Salute

Distrofia di Duchenne: nuove speranze

Pubblicato su Cell Stem Celle lo studio di un ricercatore italiano sui meccanismi con cui le cellule staminali presenti nei muscoli possono rigenerare il tessuto muscolare

di Redazione

Battere la distrofia di Duchenne sul tempo: una ricerca condotta da Pier Lorenzo Puri, ricercatore presso l’IstitutoTelethon Dulbecco e l’IRCCS Fondazione Santa Lucia di Roma, ha chiarito ulteriormente i meccanismi con cui le cellule staminali presenti nei muscoli possono rigenerare nuovo tessuto in risposta a un danno.
Pubblicato sulla rivista Cell Stem Celle sostenuto anche da Parent Project Onlus, lo studio ha individuato nuovi bersagli farmacologici da sfruttare per rinviare il più possibile quel «punto di non ritorno» oltre il quale i muscoli dei pazienti distrofici non riescono più a rigenerarsi da soli. La massa muscolare di questi ragazzi viene a poco a poco sostituita da vere e proprie cicatrici, tessuto duro e incapace di contrarsi: nella storia naturale della malattia questo è il momento che segna la costrizione sulla sedia a rotelle e la progressione verso la fase terminale, quando vengono compromessi anche il cuore e i muscoli del respiro.
Da tempo Puri e il suo team studiano i meccanismi molecolari con cui il muscolo si rigenera dopo essere stato danneggiato. In condizioni normali il danno innesca un processo infiammatorio che manda una cascata di segnali all’ambiente circostante. Tra gli “attori” sollecitati ci sono particolari
cellule staminali adulte presenti nel muscolo, che vengono stimolate a proliferare e a generare nuovo tessuto. Nei pazienti distrofici questo processo diventa alla lunga insostenibile. A causa della mancanza di distrofina le fibre muscolari sono sottoposte a continui cicli di contrazione e degenerazione: se nei primi stadi della malattia questo fenomeno è compensato da una rigenerazione che limita la perdita di tessuto, nel tempo la capacità rigenerativa si esaurisce. La rigenerazione muscolare lascia così il posto alla deposizione di tessuto fibrotico e di grasso: un
processo irreversibile simile ai segni che ci rimangono sulla pelle dopo una ferita profonda.
L’infiammazione associata alla degenerazione dei muscoli distrofici è un fenomeno chiave nel passaggio dalla fase rigenerativa della malattia a quella cicatriziale. In particolare, esiste una componente infiammatoria acuta che stimola la rigenerazione e una componente cronica che promuove i processi fibrotici. Il nuovo studio di Puri indica i meccanismi con cui le cellule staminali muscolari decodificano i segnali infiammatori e li convertono in segnali che favoriscono la rigenerazione.

La speranza è di estendere la fase rigenerativa ritardando l’effetto degenerativo della malattia, per offrire ai pazienti una prospettiva di vita il più normale possibile. «Stiamo valutando diversi composti chimici», spiega lo scienziato, «diretti contro gli enzimi chiave della cascata di segnali
cellulari identificata da questo lavoro, per aumentare la capacità delle cellule staminali muscolari di rigenerare il tessuto muscolare».
I ricercatori Telethon si sono focalizzati su due fattori cellulari: la citochina infiammatoria TNF e la chinasi p38, una proteina che media l’azione del TNF in cellule staminali muscolari. TNF è coinvolto anche in altre malattie, come l’artrite reumatoide e lo shock settico: lo studio di Puri e dei suoi collaboratori dimostra che questa citochina dirige la capacità delle cellule staminali di rigenerare il muscolo. I ricercatori hanno infatti dimostrato in un modello animale di distrofia di Duchenne che bloccando con anticorpi specifici l’azione di TNF si può aumentare il numero delle cellule staminali muscolari. Lo stesso effetto si può ottenere con molecole ancora più specifiche, che hanno come bersaglio altre proteine che mediano l’azione del TNF (la già citata p38 e EzH2””, una metiltransferasi che ha come bersaglio la cromatina).
Da qui la prospettiva di sperimentare un trattamento farmacologico “intermittente” con cui “spegnere e accendere” geni specifici che portino alla generazione di nuove fibre muscolari. Farmaci che blocchino l’attivazione delle vie di segnalazione del TNF nelle staminali muscolari
inducono queste cellule a proliferare e espandersi; con la sospensione del trattamento le staminali, cresciute nel numero, sarebbero non solo più efficaci nel rigenerare il muscolo, ma costituirebbero una riserva sensibile a un nuovo ciclo di trattamento.

«Una manipolazione di questo tipo», spiegano le ricercatrici del gruppo di Puri coinvolte nel lavoro  – Daniela Palacios, Chiara Mozzetta e Silvia Consalvi – «offre prospettive concrete per estendere la fase di grazia dei bambini distrofici e ritardare la degenerazione muscolare». La prossima sfida sarà individuare pazienti che presentino le condizioni adatte per sottoporsi alla terapia. «Con questo trattamento non si riparano i danni e non si torna indietro con la malattia» conclude Puri, «ma si può regalare tempo al paziente e alla ricerca scientifica, che nel frattempo sta andando avanti in varie direzioni».

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