L’ultima esperienza fatta per Agevolando – un laboratorio di quattro giorni sulla ricerca dei luoghi d’incontro dei giovani con una ventina di adolescenti e neomaggiorenni provenienti da ogni parte del mondo – mi ha dato modo di rafforzare l’idea che in fondo siamo tutti diversamente uguali…
Nella mia esperienza in comunità ho osservato che quando si viene inseriti si tende ad alleggerire progressivamente i propri pregiudizi, arrivando a considerare i propri compagni come simili e non come diversi e posando così i macigni di quegli inconsapevoli luoghi comuni che si portavano sulle spalle.
Tutti questi limiti insegnati dalla cultura del proprio paese natale – qualunque esso sia – vengono piano piano abbattuti dal sentimento di comprensione e dall’accettazione di quelli che sino ad allora giudicavamo come i ‘diversi’.
In comunità, infatti, ci si può trovare ad abitare con persone provenienti da tutti i cinque continenti. Inizialmente, se si hanno dei pregiudizi, si tende a tenere distanti le persone che si reputano non “compatibili” con noi. Ma, mano a mano che la convivenza si prolunga, per umana curiosità, si cerca di capire se davvero quella persona con l’accento strano o con la pelle di un altro colore è veramente così dissimile a noi.
Inizi a parlare della scuola, degli amici, dei passatempi, della tua cultura, del cibo, delle serate…e lì scatta il ricredersi sui propri pregiudizi.
Nei quattro giorni che ho passato come accompagnatrice dei nostri cinque ragazzi di Agevolando al “Winter Lab” ho osservato l’evolversi di un meccanismo simile.
Tutto inizia con il gioco “Conosci il tuo nemico”.
I presupposti erano vari: terroni che vedevano i ragazzi del nord come ragazzi smorti, con la puzza sotto il naso, noiosi… Polentoni che vedevano i ragazzi del sud come dei delinquenti, “nullafacenti”, rozzi… Ragazzi che giudicavano chi ha un colore di pelle insolito o una lingua inconsueta come straniero, diverso.
Poi si prosegue, con “In fondo non siamo così tanto diversi”
Dopo un pomeriggio iniziano a vacillare le loro certezze, cristalli sepolti dalla polvere ed abitati dai ragni della convinzione. Iniziano i confronti sui sabati sera, sui mezzi di trasporto, sulla quotidianità, sui modi di esprimersi, sul modo di vestirsi, sui sentimenti provati quando ognuno si è sentito giudicato dal proprio interlocutore.
Osservando ed analizzando i discorsi fatti con quei ragazzi, sino a quel momento, apparentemente così diversi, la muta domanda “Sono davvero diversi?”, iniziava ad insinuarsi nei loro pensieri, come se un elefante fosse pronto a muoversi in quel negozio dei pregiudizi.
L’esperienza si è conclusa con lacrime, ricordi, speranze d’incontro in un futuro non tanto lontano: nuove grandi amicizie.
L’elefante – come nella canzoncina che cantavo da piccola, “Un elefante si dondolava sopra un filo di una ragnatela, e trovando la cosa interessante, andò a chiamare un altro elefante. Due elefanti si dondolavano…..” – inizia a duplicarsi sino a quando il filo della ragnatela si rompe e una mandria di animali giganteschi fa irruzione in cristalleria.
Ora quelle statuette scintillanti sono ridotte in frantumi e gli elefanti ci guardano sorridendo, imbarazzati e compiaciuti al tempo stesso del fatto che ci hanno esemplificato e chiarito che noi siamo tutti un po’ diversamente uguali.
Ci hanno insegnato che la diversità è l’esito dei differenti modi in cui lottiamo e affrontiamo i nostri problemi, i quali, grandi o piccoli che siano, ci contraddistinguono sempre e comunque come dei lottatori nel ring della nostra vita di giovani adulti.
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