Formazione
Dispersione scolastica, Terzo settore in prima fila nel contrasto
I dati di una ricerca dedicata alla dispersione scolastica e al suo costo per il nostro Paese presentati oggi a Roma. Il fenomeno ci vede in fondo alla classifica europea, nonostante il trend positivo siamo al 17,6% di abbandono.
Il fenomeno della dispersione scolastica in Italia, se non proprio allarmante, di certo è serio e critico. Circa due ragazzi su 10 (il 17,6% secondo l’Eurostat, ma 23,8, per l’Istat che utilizza parametri diversi per l’intervallo di età e di valutazione dei percorsi scolastici alternativi, regionali e tecnici) abbandonano gli studi prima della conclusione del percorso che li potrebbe portare ad un titolo di studio. Siamo in fondo alla classifica europea, anche se di recente c’è un trend positivo (6 punti percentuali d’inversione negli ultimi 10 anni). La media europea è lontana, all’11,9%. E gli obiettivi dell’Agenda di Lisbona (la ormai nota 20/20/20) hanno stabilito che per il 2020 – appunto – dovremmo scendere al di sotto del 10.
C’è molto lavoro da fare, e presto. Anche perché la ricerca (in allegato) presentata oggi a Roma (promossa da WeWorld, Associazione Bruno Trentin, Fondazione Giovanni Agnelli, CSVnet, con il titolo “Lost – Dispersione scolastica: il costo per la collettività e il ruolo di scuole e Terzo settore”, con particolare riferimento a quattro città, Milano, Roma, Napoli e Palermo), ha evidenziato su tutti quanto costa questo fenomeno al nostro Paese: l’effetto non solo sul reddito temporaneo degli individui (che dipende anche da effetti contingenti), ma su quello permanente mediamente fruibile nell’arco della vita. Ebbene, nella società attuale che sempre più spesso è definita “della conoscenza”, queste cifre comportano in capitale umano nazionale una perdita per il Paese che può andare dall’1 al 5% in meno di reddito a seconda delle ipotesi poste a base di calcolo. “Ne consegue che l’azzeramento della dispersione scolastica – si legge a pagina 9 del rapporto – potrebbe avere un impatto sul Pil compreso in una forbice che va da un minimo dell’1,4% ad un massimo del 6,8%”.
Ma cosa si sta facendo per ridurre al minimo questo fenomeno? Scuole ed enti del Terzo settore sono impegnati nella sfida, con somma fatica e risorse limitate: la ricerca rende conto di 364 progetti sviluppati da 248 scuole e 229 enti della società civile (di cui un terzo localizzati a Milano). Sono quelle e quelli che hanno risposto al questionario. Quindi è una stima parziale. Ma che già dà un’idea dell’enorme lavoro che si fa, per la maggior parte finalizzato all’integrazione curricolare per il contrasto al basso rendimento scolastico, ad attività ludico-laboratoriali per migliorare il clima scolastico, per azioni di sostegno, di gruppo e anche singoli, l’uso delle nuove tecnologie e per azioni di coinvolgimento delle famiglie.
Con un Terzo settore in prima linea: gli enti che hanno risposto al questionario raggiungono 32.747 ragazzi, erogano 8.602 ore settimanali grazie al lavoro di 6.950 collaboratori (solo una parte retribuiti, gli altri volontari). Si possono tracciare delle medie interessanti: l’attività tipica di un ente raggiunge 30 ragazzi/e, per 12 ore settimanali, su 5 giorni, e in presenza di 7 animatori. Impressiona il dato economico: per i ricercatori si può ritenere che il privato sociale arrivi a mobilitare risorse per 60 milioni di euro all’anno. Quindi calcolando le ore di lavoro, per il numero delle ore di compresenza a settimana e nell’anno, si può definire un effetto moltiplicatore: “in media, per ogni euro speso a ragazzo coinvolto, viene prodotto un valore pari a 1,60”. Effetto moltiplicativo dell’attività degli enti non profit che è addirittura più elevato se si tiene conto del fatto che quasi un quinto delle spese connesse all’attività sono autofinanziate (con i costi fissi dei locali o delle attrezzature). Un’ ulteriore testimonianza – se ce ne fosse ancora bisogno – del valore non solo ideale del cosiddetto Terzo settore.
Da segnalare però, per onestà, due dati negativi.
Primo è la scarsa collaborazione fra scuole ed enti: spesso si guardano con sospetto o peggio con reciproca delegittimazione. Ed è un peccato perché a volte limita i frutti delle azioni intraprese.
Secondo è la poca attitudine degli enti a strutturare con precisione standard di rilevazione dell’impatto dei propri percorsi di accompagnamento e di sostegno contro la dispersione scolastica. Sempre di più l’Europa e gli Enti locali che emanano bandi in questa direzione, chiedono di promuovere queste azioni a testimonianza dell’efficacia del proprio lavoro. Bisogna – dicono i ricercatori – incamminarsi con decisione in questa direzione.
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