Cultura

Disastri (in)naturali

Da decenni la natura del sud est asiatico subisce interventi che l’hanno resa vulnerabile.

di Redazione

Il drammatico tsunami originato dal maremoto del 26 dicembre 2004 nel Sud-Est asiatico appare come uno dei disastri naturali peggiori mai registrati nella storia. Sappiamo bene che esso ha per l?appunto origini naturali dovute allo spostamento delle ?zolle? dei continenti attuali che si spostano e si scontrano sulla crosta terrestre a causa della straordinaria dinamica energetica del cuore della nostra Terra. Ma i disastri naturali, che hanno sempre avuto luogo nella storia della Terra e che ovviamente continueranno a verificarsi, producono effetti che oggi sono purtroppo amplificati dai nostri errati interventi sui sistemi naturali. Infatti gli effetti dell?intervento umano, come ci ricordano tutti gli scienziati che si occupano di Earth System Science, vengono ormai ritenuti paragonabili proprio a quelli causati dai fattori geologici.

Business as usual?
Negli ultimi decenni sono incrementati significativamente i disastri naturali e i loro effetti, come documentano gli Annual Review of Natural Catastrophes, curati dal Programma ambiente delle Nazioni Unite (Unep) e da Munich Re, una delle più grandi compagnie di assicurazioni al mondo, con costi economici, sociali e ambientali enormi per le società umane.
Purtroppo aggraviamo gli effetti delle catastrofi accrescendo la vulnerabilità degli ecosistemi con i nostri interventi dannosi, scatenando così un circolo vizioso tra vulnerabilità ecologica e vulnerabilità sociale. Non a caso, a livello internazionale, ormai si parla spesso di ?catastrofi innaturali? perché alla catastrofe naturale si aggiunge appunto l?amplificazione degli effetti dovuta alla nostra errata gestione degli ecosistemi.
Si tratta comunque di una consapevolezza che non viene riconosciuta da tutti coloro che ritengono che non si debba modificare il nostro modello di sviluppo e che tutto deve andare avanti come se nulla fosse (Business As Usual).

Meno sicurezza ecologica
Proprio nella seconda World Conference on disaster reduction delle Nazioni Unite tenutasi a Kobe, in Giappone, dal 18 al 22 gennaio scorso, capitata casualmente a ridosso dello spaventoso tsunami, vi è stato un fortissimo intervento dell?amministrazione statunitense per minimizzare al massimo i cambiamenti climatici come fattori che possono causare un alto rischio di catastrofi naturali.
Non vi è alcun dubbio che molti ecosistemi sono stati compromessi in maniera significativa, tanto che oggi risultano avere le proprie capacità di recupero altamente ridotte (l?imponente rapporto Onu Millennium Ecosystem Assessment, frutto di oltre 4 anni di lavoro dei migliori specialisti del mondo che sarà reso noto a fine marzo, lo dimostra molto bene). A furia di distruggere le foreste, di canalizzare e arginare i fiumi, di bonificare le paludi e di modificare i cicli dei grandi elementi naturali come il carbonio e l?azoto, stiamo certamente allentando le maglie della pur complessa rete di ?sicurezza ecologica?.
Gli ambienti naturali dell?area in questione sono stati sottoposti negli ultimi decenni a numerose minacce che ne hanno incrementato la loro vulnerabilità. Ad esempio le operazione di deforestazione, particolarmente significative in Indonesia, nonché le infrastrutture della fascia costiera, anche di tipo turistico, la crescente pressione antropica di una popolazione in crescita e particolarmente situata nelle zone costiere, l?inquinamento delle acque, ecc.
L?Indonesia negli ultimi anni ha subito tassi di deforestazione particolarmente significativi. Si calcola che la deforestazione negli anni 80, si aggirava intorno agli 8mila kmq annui, saliti negli anni 90 a 12mila kmq annui e negli anni più recenti, saliti ancora a 20mila kmq annui. Nella sola isola di Sumatra il tasso di deforestazione negli ultimi anni del decennio 90 si è aggirato intorno ai 2.800 kmq annui.
Particolarmente a rischio nell?area interessata sono gli ambienti di mangrovie e di barriere coralline.

Vent?anni di menefreghismo
Gli ambienti di mangrovie costituiscono uno straordinario ecosistema forestale costiero, particolarmente tollerante rispetto alla presenza di acque saline e alle onde di marea, ed è costituito da numerose specie di alberi, arbusti, felci, piante grasse ed epifite. Diverse specie di alberi del mangrovieto presentano una caratteristica struttura, con le radici che fuoriescono dall?acqua e si immergono poi nel fango e nel limo e nell?acqua stessa. Gli ambienti di mangrovie presentano una straordinaria ricchezza di biodiversità, costituiscono rifugio e zona di riproduzione per tantissime specie della fauna marina (non solo per i pesci, ma anche per i crostacei e i molluschi) e svolgono un?importante funzione di ?cuscinetto? contro fenomeni di stress quali le inondazioni e anche gli tsunami stessi.
In questi ambienti (le mangrovie sono presenti anche in America centrale e meridionale, e anche là si replicano le stesse condizioni) vive una ricca fauna che, oltre a essere costituita da diverse specie di rettili (come i coccodrilli e, in America, gli alligatori), anfibi, pesci, di crostacei e molluschi, nonché mammiferi, uccelli e numerosi insetti, è caratterizzata da quegli straordinari pesci, chiamati perioftalmi, che riescono a vivere fuori dall?acqua, ?camminando? sul terreno o sulle radici delle mangrovie, grazie all?uso che fanno delle robuste pinne pettorali utilizzate come due zampe e respirando direttamente l?aria.
Purtroppo con il nostro intervento distruttivo abbiamo seriamente danneggiato gli ambienti di mangrovie. Si pensi che gli esperti di questi eccezionali ambienti, riuniti nell?International Society for Mangrove Ecosystems, ci dicono che nel 1980, in tutte le zone costiere tropicali del mondo, erano presenti ancora 198mila chilometri quadrati di foreste di mangrovie. Vent?anni più tardi questa superficie si era ridotta, a causa della continua deforestazione, fino a raggiungere i 146mila chilometri quadrati (una superficie equivalente più o meno a quella dell?Austria o a un terzo della nostra Italia).

Obiettivo: riqualificazione
Nell?area del Sud-Est asiatico è presente più del 40% di tutte le foreste di mangrovie del mondo; in quella zona geografica è presente anche il mangrovieto più esteso del mondo, quello delle ?mitiche? Sunderbans, tra India e Bangladesh, alla foce del Gange, dove vive ancora la tigre del Bengala e dove erano ambientati molti romanzi di Salgari. Ora, dopo il drammatico evento che ha seminato morte e distruzione, il WWF, che opera in quelle zone con progetti concreti di conservazione ambientale da oltre quarant?anni, sta invitando tutti i governi che hanno stanziato fondi per la ricostruzione, a privilegiare interventi che difendano e riqualificano, anche restaurandoli, gli ambienti delle foreste costiere, le mangrovie e le straordinarie barriere coralline che costituiscono la base essenziale per la sopravvivenza.
In attesa di un assessment scientifico più dettagliato e comprensivo degli effetti dello tsunami sui sistemi naturali in tutta l?area interessata, gli esperti della Iucn, dell?Unep e del WWF sul posto hanno fatto sapere che le prime evidenze suggeriscono che gli ecosistemi di mangrovie e le altre zone forestali costiere abbiano giocato un ruolo importante nell?attenuare gli effetti negativi dello tsunami e nel salvare vite umane.
In India, per esempio, nell?area del Tamil Nadu, diversi villaggi nel distretto di Chidambaram sono stati colpiti in misura minore dallo tsunami proprio grazie alla presenza di una piccola foresta di mangrovie che ha impedito agli abitanti di venir spazzati via dalla tremenda ondata.

La salvezza dei pescatori
La foresta è tra l?altro conosciuta con il nome di Alaithi Kadukal, che in lingua Tamil vuol dire proprio «la foresta che controlla le onde». Anche il santuario di Punta Calimere, nel distretto di Thanjavur, sempre in Tamil, è stato protetto dalla foresta ancora integra. Ancora, nell?Andhra Pradesh le mangrovie e i tratti di vegetazione costiera hanno permesso ad alcuni pescatori locali di trovare riparo e di salvare la propria vita e quella delle loro famiglie dallo tsunami.

Il malefico ?bleaching?
Le barriere coralline costituiscono un altro straordinario ambiente di grande valore per la biodiversità e produttività del pianeta. L?ultimo rapporto pubblicato dall?autorevole Australian institute of marine science, lo Status of coral reefs of the World 2004, riporta che oltre i due terzi degli ambienti di barriere coralline del mondo sono gravemente minacciate per tutte le azioni causate dall?uomo, compreso l?incremento delle temperature della superficie del mare che provocano l?espulsione, da parte dei coralli, delle alghe microscopiche che vivono con essi e che ne forniscono la viva colorazione e i processi fotosintetici. Una volta espulse le alghe microscopiche, i coralli sbiancano (provocando il ben noto fenomeno del ?bleaching?), perdendo le loro caratteristiche essenziali. Inoltre la crescita di biossido di carbonio nel mare può condurre alla riduzione della calcificazione dei coralli.
Gli effetti dello tsunami sui sistemi naturali sono oggi oggetto di studi approfonditi e appropriati avviati da diverse strutture come Unep, Iucn, WWF, università e diversi istituti scientifici. I primi dati raccolti dagli studiosi, anche se presentano differenze a seconda delle aree considerate, rilevano gli impatti su alcune barriere coralline che hanno subito danni alla loro struttura (in alcune aree della Thailandia, Maldive, Indonesia e Andamane dal 2 al 10% delle barriere sono state distrutte), soffrendo anche della massa di sedimenti e di inquinanti che si è riversata in acqua attraverso i diversi passaggi delle grandi onde sulla terraferma.
L?eccezionale forza energetica delle onde e lo straordinario, successivo incremento della torbidità delle acque a causa di detriti di ogni tipo e dimensione ha provocato problemi anche a molte specie di pesci, crostacei, molluschi e altre forme di vita marina. Danni sono stati registrati anche negli ambienti di foresta costiera e sugli ecosistemi di mangrovie, anche se, per quanto riguarda l?effetto diretto dello tsunami, le conseguenze più serie si sono avute sulle piante molto giovani e non su quelle mature (in particolare diverse specie di palme, come quelle da cocco, e anche le piantagioni di pini hanno retto abbastanza bene all?impatto). Generalmente, infatti, gli ambienti di barriere coralline e di mangrovie si sono adattati abbastanza bene alle perturbazioni naturali, comprese quelle più significative quali tsunami, tifoni e inondazioni. Gli ambienti di spiaggia invece hanno subito effetti pesanti, sia di sottrazione dell?arenile che di inquinamento, e questo preoccupa per alcune spiagge dove si riproducono le tartarughe marine, in particolare la rara tartaruga liuto o dermochelide. Gli ambienti di estuari sono stati contaminati da sostanze chimiche, detriti e sedimenti.

Competenze a disposizione
L?opera di ?ricostruzione? più significativa per il futuro è dunque quella che riuscirà a ripristinare e restaurare il funzionamento di questi importanti ecosistemi, tutti ambienti che forniscono importantissimi servizi per le economie locali, come, ad esempio, la riproduzione delle specie oggetto di pesca. Il WWF sta lavorando su questo fronte, mettendo a disposizione tutta la sua competenza sul campo con progetti di gestione sostenibile delle risorse naturali svolti in cooperazione con le comunità locali.

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