Salute
Disagio mentale? Lo scotto per una mente evoluta
Se la psichiatria non è riuscita a migliorare la vita dei pazienti a livello delle altre discipline bisogna cambiare domande. Per intervenire con efficacia si guardi all'essere umano in un'ottica evoluzionistica e al significato adattativo delle sue reazioni, come spiega la psicologa Maria Grazia Strepparava
Paura, ansia, umore basso sono stati fisiologici plasmati dall’evoluzione per la loro utilità, come motori del sistema motivazionale che ci spinge all’azione. Questo meccanismo così efficiente a volte si inceppa e ci presenta il conto, nei casi in cui tali stati persistano quando non servono più o si presentino esagerati e amplificati. Il padre della psichiatria evoluzionistica, Randolph Nesse dell’Università del Michigan, si è avvicinato a questo approccio perché insoddisfatto dei risultati ottenuti dalla psichiatria tradizionale, «ancora oggi incapace di avere criteri diagnostici affidabili e omogenei». Se la ricerca di biomarcatori affidabili di malattia e soluzioni varie non ha portato alle risposte promesse, forse bisogna cambiare domande e capire che molte delle nostre reazioni emotive altro non sono che modalità operative per sopravvivere all’ambiente circostante. In altre parole, guardare al loro significato adattativo. Di disagio mentale si è occupato Vita Magazine di marzo (“Basaglia, dove sei?”) che, a partire dal centenario della nascita di Franco Basaglia, offre una panoramica autentica sullo stato di salute della cura della malattia mentale nel nostro Paese. La psichiatria evoluzionistica, come tutta la medicina evoluzionistica, considera l’organismo per quello che è: non è un marchingegno perfetto da aggiustare se si rompe, ma il frutto di un processo di selezione naturale alla base dell’evoluzione. E lì bisogna guardare, alle origine evolutive, per trovare risposte.
Dinamiche funzionali alla sopravvivenza
Per fare un esempio semplice di questi meccanismi, nel suo saggio «Buone ragioni per stare male» (Bollati Boringhieri), Nesse ricorre alla raccolta dei lamponi, ma il ragionamento si applica a qualunque attività, dal superamento di un esame universitario al completamento di una competizione che è costata settimane di impegno e allenamento. «Cominciamo un compito con slancio, proseguiamo per un po’, perdiamo interesse e passiamo ad altro» scrive. Inizialmente, passiamo di cespuglio in cespuglio con energia e motivazione, col passare del tempo il cestino si riempie e, spesso in concomitanza con il rarefarsi dei frutti sui rami, diminuisce anche il nostro interesse.
La psicologia evoluzionistica
Il calo di motivazione e di attivazione, tecnicamente di arousal, segue l’ottenimento di un certo risultato e consente poi di ripartire con nuovo slancio. Il problema sorge quando il nostro umore rimane inceppato in alto o in basso, nella fase up o down, e non cambia più in funzione del contesto. Soprattutto quando si tratta di relazioni interpersonali. «Un sistema mal regolato genera comportamenti disfunzionali che non consentono l’adattamento dell’individuo al suo ambiente e generano così sofferenza» spiega Maria Grazia Strepparava, psicologa clinica e coordinatrice del corso di laurea in medicina in inglese dell’Università degli studi di Milano Bicocca. La psicologia evoluzionistica, guardano all’essere umano come animale sociale, insegna che «le emozioni nascono quando si attivano schemi di relazione arcaici e potenti che ci hanno consentito la sopravvivenza nel nostro ambiente, fatto di stimoli fisici e soprattutto sociali. L’emozione attiva risposte comportamentali volte a un obiettivo, spingendoci all’azione». La psicologa spiega che questo modello interpretativo dei disturbi psicologici e psichiatrici, che lei insegna anche allo staff medico sanitario vittima di aggressioni da parte di pazienti e loro famigliare, fornisce risposte efficaci.
Un sistema mal regolato genera comportamenti disfunzionali che non consentono l’adattamento dell’individuo al suo ambiente e generano sofferenza
Maria Grazia Strepparava
Riconoscere gli schemi relazionali
La paura può essere dovuta a una caduta improvvisa in un crepaccio, ma anche alla percezione della propria solitudine o della propria vulnerabilità fisica o psicologica. Questo attiva di solito lo schema dell’attaccamento: «Un piccolo che prova dolore fisico o emotivo si attiva per scatenare nell’adulto caregiver una risposta. Man mano che otterrà le rassicurazioni cercate, lo schema dell’attaccamento si affievolirà e ciò gli consentirà di dedicarsi a un altro bisogno primario, quello dell’esplorazione» spiega la psicologa. «Se il suo ambiente relazionale, come ad esempio la famiglia, enfatizza la pericolosità dell’ambiente verrà inibita la sua spinta all’esplorazione e, in età adulta, la sua intraprendenza. Nel caso invece in cui non ricevesse le risposte che cerca, ma venisse sistematicamente ignorato, finirà per provare paura, rabbia e infine il cosiddetto congelamento, dall’inglese freezing, che renderà difficile una autentica vita emotiva. In entrambi i casi, sarà inficiata la sua capacità di adattarsi e all’ambiente esterno, fisico e sociale, e di interagire in modo funzionale con esso». Un secondo esempio deriva dall’altro schema di relazione, complementare all’ attaccamento, che è quello dell’accudimento: «Questo schema relazionale che spinge un essere umano a rispondere a segnali di sofferenza fisica e mentale cercando di alleviare le sofferenze della persona vulnerabile. Ma se, pur provandoci in ogni modo, non vi riesce, egli finirà per stare male egli stesso. Questo accade, ad esempio, nel burn out dei medici».
Mai smettere di adattarsi all’ambiente
In questo caso, «che l’individuo sia bloccato nella sua spinta all’esplorazione per un trauma vissuto, come una guerra, o per via di un genitore che abbia trasmesso insicurezza con la sua sovrastante presenza protettiva contro un mondo pauroso, potranno nascere fenomeni ansiosi o attacchi di panico» spiega Strepparava. Il vantaggio di questo approccio evoluzionistico è chiaro: «L’adattamento genera fatica emotiva e cognitiva, ma è quanto ci consente di vivere in un mondo mutevole e incerto e siamo mediamente bravissimi a farlo. Ma il soggetto può restare intrappolato in schemi che, pur essendo anche stati funzionali in passato, col tempo sono diventati risposte rigide e limitanti, quindi fonte di dolore e disadattamento. Conoscerli, alla luce del loro significato evoluzionistico, consente di mettere in atto interventi di aggiustamento per ripristinarne la fisiologica regolazione». A tutto ciò, vanno aggiunti i processi biologici sottostanti, legati al nostro essere in primo luogo mammiferi dalla complessa struttura sociale e che dialogano costantemente con questo livello comportamentale in una dinamica di azione e reazione. Il futuro? Per Strepparava è «creare un ponte tra comportamento e biologia, intervenendo contemporaneamente o in sequenza su questi due piani, inquadrando i disordini come alterazioni dell’adattamento all’ambiente».
Foto di Mario Purisic su Unsplash
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