Fame d'amore
Disturbi alimentari: gli specialisti ci sono, è tempo di fare rete
La Conferenza nazionale che si è tenuta a Cagliari ha fatto emergere anche altre priorità: la necessità di nuovi approcci farmacologici, il tema della sessualità, il rapporto tra l’obesità e i disturbi alimentari, le modalità d’integrazione dei bisogni assistenziali
Tre milioni di casi accertati, di cui 15mila gravi. I disturbi alimentari e della nutrizione in Italia sono la prima causa di morte per malattia tra i 12 e i 25 anni di età, secondi in assoluto soltanto agli incidenti stradali. Ma c’è un grande buco nel sistema: manca una rete che possa arginare questo fenomeno in continua crescita. Ogni giorno, nel nostro Paese, vengono fatte 23 nuove diagnosi e si registrano 10 decessi. E soltanto il 10% delle persone che presentano questi disturbi riesce a chiedere aiuto, in media tre anni dopo l’esordio della malattia.
È ormai necessario estendere il campo d’intervento a tutti gli ambiti educativi: da sola la medicina non può farcela, nonostante in Italia non manchino gli specialisti di alto livello. Questo è l’elemento principale emerso nel corso della Conferenza nazionale che si è tenuta a Cagliari. Ma non è l’unico. «Nei due giorni di lavoro sono emerse diverse esigenze da parte degli addetti ai lavori», sintetizza Leonardo Mendolicchio, psichiatra e psicanalista che dirige il reparto di Riabilitazione Dca dell’ospedale “San Giuseppe” – Piancavallo dell’Istituto auxologico italiano. «Psichiatri, psicologi, medici, nutrizionisti, biologi ed educatori sono ormai concordi nel dire che vanno intensificati i nuovi approcci farmacologici. E vanno studiati con maggiore attenzione il tema della sessualità e il rapporto tra l’obesità e i disturbi alimentari. Un altro aspetto molto delicato riguarda le modalità d’integrazione dei bisogni assistenziali nei disturbi alimentari nel grande capitolo della salute mentale, in particolare negli adolescenti. La rete degli operatori può e deve innovare e integrare gli interventi, con una maggiore presenza nel territorio. Dobbiamo mettere insieme tutti gli stakeholder interessati al tema, e qui entrano in campo anche gli operatori dell’ambito educativo: le scuole, le parrocchie, le associazioni sportive».
«È acclarato da tempo che questo tipo di disturbi merita un trattamento multidisciplinare, e di per sé questo costituisce una rete», sottolinea Umberto Nizzoli, psicologo clinico specialista in psicoterapia, presidente europeo dell’Academy for Eating Disorders – Aed. «La dimensione del fenomeno ormai è talmente vasta che è al di sopra della capacità dei servizi, soprattutto quelli pubblici, di farvi fronte. Questo è dovuto anche al fatto che questo settore ha registrato una diminuzione di risorse in termini di personale e finanziario».
«In tutta l’Italia non riusciamo a sviluppare le reti territoriali: se non radichiamo i servizi ovunque, la sfida non può essere affrontata», prosegue Il dottor Nizzoli. «Avverto la diffusione di una maggiore sensibilità da parte dei professionisti. Tuttavia, manca ancora un impatto forte a livello nazionale, e questo riguarda anche il decisore politico: non vi è piena consapevolezza del problema che stiamo cercando di affrontare. Un po’ ovunque, nel resto dell’Europa, i disturbi dell’alimentazione vengono presi in grande considerazione: mi riferisco in particolare a Germania, Austria, Spagna e Regno Unito. Di recente, il Royal College of Psychiatrists ha messo in luce che una parte rilevante della sofferenza mentale avviene attraverso l’espressione sintomatica dei disturbi dell’alimentazione. E spesso questi ultimi sono concomitanti con altri tipi di patologie mentali e hanno un impatto sulla salute globale che è pari al 4% del totale delle malattie. Abbiamo bisogno di diffondere la consapevolezza tra i giovani. Per esempio, l’anoressia nervosa espone a rischi evolutivi e di sopravvivenza molto elevati: è la patologia con la più alta incidenza di morte tra le malattie mentali, e lo è in particolare tra le giovani generazioni. Purtroppo, molte di queste persone sono contrarie alle cure».
A Cagliari erano presenti i rappresentanti di tre dei quattro attori di questo ambito specialistico: la rete ambulatoriale, la rete ospedaliera e le comunità terapeutiche (il quarto segmento è costituito da pediatri e medici di base, che sono il primo avamposto nella diagnosi nel territorio). «Abbiamo colto con grande piacere l’invito ad essere presenti a questa Conferenza nazionale perché la ricerca e la cura del comportamento alimentare costituiscono una delle sfide prioritarie e originali della nostra azione clinica e di ricerca», commenta Mario Colombo, presidente dell’Istituto Auxologico Italiano e consigliere di amministrazione della Fondazione Ambrosianeum. «Oggi più che mai è indispensabile un intervento sinergico di tutti gli attori in ambito nazionale, l’unico modo per offrire al paziente e alla famiglia la miglior opzione terapeutica e di riabilitazione. È ormai evidente la crescita sensibile dei numeri di queste patologie, in ascesa significativa soprattutto dopo la pandemia. Oltre all’approccio medico e scientifico, occorre informare i cittadini di questo problema che riguarda milioni di persone. La politica e tutti coloro che fanno programmazione sanitaria devono percepire l’urgenza del fenomeno e mettere a disposizione di chi è impegnato su questo fronte le risorse economiche e organizzative necessarie. Ecco perché è importante confrontarsi sui protocolli di cura in corso e con le diverse esperienze regionali. Il nostro Istituto è presente in diverse regioni italiane (Lombardia, Piemonte, Lazio, ndr), riscontriamo una diversità di approccio da regione a regione. Dobbiamo fare sintesi, mettendo al centro di tutto il paziente».
Vincenzo Bonaccorsi, medico, biologo e coordinatore nazionale di “Food for Mind”, riassume il pensiero dei numerosi specialisti accorsi in Sardegna per questo appuntamento. «La nostra rete riunisce al momento 18 ambulatori che operano in tutto il Paese», spiega. «Parliamo di equipe multidisciplinari che hanno un certo tipo di approccio con queste patologie. I pazienti che presentano acuzie hanno necessità di un ricovero che diventa salvavita: in quel caso necessitano di un ricovero in una struttura ospedaliera specializzata. In altri casi bisogna rivolgersi a una struttura di lungodegenza come “Lo Specchio” di Domusnovas, un centro di eccellenza che è un riferimento per tutta l’Italia. Il trattamento del paziente, che noi amiamo definire transdisciplinare, è piuttosto sfidante per l’equipe che supporta il paziente. Si richiede parecchia abnegazione, gli specialisti devono essere davvero compatti per accogliere tutte le sfaccettature che il paziente e la sua famiglia, con tutto il carico di sofferenza e preoccupazione, portano con loro e ci trasferiscono sin dalla prima visita. I giovani, e più in generale tutti coloro che mostrano disturbi dell’alimentazione, chiedono attenzione e affetto. È un grido d’aiuto che va accolto, un bisogno d’amore che ci coinvolge tutti e va ben oltre gli aspetti medici e scientifici».
«Durante i lavori di Cagliari, si è capito una volta per tutte che non c’è una prevalenza da parte di un attore rispetto agli altri», sottolinea Pablo Belfiori, direttore sanitario del Centro “Lo Specchio Dan” di Domusnovas (Cagliari). «Sono tutti importanti e perciò devono saper dialogare. Paradossalmente, è più facile riuscirci in ambito nazionale piuttosto che nei singoli territori, dove spesso le dinamiche di gestione sono condizionate da interessi o miopia di singoli operatori. Il nostro centro, da alcuni anni, ha fatto rete con l’Istituto auxologico italiano e Food for Mind, abbiamo una rispondenza nei risultati ottenuti. Il 90% delle nostre pazienti proviene dalla penisola: questo dimostra che anche nel Nord Italia mancano strutture specializzate in numero sufficiente per accogliere le persone che hanno necessità della lungodegenza».
Credit: la foto d’apertura è di Annie Spratt su Unsplash
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