Welfare
Disuguaglianze e povertà. Per Fondazione Cariplo i più colpiti sono i bambini
Sono 3 i milioni di bambini a rischio povertà in Italia: quali rischi per la loro crescita? Quanto le disuguaglianze influenzano sui più piccoli? Moltissimo, secondo il nuovo rapporto di Fondazione Cariplo. Giovanni Fosti, presidente Fondazione Cariplo: «Dal nostro osservatorio emerge un quadro dove la disuguaglianza è una ferita per il singolo, ma anche per la comunità, in termini di sviluppo e in termini di prospettiva per il futuro. Per questo riteniamo sia cruciale porre la disuguaglianza come tema chiave e indagare il fenomeno nella sua complessità, comprendendolo in modo trasversale e condiviso»
di Luca Cereda
Sono economiche, sociali, a tratti anche culturali, di genere, razziali e climatiche le disuguaglianze che colpiscono in Itali a sono la cifra del nostro tempo. Un problema orami endemico, secondo il primo Rapporto Disuguaglianze di Fondazione Cariplo che segna profondamente non solo la vita degli individui che ne pagano il prezzo, ma il benessere dell’intera comunità. Soprattutto dei suoi membri più giovani. Un rapporto partito dai quasi 3 milioni di bambini a rischio povertà (il 29,7%, +2,6% rispetto al 2021), e che colloca l’Italia al quinto posto tra i Paesi europei in questa per nulla invidiabile classifica. La ricerca, a cura di Gian Paolo Barbetta, Luca Stella, Lorenzo Vaiani, si focalizzata proprio sull’età dello sviluppo, dai bambini della scuola dell’infanzia fino all’adolescenza. A rendere particolarmente difficile il tema delle disuguaglianze, hanno spiegato i curatori, infatti, è il mancato accordo persino sul metodo e sull’ambito di discussione: «È un tema che riguarda il volontariato, le politiche di sostegno per i più deboli, gli esperti delle scienze sociali»? Si sono chiesti da Fondazione Cariplo. «La risposta potrebbe sembrare banale, ma non lo è affatto. Riguarda tutti, soprattutto quando queste disuguaglianze plasmano il mondo in cui bambini e ragazzi crescono e i loro effetti sono misurabili già nel periodo prescolare».
Differenze di reddito – spinta da differenze di capitale e dei redditi da lavoro – divario crescente tra le retribuzioni di manager e operai, il “grande boom di (pochi) patrimoni”, hanno fatto sì che il numero di individui e nuclei familiari in condizioni di povertà sia più che raddoppiato dal 2005 al 2021. Gli studi a cui si rifà il rapporto di Fondazione Cariplo – tra cui l’ultimi di Save the children – hanno mostrato una stretta relazione tra qualità dell’istruzione e qualità della vita: il rischio, si spiega il Rapporto, è che «gli studenti più svantaggiati tendano a frequentare in prevalenza scuole anch’esse “svantaggiate” e che il rapporto tra il livello di istruzione dei genitori e quello dei figli giochi a loro sfavore, alimentando i tassi di abbandono scolastico e il fenomeno della “dispersione implicita». Chi, pur raggiungendo il diploma, non ha acquisito le competenze minime.
I risultati scolastici, però, non sono che una delle facce degli effetti della disuguaglianza su bambini e ragazzi: al centro dello studio, infatti, ci sono anche la loro capacità di autocontrollo, oltre a quella di fidarsi degli altri e di sviluppare una “teoria della mente” del prossimo, ovvero la capacità di attribuire agli altri pensieri e conoscenze. In poche parole, a mettersi nei panni degli altri.
Il rapporto si è concentrato sull’analisi dei risultati delle Prove invalsi di circa 312.000 studenti (al secondo anno della scuola primaria e al terzo anno della secondaria inferiore) per rispondere alla domanda: «In Italia, il percorso di istruzione obbligatoria e gratuita previsto dall’art. 34 della Costituzione contribuisce a ridurre le disuguaglianze tra studenti nei livelli di apprendimento, già molto marcate all’inizio della scuola?!. La risposta, purtroppo, è no: «La gran parte di coloro che partono svantaggiati non riescono a recuperare i divari con cui si erano affacciati al sistema dell’istruzione».
Questa impossibilità di recuperare è particolarmente severa per gli studenti maschi, stranieri, residenti al sud, provenienti da famiglie con basso livello di istruzione e di reddito o che non hanno frequentato l’asilo nido. I risultati ottenuti in seconda elementare condizionano quindi i risultati nei cicli successivi: quasi il 50% di chi ha un livello “Molto alto” riesce a mantenerlo anche in terza media. Tra chi proviene da contesti non agiati, si scende a 1/3.
Chi viene da famiglie privilegiate e con un livello di istruzione alto tende a mantenere rendimenti scolastici elevati nel corso del tempo e viceversa: i bambini con almeno 1 genitore laureato sono il 23% in seconda elementare. Tra questi, solo il 12% ha un rendimento “molto scarso”, in media tendono ad andare meglio. Piuttosto che servire da servire da ascensore sociale, quindi, sembra che la scuola cristallizzi le disuguaglianze di partenza. Disuguaglianze che, però, spiega il rapporto, si concretizzano e sono misurabili già prima dell’ingresso alla primaria.
Il rapporto, infatti, non si è concentrato solo sul livello di istruzione, ma anche sulle attitudini e competenze dei bambini delle scuole dell’infanzia, per analizzare come crescere in un contesto piuttosto che in un altro possa influenzarle. Gli studi contenuti in questo capitolo sono stati condotti su un campione di bambini di 4 e 5 anni (nati nel 2017 e 2018), una parte residenti in zone dell’hinterland milanese dove il reddito medio è tra la metà e il 60% del reddito medio del comune di Milano, gli altri iscritti a scuole dell’infanzia private con rette annuali di circa 10.000 euro. Attraverso varie prove, i ricercatori hanno testato le capacità dei bambini di: Dare fiducia al prossimo (bambini di 5 anni); Autocontrollarsi per 12 minuti per raggiungere un obiettivo (bambini di 4 anni); Mettersi nei panni del prossimo (bambini di 5 anni).
Tutti i test hanno mostrato come i bambini provenienti da contesti privilegiati fossero maggiormente in grado di rispondere agli obiettivi: nel primo caso, lo hanno fatto il 15% in più, nel secondo il 28% in più mentre nell’ultimo addirittura il 35% in più. Non si tratta di capacità fini a se stesse: secondo il rapporto, infatti, «i bambini che a 4,5 o 6 anni riescono a ritardare la gratificazione «hanno una possibilità molto più alta di andare bene a scuola e sviluppare il proprio potenziale come adolescenti e avanzare nella vita». Tanto più che, spiega il rapporto, anche queste disuguaglianze non vengono recuperate con l’età.
Lo studio ha anche cercato di capire cosa significhi “essere adolescenti a Milano”, sottoponendo un questionario agli studenti delle scuole superiori e utilizzando il titolo di studio dei genitori come «una buona approssimazione di molte altre differenze presenti della società». Sono stati quindi scelti un liceo classico del centro con l’88% genitori laureati e un professionale di periferia con il 10% genitori laureati.
Le risposte alle 50 domande del questionario online hanno mostrato risultati analoghi ai test condotti sui più piccoli: gli adolescenti provenienti da un contesto privilegiato mostrano più capacità di mettersi nei panni degli altri e di capacità di lettura psicologica del prossimo. Non solo: i ragazzi cresciuti in situazioni disagiate hanno mostrato un livello di fiducia più bassa (alla domanda “non fidarti mai degli altri” la media delle risposte da 1 a 10 è 6,9, contro il 58) come se pensassero che gioco fosse “truccato” nei loro confronti e che quindi l’unica possibilità sia “prendere dal prossimo tutti i vantaggi possibili a ogni costo” (5,5 contro 3,6). D’altro canto, però, ha spiegato il curatore del rapporto, tendono ad avere più determinazione nel perseguire i loro progetti.
Un’altra differenza interessante è quella sulla mobilità territoriale: i ragazzi della scuola professionale vedono il loro futuro nella loro città, molti addirittura nel loro quartiere, mentre il 55% degli studenti del classico si immagina fuori dall’Italia e pensa che imparare le lingue sia bello e non “un fastidio”.
Questo significa che il futuro di chi parte da una condizione disagiata è già inevitabilmente segnato? Ovviamente, niente è già scritto. E non solo perché «i ragazzi che crescono in ambienti meno agiati, privi delle certezze economiche e di relazioni dei loro coetanei del liceo classico, non si sentono per questo meno intelligenti o più deboli.
Dovremmo, però, interrogarci su come cambiare realmente le cose, comprendendo che quello delle disuguaglianze non è solo un problema degli individui – a cui dovremmo, però, risparmiare almeno la retorica colpevolizzante del “se vuoi puoi”, che si traduce nel “se non ce la fai è perché non ci hai provato abbastanza” – ma della società tutta. Che dobbiamo partire dalla scuola, ma che questo non può bastare se le strade iniziano a separarsi molto prima».
Da anni assistiamo a un aumento della frammentazione sociale, dove persone che vivono a poca distanza le une dalle altre spesso sperimentano condizioni di vita e hanno accesso a un ventaglio di opportunità molto differenti. «Questi solchi, che lacerano le nostre comunità, sono diventati ancora più profondi durante la pandemia, quando le distanze che esistono all’interno delle nostre comunità sono emerse con maggiore evidenza. L’esigenza di un rapporto sulle disuguaglianze emerge in questo contesto, da una riflessione che la Fondazione Cariplo ha approfondito durante e dopo la pandemia, e che ha interpellato la funzione di promuovere e rafforzare le nostre comunità, che da sempre caratterizza l’operato della Fondazione. La frammentazione delle nostre comunità si declina in una disuguaglianza di opportunità, che ha molte dimensioni e che segna in modo profondo la vita delle persone e della società», spiega Giovanni Fosti, presidente Fondazione Cariplo. Che aggiunge: «Assistiamo a una disuguaglianza crescente che crea un divario di futuro e di prospettiva di vita ed è in questo spazio che perdiamo il potenziale umano di tanti ragazzi, di tanti lavoratori, di tanti cittadini del domani. E questo avviene in un momento storico che ci vede immersi in una trasformazione demografica, dove i giovani saranno sempre meno e dove il talento di ciascuno è e sarà sempre più indispensabile. La Fondazione Cariplo è un soggetto che viene costantemente interrogato da queste dinamiche, perché opera in stretta relazione con i territori e soprattutto con le istituzioni e i soggetti del terzo settore che vivono da vicino i bisogni delle persone.
Dal nostro osservatorio emerge un quadro dove la disuguaglianza è una ferita per il singolo, ma anche per la comunità, in termini di sviluppo e in termini di prospettiva per il futuro. Per questo riteniamo sia cruciale porre la disuguaglianza come tema chiave e indagare il fenomeno nella sua complessità, comprendendolo in modo trasversale e condiviso. Nel 2022 infatti la Fondazione ha lanciato il primo bando “Inequalities Research – Generare conoscenza per ridurre le disuguaglianze”, investendo 2,5 milioni di euro, con lo scopo di promuovere, attraverso la ricerca, lo sviluppo di conoscenze in grado di rafforzare e sostenere politiche più efficaci per il contrasto alla disuguaglianza. Contemporaneamente ha avviato un lavoro di ricerca attraverso il primo rapporto disuguaglianze, per fornire uno strumento utile a sviluppare una visione d’insieme sulla problematica, approfondendo di volta in volta temi diversi. Non è sufficiente creare opportunità, è necessario invece portare queste opportunità allo scoperto proprio dove ce ne sono di meno, andare a cercare chi ha una condizione più fragile e sostenerlo nel proprio percorso».
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