è pronta a sbarcare la ?bio-bottiglia?. A meno di un anno dal lancio dei marchi Biota (Usa) e Belu (Regno Unito), il mercato delle minerali del Bel Paese insegue la svolta ?verde?, quella dei contenitori usa e getta a base di mais, biodegradabili nel giro di 12 settimane.

Ma a differenza delle esperienza di nicchia oltre frontiera, sul traguardo del corn packaging tricolore ci sono alcuni fra i big dell?affollato comparto, una galassia composta da oltre trecento etichette che sgomitano per un posto in prima fila e che ogni anno disperdono nell?ambiente, smaltite o in discarica, circa 8 miliardi di bottiglie.

Già entro la metà 2007 i piemontesi di acqua Sant?Anna, numero due per vendite, dietro solo a Levissima, e i primi ad aver introdotto in Italia la pubblicità comparativa, potrebbero riempire gli scaffali dei supermercati con una linea ?bio?. La società cuneese, Fonti di Vinadio spa, ha già avviato alcuni test sui materiali e ora sta trattando un accordo di esclusiva con Natureworks, l?azienda specializzata in bioplastiche del gruppo Cargill che ha in pancia il brevetto del Pla, acido polilattico ottenuto da zuccheri ricavati dal mais. Per ogni confezione servono 0,65 grammi di granoturco contro 0,027 litri di petrolio per quelle di plastica. In termini complessivi, secondo uno studio della Coldiretti, l?utilizzo di questi ritrovati ridurrebbe il consumo energetico di 320mila tonnellate di anidride carbonica. Fin qui tutto bene, ma i problemi non mancano. In primis scarseggia la materia prima. Inoltre, come spiega Stefano Cavallo, responsabile per l?Italia di Cargill Dow, «il Pla, malgrado la sua forza innovativa, ha due limiti che ne frenano lo sviluppo su larga scala: scadenza a sessanta giorni dal consumo e un costo doppio rispetto alla plastica». Per gli ambientalisti ci sono anche altri fattori a suo sfavore. Il primo fra tutti è che il mais coltivato da Cargill è ogm per il 60% del raccolto. Stefano Cavallo, però, tiene a precisare: «È il cliente a scegliere che tipo di prodotto utilizzare. Se l?impresa punta a un prodotto non ogm, Cargill riconosce agli agricoltori un contributo aggiuntivo di 20 centesimi di dollaro per ogni chilo di mais». Permangono dubbi anche sul costo energetico del Pla, perché, afferma Massimiliano Varriale di WWF Italia,«attualmente, l?energia richiesta dal processo di produzione di questi biopolimeri è addirittura maggiore rispetto al Pet».

Per Alberto Bertone, l?amministratore delegato di Fonti di Vinadio, invece il Pla può diventare una svolta nel consumo di minerale. «In Italia purtroppo non si segue una politica di incentivi», dice l?imprenditore, «ma di tassazione. Dopo le gabelle regionali è arrivata quella nazionale di 0,1 centesimi a bottiglia. Uno scenario penalizzante per le imprese, ma che non invoglia a cambiare. Sta quindi a noi muoverci per una distribuzione sostenibile. Capisco certe critiche, ma non le condivido. Perché il vero problema è togliere la plastica dalla discariche».


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