Noi, local insider

Disegnare un futuro con vista Monviso

«Animare significa essere prima di tutto cittadini e operatori». Dalla Sicilia al lago Maggiore, VITA racconta i sarti di comunità, persone che si fanno motore di cambiamento. La storia di oggi è ambientata in Piemonte, Valle Grana, ai piedi del Re di Pietra

di Daria Capitani

Il Re di Pietra.

Se chiedi a un bambino di disegnare una montagna, traccerà un triangolo quasi perfetto, sfumerà il bianco per innevare la cima e aggiungerà i colori scendendo a valle. Nella parte nord occidentale dell’arco alpino, in Piemonte, c’è una vetta dalla sagoma così semplice e imponente da sembrare tracciata proprio dall’immaginario di un bambino. È il Monviso, anche se molti amano chiamarla Re di Pietra. Svetta con i suoi 3.841 metri su tutta la catena circostante come una quinta silenziosa della vita che si consuma ai suoi piedi. È forse per questo che il progetto turistico integrato nato a cavallo tra Italia e Francia grazie a un protocollo che lega sei valli cuneesi, quattro d’oltralpe e un territorio di pianura, lo ha scelto come simbolo attorno al quale costruire un’identità unica e ben definita: Terres Monviso.

Anche uno stage di ghironda, strumento tipico delle valli occitane, è un’occasione per tenere vivo un borgo

È nella valle che prende il nome dal fiume Grana che Roberto Ribero, Sara Aimar ed Elisabetta Bottasso creano sinergie, veicolano opportunità di sviluppo e fanno atterrare un progetto di area vasta. Nascono come accompagnatori naturalistici professionisti che gravitano (come fondatori o come soci) attorno alla cooperativa di lavoro EmotionAlp, realtà nata per lo sviluppo turistico di una terra dalla storia antica e dai paesaggi mozzafiato. Dal 2016 a oggi, sono i tre animatori di Terres Monviso che si sono passati il testimone nella valle in cui vivono.

Luglio per loro è altissima stagione. Intercettarli insieme è complicato. Nonostante le corse, le loro risposte hanno lo stesso entusiasmo di quando all’alba raggiungono il Monte Tibert per il piacere di concedersi prima del lavoro un’immersione nella natura, tra gli alpeggi dove nasce il Castelmagno.

Quando avete sentito per la prima volta parlare di animazione territoriale e perché siete stati coinvolti?

La prima esperienza di animazione territoriale risale a circa otto anni fa per il progetto VèloViso, legato allo sviluppo cicloturistico nell’area Terres Monviso. La scelta cadde su di noi perché praticavamo già attività di accompagnamento in ambito di cicloturismo ed eravamo presenti ogni giorno sul territorio. Con una rete di colleghi lavorammo per la realizzazione di materiali ad hoc e la loro diffusione tra residenti e operatori del settore da un lato, turisti dall’altro. Nel tempo siamo stati coinvolti come animatori per le Valli Grana e Maira, mentre ora abbiamo concentrato i nostri sforzi sulla Valle Grana, non soltanto per l’animazione ma anche per la gestione della Porta di Valle, un punto di accoglienza e centro multiservizi in grado di coniugare informazione turistica e attività al servizio del cittadino.

L’animatore territoriale offre un valore aggiunto rispetto ad altre professioni legate al turismo e al sociale? Risponde a un’esigenza nuova?

Offre la possibilità di connettere il piano di progettazione strategica di un’area vasta con le singole comunità locali. La differenza rispetto al passato è la possibilità di veicolare e spiegare alle persone che vivono e lavorano sul territorio anche quei progetti che in apparenza sembrano astratti, ma che in realtà hanno un grande impatto concreto sulla quotidianità dei cittadini. Negli anni, abbiamo assistito a progetti importanti che non sono stati capaci di “atterrare” sulle comunità, perciò crediamo che la figura dell’animatore sia strategica per superare questo limite.

Se doveste dare una definizione del vostro mestiere, quale sarebbe?

Animare deriva dal latino “infondere l’anima, dare la vita”: questo significa che in ogni nostra azione, dall’aperitivo al bar alla riunione con gli amministratori del territorio, c’è un potenziale per costruire nuovi nodi o connettere a maglie più strette la comunità. Per noi essere animatori significa essere prima di tutto cittadini e operatori. A questo si aggiunge la professionalità sviluppata grazie a percorsi di studio in ambito turistico e sul campo. Viviamo il territorio, lo abitiamo.

Quanto conta il contesto in cui ci si trova nella definizione degli strumenti di lavoro?

Il turismo in una piccola valle come la nostra è molto diverso rispetto a quello che può vivere una grande città. Le comunità minute hanno il vantaggio di rendere più semplice e immediato raggiungere le strutture, gli attori coinvolti e persino i turisti che soggiornano qui, spesso li conosciamo personalmente. È però più complicato veicolare nuove forme di collaborazione e partenariato con chi spesso ha dovuto cavarsela da solo e non è abituato alle dinamiche di cooperazione. Siamo qui per sostenere e rendere più fruibile il percorso. Di fatto siamo animatori a prescindere dall’incarico.

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Le immagini sono di Terres Monviso.

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