Volontariato
Dispersione scolastica: sette punti in meno grazie al Patto educativo di comunità
Si dice che la "culla" dei Patti Educativi Territoriali sia l'Emilia Romagna. Il P.E.CO che ci racconta Giovanni Lolli è nato nel 2015 a Copparo (FE), dinanzi all'impressionante dato di una dispersione scolastica che sfiorava il 25%. Operativo dal 2018, in tre anni la dispersione è scesa di sette punti percentuali grazie a tre azioni: didattica personalizzata, orientamento, attivazione della comunità
Meno sette punti percentuali di dispersione scolastica in sei anni, grazie al P. E. CO. Siamo nel basso ferrarese, zona di “aree interne”, fra gli allevamenti di cozze e vongole di Goro e il polo di meccanica meccatronica di San Giovanni di Ostellato. Il Patto Educativo di Comunità, finanziato con 500mila euro dalla Regione Emilia Romagna, unisce 14 scuole, 9 Comuni, due servizi sociali, una Asl e una quarantina di enti di Terzo Settore. A raccontarlo è Giovanni Lolli, presidente della Fondazione San Giuseppe, un ente di formazione professionale accreditato dalla Regione Emilia Romagna con sede a Copparo e Codigoro.
Come nasce il vostro P.E.CO- Patto educativo di comunità?
Nasce dal Tavolo Adolescenti del Piano di Zona. Eravamo alla fine 2015 e facendo una fotografia delle problematiche che riguardavano i nostri adolescenti, rilevammo un 24,4% di dispersione scolastica, in pratica un under18 anni su quattro lasciava la scuola senza avere un titolo di studio. È un dato che interrogava la comunità tutta, non solo la scuola. Misurando la dispersione sul sistema integrato e non solo sul segmento scuola, considerando cioé anche la formazione professionale, eravamo al 17%: di meno, ma comunque tanto. Sono stati individuati anche alcuni target più critici: l’87% della dispersione riguardava ragazzi con disabilità, Bes e DSA, stranieri, alunni che avevano già una bocciatura alle spalle. E quasi il 78% si sviluppa nel primo anno di scuola secondaria di primo grado, fra i 14 e i 15 anni: questo significa che è frutto di un orientamento scolastico sbagliato. È anche vero che in Emilia Romagna a differenza delle altre regioni d’Italia dove l’accesso è diretto, non è possibile accedere alla IeFP dopo la terza media: prima occorre aver fatto un anno di scuola superiore. La IeFP è una scuola di seconda opportunità, un vecchio retaggio culturale che speriamo di risolvere al più presto.
Avendo capito che capito che la dispersione scolastica partiva da un’offerta formativa scollegata dalle esigenze del mercato del lavoro del territorio e da uno scarsissimo sistema di orientamento, siamo partiti quindi da tre aspetti: l’orientamento scolastico, l’innovazione didattica e la comunità intera intesa come comunità generatrice di risorse. Sono questi i tre assi del Patto.
Giovanni Lolli
Qual è stata la “diagnosi”?
Una rete territoriale completamente assente a supporto delle scuole e un coordinamento inesistente. La comunità non era consapevole di un dato così preoccupante e anche nelle scuole che avevano più sensibilità al tema vi erano modus operandi molto difformi, non c’era un modello scientifico di riferimento, ogni scuola gestiva la situazione a seconda della sensibilità del dirigente o degli insegnanti: mancava anche una figura preposta nelle scuole, quella che oggi è la figura strumentale contro la dispersione scolastica. Il Tavolo Adolescenti ha creato una commissione specifica che lavorasse sulla dispersione, immaginando un intervento che si concentrasse sull’ambito scolastico-formativo pur essendo consapevoli che il tema è multifattoriale. Avendo capito che capito che la dispersione scolastica partiva da un’offerta formativa scollegata dalle esigenze del mercato del lavoro del territorio e da uno scarsissimo sistema di orientamento, siamo partiti quindi da tre aspetti: l’orientamento scolastico, l’innovazione didattica e la comunità intera intesa come comunità generatrice di risorse. Sono questi i tre assi del Patto.
Quante realtà sono coinvolte nel Patto?
Abbiamo 9 istituti comprensivi, 4 secondarie di secondo grado, la formazione professionale. Un sistema integrato di 14 realtà unite a 9 comuni. In più il Patto coinvolge due servizi sociali, l’ASL con la Uompia e il Sert e una quarantina di realtà del terzo settore – cooperative sociali, associazioni sportive e di volontariato – che danno il vero valore aggiunto agli interventi integrati contro la dispersione. Il protocollo è entrato in funzione nel 2018, ha una durata di tre anni ed è stato finanziato dalla Regione con 500mila euro. Quest’anno sarà rinnovato con qualche miglioramento: abbiamo già pronta una bozza del nuovo protocollo da condividere e firmare. Il P.E.CO ha dato molti strumenti alle scuole e alla comunità: dai percorsi individualizzati ai percorsi ponte, le attività di orientamento che vedono il coinvolgimento importante delle imprese, i centri di ascolto in tutte le scuole partner con uno psicologo che garantisce dalle 5 alle 8 ore giornaliere, il counseling individuale per l’orientamento, i laboratori STEM pomeridiani da ottobre a maggio, i percorsi ad alta intensità educativa in tutti i 9 comuni, la formazione per i docenti e i genitori. Più un’azione non finanziata dal patto ma molto importante, una ricercazione con un monitoraggio trimestrale della dispersione scolastica
Il primo passo del Patto qual è stato?
Intanto abbiamo creato due figure strumentali in ogni scuola: l’orientatore e il referente della dispersione scolastica. Entrambi operano con modello tecnico-scientifico avallato dall’Università di Bologna, in modo coordinato e con le debite differenze tra scuola secondarie di primo grado e di secondo grado. Abbiamo attivato un protocollo che tutti gli attori hanno firmato, che definisce ruoli e tempi ben precisi, perché la questione temporale non è ari. Il ragazzino prima di abbandonare la dà dei segnali, ed è lì che devi intervenire. Oggi si sa perfettamente chi e cosa e in quali tempi. Per esempio dopo sette giorni di assenza senza giustificazione, il dirigente evidenzia il caso alla comunità ed entro sette giorni da questa comunicazione parte la macchina di azioni: significa che al primo campanello d’allarme oggi c’è un sistema integrato che fa capo alla comunità che interviene. Non è la scuola che interviene su dispersione scolastica ma è l’intera comunità. Il ragazzino viene subito preso in carico, comprese le aree del tempo libero e dello sport. Se frequenta una società sportiva, facciamo leva su quella per recuperarlo nel percorso scolastico, è l’allenatore che diventa un attore cruciale… questo ha impatto motivazionale fortissimo. Abbiamo prodotto delle Linee Guida contro la dispersione scolastica, per rendere omogeneo l’intervento; con schede per il passaggio tra scuola e scuola, con i ragazzini più deboli che sono già “attenzionati” ai nuovi insegnanti, così che sin dai primissimi giorni si possa mettere in atto un sistema preventivo. Il punto è che bisogna togliere la scuola dall’isolamento, perché la scuola da sola non ce la fa. Abbiamo ingegnerizzato il processo, messo su una macchina organizzativa per attivare risposte nel territorio: solo in casi gravissimi siamo arrivati all’intervento del Tribunale per i Minorenni, vuol dire che la comunità è risuscita in autonomia a gestire la gran parte delle situazioni. Intervenendo sulle leve della comunità abbiamo visto che si può aggredire in modo strutturato la dispersione scolastica, con risultati particolarmente significativi.
Al primo campanello d’allarme oggi c’è un sistema integrato che fa capo alla comunità che interviene. Non è la scuola che interviene su dispersione scolastica ma è l’intera comunità. Il ragazzino viene subito preso in carico, comprese le aree del tempo libero e dello sport: se frequenta una società sportiva, facciamo leva su quella per recuperarlo nel percorso scolastico, è l’allenatore che diventa un attore cruciale… questo ha impatto motivazionale fortissimo. Il punto è che bisogna togliere la scuola dall’isolamento, perché la scuola da sola non ce la fa.
Giovanni Lolli
Quali?
Al 30 giugno 2021 avevamo una dispersione scolastica del solo segmento scuola al 17,7% contro – lo ricordo – il 24,4% del 2015. E come sistema integrato – partivamo dal 17% – siamo all’11%, quasi in linea con il 10% che chiede l’Europa. Significa che abbiamo recuperato 7 punti rispetto a sei anni fa. Un lavoro immane, che però ha dato risultati eccellenti. Oggi abbiamo una rete di comunità a supporto delle scuole, con una capacità di intervento a sette giorni e un sistema che fornisce dati ogni tre mesi, articolati per ogni scuola e per ogni segmento formativo. C’è stata una presa di coscienza forte, le scuole hanno rimesso in discussione in maniera forte il loro modus operandi, ma devo dire che l’innovazione forte è stata sulla comunità: togliere la scuola dall’isolamento vuol dire rendere attori le comunità, a partire dai sindaci.
All’inizio lei ha indicato tre leve: l’attivazione della comunità intera, l’orientamento scolastico e l’innovazione didattica. Della comunità abbiamo parlato molto. Cosa prevede il Patto invece sull’orientamento?
Abbiamo completamente cambiato il paradigma: con uno slogan potremmo dire “da orientamento vetrina a scelta consapevole”. Il processo orientativo oggi inizia in prima media e accompagna le attitudini e le motivazioni dei giovani ma anche la famiglia stessa: arriva alla scelta e poi prosegue fino alla maturità. Ci sono percorsi che coinvolgono il ragazzo e la famiglia, seminari, incontri con specialisti, testimonianze aziendali nelle scuole… La vera innovazione è nella didattica, oggi è una didattica per competenze. Per la secondaria di secondo grado oltre alle testimonianze aziendali c’è una osmosi molto forte con le aziende del territorio per gli stage e per l’alternanza scuola lavoro. È stata fatta anche un’operazione molto bella su una parte del nostro territorio dove siamo intervenuti sulla riconfigurazione dei percorsi scolastici. San Giovanni di Ostellato è polo della meccanica meccatronica ma sul territorio fino a tre anni fa non c’era una scuola che preparasse periti meccanici o meccatronici. Da due anni abbiamo un percorso quinquennale di perito meccatronico, è un intervento importante perché i giovani vedono la continuità del percorso di studio nelle aziende: al contrario invece se i giovani non vedono opportunità di lavoro coerenti con gli studi, se ne vanno. Anche come formazione professionale post diploma diamo intervenuti a correggere il gap… Grazie al Patto, nei forum di programmazione scolastica e formativa ci si incontra come sistema formativo e come sistema aziendale e si concorda la politica formativa anno per anno: è una programmazione di cui siamo molto orgogliosi, il patto ha istituzionalizzato le relazioni.
C’è un risultato del Patto di cui è particolarmente orgoglioso?
Ovviamente questo della riduzione della dispersione. C’è però un altro aspetto, molto specifico del nostro territorio, particolare, su cui proprio grazie al P.E.CO. staimo iniziando a incidere…
Quale?
In Emilia Romagna la disoccupazione è al 7,5%, quella giovanile è intorno al 18-19% e quella femminile al 20%. Sul nostro territorio, che rientra nelle aree interne, le cose sono peggiori:, la disoccupazione giovanile è intorno al 12,8%, circa 4-5 punti in più di quella regionale e quella femminile è al 27%. E poi c’è il Comune di Goro, 4.900 anime, che vive prevalentemente di pesca e acquacoltura, che praticamente non conosce disoccupazione giovanile ma ha una dispersione scolastica al 30%, perché tanti ragazzini lasciano la scuola prestissimo per andare a vongole. Attraverso il Patto stiamo lavorando affinché i ragazzi fino a 18 anni possano essere assunti solo se hanno assolto l’obbligo scolastico: qualche cooperativa ci ha chiuso le porte in faccia, qualcuna invece ha già messo questa clausola nel proprio statuto. In parallelo lavoriamo sulla qualificazione delle competenze: noi siamo l’unico in ente IeFP in Italia ad avere un percorso per operatore della pesca e del’acquacoltura, che nasce su richiesta delle centrali cooperative per arginare il fenomeno della dispersione scolastica. È un esempio bellissimo di come il Patto possa istituzionalizzare le relazioni, responsabilizzare le comunità: siamo tutti parte integrante di un sistema.
Nel Comune di Goro, 4.900 anime che vivono prevalentemente di pesca e acquacoltura, praticamente non c’è disoccupazione giovanile. Ma la dispersione scolastica è al 30%, perché tanti ragazzini lasciano la scuola prestissimo per andare a vongole. Attraverso il Patto stiamo lavorando affinché i ragazzi fino a 18 anni possano essere assunti solo se hanno assolto l’obbligo scolastico
Giovanni Lolli
E rispetto alla didattica?
Abbiamo lavorato molto sulla centralità della persona, sul come mettere la persona al centro del processo educativo e formativo contro una didattica troppo standardizzata. Questa personalizzazione della didattica parte già dai primi campanelli di allarme, dopo i primi mesi. Abbiamo messo in atto tutta la nostra creatività pedagogica in classe: tutte le 14 scuole hanno un centro di ascolto che opera con ragazzi, famiglie e insegnanti – perché un aspetto importante è dare supporto agli insegnanti dal momento che sono loro a interagire con i ragazzi, dandogli competenze psicopedagogiche per avviare interventi motivazionali. C’è uno psicologo, c’è la tutorship nella didattica, ci sono pedagogisti che facilitano il processo di apprendimento. Abbiamo inserito laboratori didattici innovativi, digitali, STEM, di robotica… con la logica delle scuole aperte, perché l’intervento educativo non si esaurisce il mattino. Ogni comune ha messo a disposizione degli spazi, che abbiamo chiamato spazi ad alta intensità educativa, in continuità con i percorsi scolastici che garantiscono stimoli, motivazione, nuove forme di socialità… È importantissimo perché la dispersione scolastica porta anche all’isolamento dei ragazzi, che può significare via via scivolare verso devianza e demotivazione.
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