Formazione

Dodicenni al buio

La scuola è il luogo dove i ragazzi portano tutto: amore, dolore, morte. E' dove alcuni decidono o annunciano di morire. Intervista a Gustavo Pietropolli Charmet.

di Benedetta Verrini

Il 2004 è stato un anno nero per i suicidi di adolescenti: quasi uno al mese, ragazzi e ragazze dai 14 ai 18 anni, in ogni parte d?Italia. E nei primi giorni del 2005, a Milano, è successo anche a un bambino di 12 anni. Allarmato per il fenomeno, il direttore scolastico regionale Mario Dutto ha chiesto al professor Gustavo Pietropolli Charmet, direttore del Crisis Center di Milano, di elaborare un piano di prevenzione. Da tre anni, infatti, grazie a un finanziamento dell?associazione L?amico Charly onlus, Charmet svolge con il suo staff un intervento gratuito sui ragazzi che hanno tentato il suicidio. «Ma il numero di episodi aumenta ogni anno», spiega Charmet, «e credo sia importante individuare la scuola come luogo di elaborazione di una cultura che demitizza il suicidio. è la seconda causa di morte per gli adolescenti: non si può più tacere il problema». Vita: La relazione con la scuola è molto stretta: non a caso abbiamo raccolto e pubblichiamo le preoccupazioni di un?insegnante. Cosa si può fare, professore? Gustavo Pietropolli Charmet: Spero che si possa affinare, da parte dei docenti, questa capacità di intercettare i segnali di una relazione ambigua con la morte, di una tristezza o una perdita di senso. Non perché sia compito loro, ma perché i ragazzi oggi a scuola portano tutto. E si aspettano che questa sia non solo la passerella dove esibirsi, ma anche dove elaborare il dolore. Spesso i tentativi di suicidio vengono consumati tra le mura scolastiche, e questo è segno che erano anche stati mandati dei segnali. Era stato anticipato qualcosa, ma la scuola, pur avendo dei sensori che avevano percepito il rischio, non aveva organizzato una risposta. Vita: Che intervento fate? Charmet: Dal momento che la tendenza spontanea, per i ragazzi, è quella di idealizzare il compagno morto, cerchiamo di accompagnarli nel dolore, ma anche di fare un lavoro educativo per condannare aspramente il gesto. In una scuola investita dal suicidio il pericolo dell?emulazione è concreto. Per questo cerchiamo di seguire con particolare attenzione i ragazzi che possono essere più fragili. Vita: Seguite anche ragazzi che hanno tentato il suicidio. Sono a rischio? Charmet: Sì. Una volta che si è fatto il primo gesto si è infranto un tabù. Il non intervenire dopo un primo, primissimo, anche banale tentativo, mette le premesse per una strana ?carriera? nell?ambito del suicidio che porterà l?adolescente, almeno nel 40% dei casi, a morire suicida. Vita: Perché? Charmet: Ci riprovano perché, nella maggior parte dei casi, il loro gesto è stato sdrammatizzato dagli adulti. è difficile affrontarlo, quindi tutti lo banalizzano: il pronto soccorso, i medici, i genitori che non hanno voglia di pensare che ci sia qualcosa di grave. Però, questo atteggiamento aumenta il loro senso di umiliazione. Vita: Che tipi sono? Charmet: Non certo malati psichiatrici. In genere si tratta di ragazzi molto ben adattati. Quando i giornali li ricordano come i più belli, i più buoni, i più intelligenti, con una bella famiglia, è la verità. Vita: Cosa fa scattare la molla? Charmet: La vergogna. Vergogna per un insuccesso scolastico o sportivo di cui dovranno rendere conto, oppure per un senso di inadeguatezza rispetto all?immagine che si sono costruiti in famiglia. La vergogna è un sentimento intollerabile, che purtroppo non si ?lava? come la colpa: per questo è difficile cambiarla. Vita: Come lavorate con loro? Charmet: Cerchiamo di intervenire sulla rete delle relazioni significative, cui evidentemente stanno mandando un messaggio nascosto. Il nostro lavoro punta a renderlo comprensibile e a inviarlo al destinatario, in modo che abbia un?azione ?trasformativa?. Vita: Cioè? Charmet: Alla fine del percorso al Crisis Center, sveliamo ai genitori e al ragazzo il motivo profondo del suo gesto, offrendo una chiave per ricostruire il progetto educativo. Se lo si è investito di troppe aspettative, ad esempio, bisogna cominciare a ridurle e a fargli vivere una più tranquilla normalità. E poi cerchiamo di dire loro di essere attenti, di continuare a lavorare su se stessi. E di imparare a comunicare.


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