Welfare

Disco verde alla cannabis fresca

Una sentenza della Cassazione ha stabilito che non è reato coltivare piantine "non acora giunte a maturazione"

di Stefano Arduini

Non e’ reato coltivare piantine di cannabis “non ancora giunte a maturazione”. La Cassazione, con una interpretazione differente e piu’ permissiva rispetto alla recente pronuncia delle sezioni unite che punivano penalmente la coltivazione domestica di piantine di cannabis anche se si tratta di uso personale, stabilisce che “deve escludersi la rilevanza penale” della coltivazione di cannabis se le piantine non hanno raggiunto la maturazione. E questo perche’ “va dimostrata in concreto e non a futura memoria, con assoluta certezza al di la’ di ogni ragionevole dubbio, che la sostanza detenuta sia in grado di produrre effetti droganti“.

Con questo parziale dietrofront, la Quarta sezione penale (sentenza 1222) ha assolto “perche’ il fatto non sussiste” un 45enne di Urbino, Domenico N., condannato nei due precedenti gradi di giudizio ad 1 anno e 4 mesi di reclusione oltre a 7 mila euro di multa per avere coltivato, senza la prescritta autorizzazione, 23 piantine di sostanza stupefacente, tipo cannabis sativa, in una fascia di terreno nei pressi della propria abitazione. Se per la Corte d’appello di Ancona, non aveva rilevanza “l’assenza di principio attivo” nelle 23 piantine non ancora giunte a maturazione in quanto era stato accertato, tramite consulenza tossicologica, che le piante che avevano attecchito nel terreno, se lasciate giungere a maturazione, avrebbero prodotto “una notevole quantita’ di principio attivo”, per la Cassazione la non maturazione della cannabis “deve escludere la rilevanza penale del fatto”.

Scrive il relatore Antonio Bevere che “non e’ suscettibile dell’accertamento chiesto al giudice l’affetto stupefacente in una pianta in cui il ciclo non si e’ completato e che quindi non ha prodotto sostanza idonea a costituire oggetto del concreto accertamento della presenza di principi attivi”. Venendo poi alla “prognosi espressa dal consulente tecnico sulla futura esistenza dei principi attivi”, la Suprema Corte osserva che “non puo’ equivalere all’accertamento richiesto al giudice dalla Corte costituzionale e dalle sezioni unite, all’esito del quale puo’ ritenerso dimostrata l’offensivita’ dela condotta dell’agente, nella sua accezione concreta”. Dunque, “l’accertamento a futura memoria, in cui si ipotizza, piu’ che la attuale produzione di principi attivi, l’attuale assenza di ostacoli alla futura produzione di principi attivi, non puo’ fondare una dichiarazione di responsabilita’ in un ordinamento in cui vige il principio della presunzione della non colpevolezza”.

Sia il Tribunale di Urbino, nel febbraio ’98, che la Corte d’appello di Ancona, nell’ ottobre 2003, avevano condannato Domenico N. per detenzione di sostanze stupefacenti sulla base del fatto che, in futuro, qando le piantine fossero maturate “avrebbero prodotto notevole quantita’ di principo attivo” visto che ne erano state piantate ben 23. Contro la doppia condanna, Domenico N. si e’ rivolto alla Cassazione lamentando “violazione di legge” e carenza di motivazione della sentenza “laddove afferma che le piante sarebbero giunte a maturazione producendo sostanza psicotropa, avendo attecchito al terreno, in quanto per giungere a maturazione e a produrre sostanza drogante, sono necessari altri fattori favorevoli (terreno, clima…), la cui esistenza non e’ stata accertata”. Insomma, per la difesa, e la Cassazione ha accolto la tesi difensiva, mancava il “concreto accertamento della messa in pericolo del bene protetto”. La Cassazione, nell’accogliere il ricorso di Domenico N. evidenzia come il reato contestato, “un tipico reato di pericolo connotato dalla necessaria offensivita’”, come “essenziale connotato” debba avere “la dimostrazione della probabilita’ di un evento lesivo, attraverso la dimostrazione dell’efficacia drogante della sostanza, a prescindere dalla idoneita’ concreta dell’assunzione a ledere la salute del consumatore”. Venendo quindi a considerare la recente pronuncia delle sezioni unite che aplicava la linea dura in matera di coltivazione di cannabis, la Quarta sezione penale presieduta da Piero Mocali fa notare che, “affermata la offensivita’ in astratto della condotta di coltivazione di piante da cui e’ ricavabile sostanza stupefacente”, la sentenza “esamina la necessita’ della verifica demandata al giudice di merito dell’offensivita’ specifica della singola condotta in concreto accertata”. E per la Cassazione le piante di cannabis non ancora giunte a maturazione non hanno nessuna “offensivita’”. Poco importa se lo saranno in futuro perche’ “l’attuale assenza di ostacoli alla futura produzione di principi attivi – rimarca piazza Cavour – non puo’ fondare una dichiarazione di responsabilita’ in un ordnamento in cui vige il principio della pesunzione di non colpevolezza”.


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