Welfare

Diversity, Equity & Inclusion, resta il gap tra grandi e piccole imprese

I primi dati dell’indagine promossa da The Adecco Group Italia mostrano luci e ombre di questa pratica che, tra le aziende che mettono in campo iniziative di inclusione, è capace di creare valore non solo per il mondo aziendale, ma anche per la società. Oltre la metà delle società impegnate in questo campo, ma una su tre afferma di non aver alcuna iniziativa in merito. Da non trascurare l’aspetto culturale: una sfida da vincere per il futuro

di Antonietta Nembri

Le pratiche di Diversity Equity & Inclusion – De&I sono sempre più diffuse, da un lato si registra un impegno crescente di aziende e istituzione, dall’altro però il tema resta una sfida culturale che riguarda tutto il Paese se si considera che il 22% degli italiani ritiene che queste attività impattino in modo negativo sulle aziende. Ed è quanto emerge dai primi dati della ricerca "Diversity, Equity & Inclusion: creare valore per il mondo del lavoro e per la società” presentata da The Adecco Group Italia, realtà di riferimento nei servizi dedicati alla gestione delle Risorse Umane a livello globale.

La ricerca realizzata con Fondazione Adecco – che ha coinvolto oltre 500 aziende e circa 1.500 lavoratori – ha toccato nelle parole di Sergio Picarelli, presidente di Adecco Group Italia «un aspetto fondamentale e una tematica oggi sul tavolo di tutti gli Hr». Nell'illustrare i dati Claudio Soldà, Csr & Public Affairs director di Adecco ha osservato quanto per esempio le donne spingano molto più per l’equity, mentre i giovani tra i temi sensibili segnalano l’orientamento sessuale, ma soprattutto il fatto che «le attività di De&I svolte dalle aziende sono poco percepite dal personale: il 67% dei lavoratori, infatti, non sono informati».
Guardando i dati dello studio emerge inoltre che per il 35% delle aziende la De&I ha un impatto positivo sulla talent retention, mentre per il 27% comporta un miglioramento dei processi decisionali e dell'innovazione attraverso le idee, punti di vista ed esperienze e per il 13% genera migliori risultati economici e redditività. Queste pratiche inclusivi per un quarto delle imprese favorisce anche l’attrazione dei talenti e per un italiano su due è un fattore determinante nella scelta dell’azienda per cui lavorare. «I dati emersi da questo studio delineano una tendenza crescente da parte delle aziende italiane a investire in attività di De&I, ma c’è ancora tanto da fare. Oltre la metà delle imprese è impegnata su questo fronte anche se quasi 6 su 10 non mettano a punto un piano strategico per implementare e intensificare queste attività e non lo stanziano un budget dedicato» osserva Claudio Soldà che sottolinea come tra quelle che non ha abbiano fatto stanziamenti la maggioranza è rappresentata da piccole imprese. Un altro limite evidenziato dalla survey il fatto che il 67% delle aziende impegnate nelle attività inclusive dichiara di non disporre di strumenti necessari per misurare le performance e gli effetti sul proprio operato.



Da sx Christian Rocca (moderatore), Doriana De Benedictis, Monica Magri, Sergio Picarelli, Alessandra Miata, Claudio Soldà, Simone Lotterio

Nel corso della tavola rotonda Alessandra Miata, Csr Head di Capgemini, multinazionale francese con circa 9mila lavoratori in Italia, ha sottolinea il fatto che «riconoscere le differenze per noi è un motivo di attraction e retention soprattutto per le giovani generazioni. Un terzo di loro non presenta neppure il curriculum se le aziende non sono impegnate nella De&I». Miata ha poi illustrato un progetto specifico per l’inclusione delle persone con disabilità che è andato oltre il concetto di inserimento per un obbligo di legge «che spesso guida le imprese, occorre porsi da un punto di vista differente pensando alla persona che si deve inserire e facendo emergere le esigenze particolari di ciascuno». Infine per Miata le diverse attività nel campo dell’inclusione «vanno raccontate, va fatta formazione», ma soprattutto «le grandi realtà hanno una responsabilità anche nei confronti delle piccole e medie imprese: dobbiamo far sì che la catena dei fornitori ci accompagni in questa scelta». Di un’esperienza di inserimento lavorativo delle persone con disabilità e attenzione alle donne in situazione di svantaggio ha parlato anche Simone Lottiero, Recruitment manager di Kiabi Italia che ha illustrato i progetti ad hoc per madri single o con esperienze di reclusione alle spalle secondo il modello del mentoring e percorsi di tirocinio che «spesso diventano inserimenti veri e propri». Con alcuni ragazzi con sindrome di Down sono invece in corso iniziative per farli diventare assistenti alle vendite.

«Non basta la facciata, ma occorre dimostrare che tutto quello che fai riflette queste pratiche, serve concretezza e un linguaggio inclusivo e lavorare anche sulla filiera dei fornitori», ha sottolineato Doriana De Benedictis, D&I Leader di Ey Europe West che in un secondo intervento ha illustrato alcune attività «per le quali ci vuole del budget per far capire che si fa sul serio», ha chiosato. Tra le attività i gruppi di affinità: «Il primo realizzato è quello Lgbt che oggi conta 150 partecipanti e da poco è stato avviato quello sulla diversità culturale».
Per Monica Magri, Hr & Organisation director di The Adecco Group Italia importante nel portare avanti le iniziative di Diversity Equity & inclusion «il coinvolgimento dei collaboratori».

In apertura la tavola rotonda alla presentazione della ricerca "Diversity, Equity & Inclusion: creare valore per il mondo del lavoro e per la società” – foto da ufficio stampa

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