Politica

Dobbiamo tornare a essere “malati”?

di Franco Bomprezzi

Leggo la notizia nel sito dell’Aisla, l’associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica e la riporto così come è scritta: “Oggi, giovedì 18 novembre, durante i lavori in corso alla Camera dei Deputati  sulla Legge di Stabilità  è stata approvata la destinazione di 100 milioni di euro ad interventi in favore dei malati di Sclerosi Laterale Amiotrofica. In particolare, gli interventi riguarderanno ricerca, campagna di informazione e promozione dell’assistenza domiciliare: «Ringrazio il Governo ed il Parlamento italiano per aver approvato questo importante provvedimento – commenta il presidente di Aisla Onlus Mario Melazzini, malato di Sla   – Ma il “grazie” più vero è più grande va alle persone con Sla, che con la loro tenacia e volontà più volte dimostrata, in ultimo martedì scorso davanti al Ministero dell’Economia, hanno ottenuto quello che è un diritto non solo nostro ma anche delle altre persone con gravi malattie e disabilità che necessitano di alta complessità assistenziale»”.

Provo sentimenti contrastanti. Cerco di essere chiaro, ma non è facile. Sono molto contento per questo risultato ottenuto grazie all’impegno, durato mesi e mesi, delle persone colpite dalla sla. Un impegno durissimo e assiduo dei singoli e dell’associazione. Le persone che vivono sulla propria pelle le conseguenze di questa malattia hanno tutto il diritto di fare qualsiasi cosa per vedere riconosciuta la “complessità assistenziale” della quale parla Mario Melazzini. Cento milioni non credo risolvano il problema, soprattutto se in parte sono destinati ad altro, cioè alla ricerca e a una campagna di informazione. A meno che questo non sia del tutto esatto, e cioè che dietro questa dizione ci sia un intervento davvero di tipo assistenziale. In ogni caso sono una robusta iniezione di risorse. Specie in questi tempi grami.

Ma nello stesso tempo sono molto addolorato per le modalità di questa vittoria. E per le parole che la accompagnano. Le persone colpite dalla sla hanno dovuto più volte esporre il proprio corpo, la propria situazione fisica precaria, anche a rischio della propria incolumità fisica, fino ad arrivare davanti alla sede del ministero dell’Economia in carrozzina, con tracheotomia, respiratori, macchine per la peg. Hanno cioè dovuto esibire le stimmate, il decadimento veloce dell’organismo. Esporre se stessi come malati, certo con dignità e orgoglio (conosco le persone, ne stimo la qualità e la forza): pur sempre un atto estremo, che, anche senza dirlo, tende a commuovere, a smuovere, a scuotere le coscienze e prima di tutto i media, le telecamere, i fotografi, i giornali. Obiettivo centrato.

D’altronde la sla, attraverso la notorietà di alcune persone, in particolare l’ex calciatore Borgonovo, ha sempre avuto un impatto mediatico forte, riuscendo a raggiungere il cuore del grande pubblico televisivo e dei tifosi di calcio. E’ tutto legittimo quando si vuole raggiungere un obiettivo sacrosanto, come quello di ottenere un’assistenza domiciliare dignitosa e adeguata alla gravità delle singole situazioni. Ma che un’azione sia legittima ed efficace dal punto di vista di chi la promuove non significa che non crei delle conseguenze che vanno altrettanto chiaramente e oggettivamente valutate.

Penso sinceramente che sia molto grave tornare a dover essere “malati” prima ancora che “persone”. E’ un passo indietro culturale fortissimo. E credo che lo stanziamento di 100 milioni abbia a che fare proprio con la solidarietà umana (e l’imbarazzo politico) di fronte a persone malate in situazione di gravità. Nulla a che vedere, o molto poco, con una corretta allocazione di risorse pubbliche per risolvere in modo serio e non discriminatorio i problemi di assistenza domiciliare di tutte le persone che si trovano nella medesima situazione, indipendentemente dalla patologia di origine. Voglio dire: una persona con distrofia in fase avanzata, una persona con tetraplegia grave, una persona con sclerosi multipla in fase avanzata, e potrei elencare a lungo, ha gli stessi identici diritti e bisogni di una persona con sclerosi laterale amiotrofica.

Ma oggi la legge di Stabilità, nella stessa giornata, “premia” i malati di sla e azzera il fondo nazionale per le non autosufficienze, taglieggia il fondo per le politiche sociali, scippa il cinque per mille agli italiani e alle associazioni di volontariato. C’è però in questo una coerenza paradossale. I tagli riguardano “diritti” di “persone”. Lo stanziamento dei 100 milioni riguarda “malati”.

Che cosa potrebbe succedere a questo punto? Che altre associazioni si inventino ulteriori, sempre più truci, esposizioni di situazioni drammatiche, che i salotti televisivi si riempiano nuovamente di tragici eroi, che si scateni, soprattutto, una atroce guerra tra poveri. E invece mai come adesso occorre ribadire che i diritti sono diritti inalienabili, anche in tempi di crisi economica e di sacrifici.

Anche Telethon sottolinea, nel corso della maratona televisiva, le “malattie genetiche” attraverso le storie di persone, di bambini, di famiglie coraggiose. Ma c’è una differenza fondamentale e decisiva: Telethon chiede fondi ai cittadini solo per finanziare la ricerca scientifica, non per l’assistenza, né tanto meno per un finanziamento diretto delle associazioni o dei malati. E questa differenza gli italiani l’hanno compresa perfettamente, e anche le associazioni di malattia genetica, a partire dalla Uildm, collaborano alla comunicazione sapendo che nemmeno un euro donato servirà a cambiare le condizioni di vita dal punto di vista dei servizi di assistenza.

Ho vissuto una vita intera cercando di spiegare che non sono “malato di osteogenesi imperfetta”. Non voglio ricominciare da capo. Ero da poco arrivato a conquistare la dignità di “persona con disabilità”, e non intendo arretrare di un millimetro. Neppure come giornalista.


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