Volontariato
Dodici per tutti Riparte da loro la sfida all’ AIDS
Nellex lebbrosario alle porte di Perugia, gli ospiti della Casa don Savini attendono il miracolo che potrebbe venire dalla cura che due scienziati stanno preperando.
Una volta, tempo fa, attorno al 1200, era un lebbrosario benedettino. E ?lebbrosario?, a ben vedere, lo è anche oggi, anche se la lebbra di fine millennio ha cambiato nome: si chiama Aids. Ma quassù, a Migiana di Monte Tezio, nella quiete della campagna umbra, oltre la zona universitaria di Perugia, risulta difficile, quasi impossibile, pensare all?esistenza di una malattia killer come l?Aids. Eppure, proprio qui si sta preparando la riscossa contro il virus: partirà da Migiana, infatti, la prima sperimentazione italiana del vaccino anti Aids. Al momento il lavoro si svolge ancora nei laboratori, curato dai professori Robert Gallo (a Baltimora, negli Usa) e Adolfo Turano (a Brescia), ma la prima iniezione di vaccino sarà somministrata nell?autunno del 2000 proprio ai dodici pazienti che, speranzosi nella scienza, vivono nell?attesa nella casa di Migiana di Perugia. Ma che cosa ha convinto i due scienziati a scegliere proprio il piccolo centro umbro per lanciare la loro sfida che potrebbe cambiare il corso della scienza medica e le vite di milioni di persone in tutto il mondo? A svelare il segreto è Andrea Racca, presidente della cooperative che gestisce il centro di Migiana. «Ho conosciuto il professor Turano, accademico pontificio e direttore del Dipartimento di microbiologia dell?Università di Brescia», racconta, «in un?incontro organizzato dalle Compagnie delle opere. Avevamo un?idea comune: creare un progetto di assistenza ai malati di Aids che comprendesse la ricerca di una farmaco da produrre a bassi costi. Noi avevamo la struttura, Turano l?esperienza scientifica e un equipe di ricerca pronta a mettersi al lavoro. Fu lui poi a coinvolgere nel progetto Robert Gallo».
Il Centro vicino alla chiesetta
Si parcheggia a fianco di una chiesetta di montagna intonacata in tinta chiara. Attaccato all?edificio ecclesiastico si snoda, su diversi livelli, la casa di accoglienza per malati di Aids gestita dalla cooperativa sociale ?Centro associati per la solidarietà e l?assistenza? (Casa), associata alla Compagnia delle opere. Aggirata la chiesa, un operatore in camice verde, sorridente, si fa avanti. Sono sedici, fra medici, infermieri, operatori e una cuoca, le persone indispensabili per assistere, in ogni momento della loro giornata, i dodici contagiati dall?Hiv. Poi una porta, un corridoio che gira a sinistra. Bei locali, molto ben ristrutturati e luminosi; vi regnano ordine e pulizia. In una stanza, il responsabile della Casa di accoglienza per malati di Aids di Migiana, Angelo Lisetti, sta leggendo una fitta tabella relativa ai farmaci da somministrare ai pazienti, il famoso ?cocktail? che ha allungato l?aspettativa di vita dei malati da pochi mesi a dieci anni. Forse più, nei casi più fortunati. È lui il nostro Virgilio, sarà lui a farci incontrare gli ospiti del centro intitolato a don Dante Savini, coraggioso prete perugino morto circa due anni fa dopo anni di lotta dalla parte degli emarginati. Lisetti spiega immediatamente proprio com?è cambiato, grazie all?introduzione del ?cocktail?, l?approccio degli operatori e degli assistenti nei confronti di chi ha contratto l?Hiv e si ammala poi di Aids: «Fino al ?96 c?era solo un farmaco, l?Azt. Di scarso effetto e, da parte nostra, potevamo solo accompagnarli ad una ?buona? morte. Ma dal ?98 in poi, con l?introduzione in commercio del cocktail ?dei tre farmaci?, gli antiretrovirali, l?aspettativa di vita di chi aveva contratto l?Hiv si è quintuplicata. Quindi, anche il nostro compito è cambiato: ora dobbiamo far vivere nel modo migliore possibile il malato di Aids, dobbiamo tentare un suo reinserimento nella società».
Loro del vaccino anti Aids non ne parlano. Scaramanticamente, perché è una speranza troppo grande per essere spiegata dalle parole. Sul divano siede Pippo, cinquantenne. La sua vita l?ha passata per strada, a dormire sulle panchine dei parchi, elemosinando vicino ai caldi ?soffioni? d?aria che fuoriescono dai tombini dei supermercati. Pur restando sempre una persona tranquilla, è scivolato nella tossicodipendenza. Presto l?assunzione di sostanze stupefacenti gli ha procurato gravi crisi epilettiche. Infettato dall?Hiv, veniva spesso ritrovato svenuto a terra nelle strade di una grande città del centro Italia, dove girovagava tutto il giorno. A poco valgono gli sforzi, pur coraggiosi, dei medici del Sert che vogliono recuperarlo: la sua esistenza di barbone gli impedisce di essere aiutato, ma i giorni trascorsi all?aria aperta sono ben presto superati, nel numero, da quelli passati in ospedale.
«Un giorno», racconta oggi, «finalmente decisi di entrare in una struttura protetta per farmi curare. Allora mi sono trasformato, anche fisicamente. Avevo i capelli bianchi, apparivo come un settantenne. Mesi più tardi, invece, quando i dottori mi hanno rivisto stentavano a riconoscermi: ero rinato, pulito, ben vestito, i miei capelli erano tornati castani e soprattutto speravo di nuovo nella vita. I miei problemi non erano risolti, ma avevo anche capito che non dovevo abbandonarmi all?Aids, perché non si moriva più come una volta. Ed era possibile pensare di poter anche convivere con la malattia».
Il caschetto salva vita di Chicco
Accanto a Pippo c?è Chicco. Data di nascita:1967. Delinquente, lo ha classificato la società, lui era pure un tossicodipendente. «Soffre anche», spiegano gli operatori del centro di Migiana, «della malattia Corea di Huntington, che colpisce gravemente il cervello e lo fa spesso crollare al suolo». In carcere inizia a perdere varie facoltà, fra cui la parola e il senso dell?equilibrio. Nessuno sa come ?contenerlo?, mentre i giudici studiano soluzioni come il ricovero coatto negli ospedali psichiatrici. Intanto l?Aids, giunta ormai a uno stadio grave, gli impedisce di trovare anche solo una casa-famiglia adatta ai suoi bisogni. «Oggi, qui a Migiana», riprende il suo assistente, «lo bardiamo con un caschetto da boxeur in modo che possa andare in giro per conto suo e se dovesse cadere, non si procuri danni alla testa. Del resto le sue prospettive di vivere, prima di arrivare da noi, erano praticamente azzerate: sarebbe stato imbottito di sedativi , e quindi abbandonato in un letto in attesa della morte, mentre adesso può godere di quel minimo di autonomia consentita da un ausilio. Che, per lui, è però la vita».
Mimma è invece figlia di artisti, trentatré anni. Il padre è pittore, la madre è scenografa. A sedici anni, adolescente ribelle, cessa gli studi. Arriva a prostituirsi. Per contagio sessuale diventa sieropositiva all?età di diciassette anni. «All?inizio ho sottovalutato la malattia», racconta, «ho sbagliato perché non ho voluto curarmi. Dai miei genitori avevo imparato l?arte di rimettermi in carreggiata, l?avevo già fatto tante altre ?piccole? volte. Ho cercato un lavoro e l?ho trovato: sono diventata decoratrice, facendomi spesso apprezzare per i lavori che riuscivo comunque a consegnare. Ma il mio fisico iniziò presto a crollare sotto i colpi della malattia, nonostante tutti i miei sforzi per ignorarla». Assieme al fisico, anche la mente le va in tilt: la depressione è il passo successivo. Per fortuna di Mimma c?è ancora qualche caro che la sostiene, anche economicamente. Quando entra in comunità rinasce subito in lei il desiderio di recuperare un po? di tempo perduto: ora sta studiando per prendere la maturità linguistica e presto dovrebbe iniziare a lavorare, ancora come decoratrice.
Oggi l?Aids sembra essere dimenticato
Aggirandosi per le stanze del centro ?don Dante Savini? si comprende come l?Aids non è più una malattia riservata ai cosiddetti ?soggetti a rischio?. La vita ha infatti beffato Nilde sicuramente molto più degli altri ospiti della casa di accoglienza di malati di Aids di Migiana. Classe l947, donna matura, laureata in storia e filosofia, insegnante, madre e sposa. Per raggiungerla, il virus dell?Hiv si è nascosto in una falsa amicizia trasformatasi repentinamente in violenza e stupro. Nilde cade in depressione, poi anche suo figlio. «Il vero dramma», afferma Lisetti, «è che oggi, dopo un gran parlare di Aids, molti si sono dimenticati che questa malattia si diffonde ancora a macchia d?olio, anche in Italia, e che molti hanno abbassato il livello di guardia perché pensano che il loro contagio sia improbabile. L?Aids, come problema, è ancora oggi troppo sottovalutato».
L?ultimo che incontriamo in questo percorso negli ambienti della casa di accoglienza di Migiana è Toto. Qui lo chiamano ?il giullare di Dio?. Refrattario al lavoro da sempre, è considerato persona sensibile e intelligente ma anche del tutto intollerante alle regole più elementari. Per gli operatori è, da sempre, un indomabile. Ha anche lui, come altri qui dentro, usato ogni tipo di sostanza stupefacente, ma sembra che il suo contagio da Hiv sia avvenuto attraverso rapporti omossessuali. Già attaccato dalla malattia, ha pensato ad un certo punto di indirizzare tutta la sua vita e la sua vitalità che gli restavano verso un cammino spirituale. Da qui il soprannome che gli hanno affibbiato. Qualcuno, a volte, ha pensato pure ad una sua vera conversione, quando Toto raccolse attorno a sé un gruppo di ?discepoli? per farli uscire dal giro della tossicodipendenza. Ma a causa del suo bizzarro carattere e della sua fede, che oggi gli si è rivolta contro come problema psicotico, ha incontrato successivamente molte difficoltà, fra cui quella di non essere facile da ricoverare.
Nessuno può dire se il vaccino funzionerà anche per lui, ma per Toto, come per Pippo, Chicco, Mimma, Nilde e gli altri devastati dalla malattia e dalla solitudine qualcosa è già cambiato.Nell?ex lebbrosario di don Salvini il miracolo è già avvenuto: qualcuno si è preso cura di loro, dando una ragione per tornare a sperare. Il resto, dicono alla Casa di Migiana, lo farà il vaccino che i due ?amici? scienziati stanno preparando per loro.
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