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Disuguaglianze, Oxfam: sfatiamo i falsi miti

Una risposta ai critici da parte di Oxfam che non nega la drastica diminuzione della povertà estrema su scala globale negli ultimi decenni, ma ribadisce: «se è vero che il numero dei poveri è diminuito, il divario di povertà, ovvero la distanza dalla soglia di povertà del reddito medio dei poveri, rimane stabile»

di Mikhail Maslennikov

Il Rapporto Oxfam ha una volta di più suscitato un ampio dibattito che Vita.it ha così sintetizzato. Ora l'organizzazione fa il punto su alcuni falsi miti di cui il dibattito di è nutrito. Ecco:

Falso mito 1. Il lavoro di Oxfam è orientato in gran misura a stigmatizzare la ricchezza

Oxfam non stigmatizza la ricchezza per sé, ma denuncia le iniquità e le inefficienze nel processo di accumulazione patrimoniale e di formazione dei redditi, i meccanismi, inaccettabili sotto il profilo etico, di estrazione di rendita economica, che permettono la concentrazione di enormi fortune nelle mani di ristrette élite. Non siamo promotori di un livellamento economico-sociale e di bieco egualitarismo; vogliamo piuttosto valorizzare l’uguaglianza nelle diversità e dare impulso alla creazione di società più eque, mobili e dinamiche che possono anche contemplare le disuguaglianze, ma in cui le traiettorie e le distanze socio-economiche tra gli individui non sono frutto dell’esercizio di potere indebito e non derivano da vantaggi ingiustificabili, come quelli legati al background familiare.

Falso mito 2. E la povertà che conta, non la disuguaglianza!

Non negando la drastica diminuzione della povertà estrema su scala globale negli ultimi decenni, Oxfam si astiene sul tema da commenti trionfalistici: se è vero che il numero dei poveri è diminuito, il divario di povertà, ovvero la distanza dalla soglia di povertà del reddito medio dei poveri, rimane stabile.

Con il rapporto abbiamo rilanciato l’allarme della Banca Mondiale circa il recente rallentamento del tasso annuale di riduzione della povertà estrema che rischia di non far raggiungere l’obiettivo di azzerarla entro il 2030. Contestualmente abbiamo riflettuto sull’inadeguatezza della soglia di povertà estrema stessa, fissata oggi a 1.90$ di reddito giornaliero (PPA 2011), ricordando come su proposta della “Commissione sulla povertà globale” presieduta dal compianto Anthony Atkinson, la Banca Mondiale abbia iniziato a monitorare soglie di povertà più elevate.

Mi preme qui sottolineare almeno tre aspetti che rendono estremamente discutibile per Oxfam l’idea che siano necessarie misure distributive a favore dei poveri senza interventi pre-distributivi e forme di redistribuzione che modifichino le posizioni di chi povero non è. Perché invece il contrasto alla disuguaglianza può strumentalmente portare alla riduzione della povertà? In primis, mercati del lavoro estremamente disuguali, come quello italiano, producono povertà. Con le parole di Chiara Saraceno, il lavoro oggi non basta, a condurre una vita dignitosa. Troppe persone povere che riescono a trovare un lavoro restano povere. In secondo luogo, il prevalere di retribuzioni basse, rende difficile ai decisori politici mettere in atto forme di supporto (es. reddito minimo) a chi non lavora, mantenendo una distanza “socialmente condivisibile” fra il reddito disponibile di chi un lavoro ce l’ha e chi invece non è occupato. Per ultimo, come sottolinea il Manifesto contro la disuguaglianza degli accademici di AGIRE, più i poveri restano invisibili, più ci si ritiene lontani dal rischio di cadere in povertà, minore è la disponibilità di chi è più ricco a farvi fronte.

Falso mito 3. La metodologia di Oxfam e il messaggio che ne deriva sono scorretti

Oxfam è stata accusata di aver comparato “dati diversi”: i dati distribuzionali del Global Wealth Report 2019 di Credit Suisse e quelli sullo stato patrimoniale dei miliardari della Lista Forbes. Ai nostri critici è sfuggito però che entrambe le fonti considerano come grandezza di riferimento la ricchezza nominale netta (includendo, entrambe, le posizioni debitorie) e, in modo ancor più grossolano, i nostri detrattori non si sono accorti che per le correzioni delle stime nella “parte alta” della distribuzione globale di ricchezza i ricercatori di Credit Suisse usano esattamente… la Lista Forbes!

Sull’andamento della disuguaglianza globale nell’ultimo ventennio le attribuzioni di disinformazione a Oxfam sono semplicemente false. La distribuzione globale “tiene conto” delle distribuzioni della ricchezza all’interno dei Paesi, divenute in molti casi più squilibrate, e delle distanze nei livelli medi di ricchezza tra i Paesi, ridottesi, soprattutto negli anni 10 del nuovo millennio. Abbiamo riportato anche questo, sottolineando però come dal punto di vista del raggio d’azione di “policy correttive” è la disuguaglianza all’interno dei Paesi a dover avere maggiore peso e rilevanza sociale: siamo più rassicurati all’idea che un cittadino cinese o indiano “possieda” (o guadagni, se il riferimento è al reddito), in media, un patrimonio simile per entità al nostro, oppure siamo più preoccupati per gli squilibri che si accentuano all’interno del nostro Paese?

Infine, Oxfam è criticata per fornire una rappresentazione distorta e “presentare come povero chi povero non è”. Il riferimento è in particolare al caso “anomalo” (le virgolette sono prese in prestito da Branko Milanovic) di cittadini delle economie avanzate che si ritrovano in coda alla distribuzione globale di ricchezza, nonostante un reddito attuale (o futuro) che potrebbe collocarli nei decili medio-alti della distribuzione globale dei redditi. Uno studente di Harvard con debiti universitari oggi ma un tenore di vita alto in futuro risulterebbe dunque più “povero” nel confronto globale di un contadino del Laos in “possesso” di una piccola casupola.

L’”anomalia”, scrive Milanovic, esiste solo nella testa dei “critici” convinti che una metrica è “distorsiva” perché non mostra quello che secondo loro dovrebbe far vedere. Chi critica, a volte senza leggerlo con attenzione, il rapporto di Oxfam non si sofferma sulla distinzione che facciamo tra le diverse dimensioni di benessere socio-economico (ricchezza, reddito, consumi) usati per “ordinare” le persone.

Se lo facesse, capirebbe come lo stato patrimoniale (ricchezza netta) rappresenti per noi una misura di resilienza finanziaria degli individui (ovvero la capacità di risposta a shock di spesa imprevisti) o di investimento sul proprio futuro e quello dei propri figli, ma anche, per chi si trova all’apice della piramide distributiva, di potere di condizionamento a tutela dei propri privilegi. Mentre, il consumo e i redditi rappresentano una metrica rispettivamente dello standard di vita delle persone e dei consumi potenziali realizzati senza intaccare i propri asset.

Traendo spunto dalla lezione di Amartya Sen, non abbiamo la pretesa di arrivare a una giustizia perfetta, ma ci impegniamo ogni giorno a ridurre le ingiustizie più evidenti. Non ci stancheremo di dire che le disuguaglianze non sono né casuali né ineluttabili (e la povertà non è una colpa), respingendo l’idea che esse siano un mero riflesso di preferenze eterogenee dei soggetti economici e echeggiando i casi palesi, per noi tutt’altro che sorprendenti, di abusi che privilegiano pochi a discapito della collettività.

Casi sistematici che, nelle parole del Premio Nobel Angus Deaton, configurano un’ingiusta distopia sociale come prodotto della retorica utopistica sulla libertà che contraddistingue i nostri detrattori più accaniti.

* Policy advisor di Oxfam Italia

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