Welfare

Disabilità: sette proposte per il mondo post-Covid

Per il 3 dicembre l'Onu quest’anno ha scelto il tema “Ricostruire meglio: verso un mondo post Covid -19 inclusivo della disabilità, accessibile e sostenibile”. Ma come riempire di contenuto concreto quel titolo, in un anno in cui le persone con disabilità hanno visto saltare servizi e diritti? Da dove ripartire? Con quali priorità? Lo abbiamo chiesto ai presidenti delle maggiori associazioni impegnate per l’inclusione e i diritti delle persone con disabilità

di Sara De Carli

La Giornata Internazionale delle persone con disabilità del 3 dicembre quest’anno ha per tema “Ricostruire meglio: verso un mondo post Covid -19 inclusivo della disabilità, accessibile e sostenibile”.

Ma come riempiano di contenuto concreto quel titolo, in un anno in cui le persone con disabilità hanno visto saltare servizi e diritti? Si è detto spesso che il Covid19 ha ricacciato indietro decenni di sforzi per l’inclusione: da dove ripartire? Quali sono le priorità oggi? Lo abbiamo chiesto ai presidenti delle maggiori associazioni impegnate per l’inclusione e i diritti delle persone con disabilità.

1. Il progetto personalizzato di vita come livello essenziale di un nuovo modello di welfare

Roberto Speziale, presidente nazionale Anffas

È fuori di dubbio che la qualità della vita delle persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo già prima dello scoppio della pandemia non era soddisfacente. Come più volte Anffas ha rilevato, l’attuale sistema sconta non poche criticità e spesso sono le persone che devono adattarsi ai servizi, non – come dovrebbe essere – i servizi alle persone. Tali criticità che sono letteralmente deflagrate con l’emergenza Covid, con gravissimo pregiudizio per la vita delle stesse persone con disabilità e per i loro familiari che si sono viste letteralmente abbandonate a loro stesse con i servizi improvvisamente sospesi, senza soluzioni alternative o compensative come le norme, ancorché emergenziali, avevano invece opportunamente sancito. Le criticità hanno visto nel sistema di residenzialità in grandi strutture, spesso potenzialmente ma anche concretamente segreganti ed istituzionalizzanti, le punte di caduta più evidenti, che impongono una profonda rivisitazione di tale sistema.

A fronte di tale consapevolezza è altrettanto fuor di dubbio che, come indicato dall’Onu per la prossima giornata internazionale, l’intero sistema vada ripensato nella direzione indicata, apportando profondi e radicali cambiamenti. Questo cambiamento non potrà avvenire senza l’apporto significativo dell’intero Terzo Settore Italiano.

In questo quadro rientra l’evento organizzato da Anffas nazionale per il 2 dicembre: Anffas torna ancora una volta ad indicare la progettazione individualizzata dei sostegni ed il progetto personalizzato di vita il livello essenziale base su cui costruire un nuovo modello di welfare. Il tutto per Anffas deve essere, infatti, basato sulla centralità della persona, sulla migliore qualità di vita possibile a cui ognuno ha diritto grazie ad adeguati ed efficaci sostegni. Il riferimento principale rimane ancorato ai paradigmi sanciti dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità ed al discendente modello basato sui diritti umani, civili e sociali. Compito certamente arduo e di non facile perseguimento, ma a cui Anffas non intende rinunciare, continuando a proporre soluzioni innovative e mettendo in atto studi, ricerche e sperimentazioni, in collaborazione con gli enti e le istituzioni che si spera, acquisiscano sempre più e rapidamente maggiore consapevolezza.

2. Superare l’isolamento, favorendo la possibilità di comunicare

Rossano Bartoli, presidente della Lega del Filo d’Oro

Esprimere la propria volontà per le persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali che la Lega del Filo d’Oro segue non è una cosa scontata: per questo la prima cosa necessaria è favorire nel modo più assoluto la loro possibilità di comunicare. Questo implica innanzitutto avere del personale formato per riuscire a costruire un canale di comunicazione anche dove sembra impossibile. Abbiamo la legge 107/2010 che riconosce la sordocecità come disabilità specifica, ma non è ancora del tutto applicata e soprattutto ha necessità di essere rivista perché non comprende tutte le persone che vivono l’esperienza della sordocecità. Abbiamo il tema del riconoscimento della Lingua Italiana dei Segni (LIS) e della LIS tattile (LIST), un punto fondamentale perché la persona sordocieca ha assoluto bisogno di poter contare su persone capaci di comunicare con loro, sia nei momenti della vita quotidiana sia in situazioni di urgenza o emergenza. In questi mesi abbiamo visto una sofferenza maggiore delle persone sordocieche e pluriminorate psicosensoriali, che a causa delle regole di distanziamento hanno vissuto una esperienza di isolamento totale, molto più di quanto abbia vissuto una persona che non ha difficoltà sensoriali e molto più di quanto già sono obbligate a vivere per la loro condizione.

Il nostro auspicio è che si tenga conto, nella progettazione e nella realizzazione dei servizi, del fatto che serve un’attenzione particolare per le persone che hanno maggiore intensità di bisogno assistenziale e riabilitativo o nelle modalità per comunicare. Questa attenzione specifica deve riguardare l’intero Paese, perché dal nostro osservatorio vediamo come in molte regioni ci sia una assenza veramente notevole di certi servizi, così come chi vive la condizione della sordocecità o della pluriminorazione psicosensoriale trova sostegni e risposte purtroppo molto diversi da una regione all’altra. E nella misura in cui saremo capaci di dare risposte adeguate ai bisogni di chi ha più esigenze, la nostra società risponderà meglio i bisogni di tutti.

3. Basta con le risposte “a gettone”

Marco Rasconi, presidente nazionale UILDM

Personalmente sono uno che crede molto nell’informazione: credo che l’unico modo per sconfiggere davvero le divisioni nell’inclusione è essere capaci di raccontare le varie diversità, in generale, non solo quelle relative alla disabilità. Lavorare sulla cultura, però, non esime dalla necessità di strumenti operativi e i temi attuali sono molti e urgenti. C’è necessità di una inclusione scolastica che funzioni meglio, anche all’università. C’è la necessità di dare di sollievo alla famiglia. C’è l’applicazione dell’art 14 della 328: avere dei progetti di vita ci porta a mettere la persona al centro, definendo i suoi bisogni e desideri, smettendo di parcellizzare sia la raccolta del bisogno sia la risposta: scuola, educativa, trasporti, risorse economiche… deve essere tutto insieme. Questo ci porta alla vita indipendente: dobbiamo dare ancora molte opportunità, perché speranza di vita si è allungata. Temi che indichiamo da tempo: l’opportunità di muoversi liberamente in città, l’accesso ai servizi, le barriere architettoniche, l’accesso al lavoro e l’accesso alla casa, l’assistenza vista ancora oggi in maniera antiquata e assistenzalista, passiva, perché quasi non esiste l’assistente personale come figura professionale ma esiste pressoché solo il badante che ti lava, ti mette in carrozzina, guarda insieme a te la tv… Pensiamo al paradosso per cui chi vive davvero la vita indipendente e per esempio lavora e si sposa, puoi si vede togliere servizi perché ha un Isee troppo alto.

Qual è allora il cambiamento? Il riconoscimento del ruolo persona con disabilità come persona. Come si fa? Andando a scardinare tanti paletti culturali, smettendo di dare risposte “a gettone” con risorse dedicate a singoli pezzi di vita, immaginando un progetto vita, con risposte trasversali, multiple e composite.

4. Coinvolgere le associazioni: ognuno di noi sa quali sono le risposte più urgenti da dare

Francesco Vacca, presidente nazionale AISM


Nell’emergenza da Covid19 per lo più non è stata presa in esame la persona con disabilità. Ad esempio a febbraio, con i primi casi Covid, il territorio non è stato per lo più in grado di dare risposte se non grazie al mondo del volontariato e in alcuni casi la persona, non avendo risposte, ha dovuto rinuncia alle cure. Ci sono stati conseguenti fenomeni di isolamento sociale, ansia, e compromissione delle condizioni di salute. Molte prestazioni, come la fisioterapia, sono state sospese e ad oggi non sono ancora riprese, con il rischio che se non andiamo a riprogrammare con la massima urgenza un funzionamento del sistema di cure e assistenza per la SM "a prova di COVID", si determineranno delle perdite di salute irrecuperabili con enormi costi sanitari e sociali che dovremo affrontare nel futuro. Si tratta di qualcosa che non riguarda solo la SM, ma molte patologie gravi. Noi di Aism non ci siamo mai fermati, non si sono mai fermati i centri clinici e non si è fermata la ricerca. Come Associazione, dai primi giorni dell'emergenza, stiamo cercando di arginare questo drammatico impatto della pandemia sulle persone con SM e i loro familiari, collaborando con i centri clinici, affiancando le persone, mantenendo prossimità anche con soluzioni di distanziamento fisico, assicurando sostegno psicologico, tutelando i fondamentali diritti (salute, lavoro, protezione sociale, etc.), confrontandoci a tutti i livelli con le Istituzioni per lavorare sui bisogni immediati e in parallelo per costruire le soluzioni utili per il futuro, promuovendo anche una ricerca – attraverso FISM, la nostra Fondazione – centrata su COVID e SM, a partire dalla mappatura dei dati di contagio.

Proprio con il nostro consolidato modello di advocacy abbiamo portato alle Istituzioni le evidenze del Barometro e formulato proposte concrete per la ripartenza. Il nostro appello per andare oltre l'emergenza, presentato al Governo, al Parlamento, alle Istituzioni regionali, ai Dirigenti delle ASL e a tutte le parti in causa, ci dice che è ora di rompere gli indugi e mettere mano a quelle riforme da troppo tempo lasciate in sospeso: la piena attuazione del piano nazionale della cronicità; una reale integrazione tra ospedale e territorio, tra sanità e sociale; un ripensamento del modello di welfare che sia davvero di prossimità; una strutturazione di reti per le patologie gravi, come la SM, in grado di reggere l'urto di questa e di future pandemie con percorsi diagnostico terapeutico assistenziali davvero applicati; ma anche registri di patologia e dati accessibili e utili ai processi decisionali ed alle scelte di programmazione sanitaria.

Da poco, in occasione del convegno annuale FISM sulla ricerca, abbiamo incontrato il ministro della Ricerca Gaetano Manfredi, che ha sottolineato il fatto che il coinvolgimento del Terzo settore è fondamentale per una vera innovazione. Partiamo da qui, iniziamo a coinvolgere pienamente il Terzo settore nei tavoli tecnici e le associazioni delle persone che rappresentano i cittadini con disabilità e gravi patologie nei processi di elaborazione e nell'assunzione delle scelte future, in ambito di salute, ricerca, inclusione. Perché ognuno di noi sa quali sono le risposte più urgenti da dare.

5. Sfruttare le opportunità date dalle tecnologie

Serena Porcari, Presidente Dynamo Camp Onlus

La situazione pandemica che stiamo attraversando ha aggravato la situazione di numerose famiglie che vivono la disabilità di un figlio. Chi era prevalentemente “solo” ha sofferto in misura ancora maggiore, con l’aggravarsi dell’isolamento. Chi come Dynamo Camp lavora a beneficio di bambini con gravi patologie e disabilità, ha agito trovando nuovi strumenti, sorti come spesso accade in modo spontaneo e con la rapidità che impongono le situazioni di urgenza ed emergenza. Si tratta di soluzioni che spesso meritano di essere studiate e approfondite. In particolare le opportunità date dalla tecnologia sono enormi e possono accrescere i benefici dati dal sostegno e dalla cura tradizionale. Intelligenza artificiale e realtà aumentata, per esempio, hanno enormi potenzialità per lo sviluppo di strumenti che possano migliorare la vita di bambini con gravi disabilità e delle loro famiglie. Le potenzialità sono enormi. L’epoca storica ha accelerato l’utilizzo di questi strumenti che ora è prezioso portare avanti anche a livello di sistema Paese.

Nel caso di Dynamo, ci siamo attivati con programmi digitali come A Casa Come A Dynamo e abbiamo realizzato Camp virtuali progettati ispirandoci ai ritmi del Camp fisico. Queste iniziative continueranno, non sostituendosi alla nostra offerta, ma integrandola, per raggiungere chi non può essere presente al Camp.

Riportando ancora la nostra esperienza, è proprio di questo 2020 l’ideazione, lavorazione e messa in scena dell’Attimo fuggente, rielaborato e interpretato da 16 ragazzi Dynamo di cui molti con gravi disabilità: hanno realizzato il progetto da remoto, guidati dallo Staff Dynamo e da un regista professionista, durante i mesi del lock down e il 4 ottobre erano in scena con grande bravura e pieni di emozione sul palco del teatro di Dynamo Camp. Grazie a un donatore abbiamo sviluppato e sperimentato l’arrampicata con realtà aumentata: uno strumento che apre infinite possibilità all’immaginazione di bambini con disabilità gravissime.

6. Per una cultura della solidarietà

Don Vincenzo Barbante, Fondazione Don Carlo Gnocchi

Durante la pandemia è emersa in maniera vistosa una “approssimazione” del nostro sistema nei confronti della cura della cronicità e in particolare del mondo della disabilità: la mancanza di una strategia complessiva. Nei confronti di questo mondo c’è la tendenza a un approccio sempre molto emotivo ma poco attento in termini di pianificazione degli interventi e anche nella pandemia la reazione del sistema è stata quella di intervenire per far fronte all’emergenza così che – mancando la pianificazione – il mondo della disabilità è stato sostanzialmente ignorato.

Dinanzi alla domanda “come ripartire?” o “quale insegnamento trarre” da ciò che stiamo vivendo, la cosa più importante è avviare davvero un percorso di sviluppo della cultura della solidarietà. Questa cultura della solidarietà ci riguarda tutti, perché tutti abbiamo sperimentato la fragilità e la risposta doveva essere quella di unire le forze e le risorse, per far fronte alla pandemia: se questo manca, è evidente, il prezzo maggiore lo pagano i più deboli. Quindi la prima sfida è passare da un approccio centrato sull’emozione, che si consuma velocemente e che infatti dà come risposte ai bisogni interventi sporadici e occasionali, a una cultura della solidarietà. Se manca cultura della solidarietà, manca la capacità di rispondere ai bisogni delle persone. Al centro invece ci devono essere i bisogni delle persone, in modo particolare, di ogni persona nella sua singolarità: una cultura della solidarietà deve essere attenta a ciascuno.

Mi si chiede quali sono le due cose più urgenti oggi. La prima è avviare un percorso culturale capace di dare risposte ai bisogni, impiegando in maniera razionale le risorse, che non mancano ma bisogna pianificarle in maniera adeguata. La seconda, avere il coraggio – anche se ha un costo elevato – di sviluppare una medicina della disabilità. Oggi infatti normalmente nelle nostre strutture sanitarie le persone con disabilità non trovano personale adeguatamente preparato a far fronte ai loro bisogni, una persona con disabilità in ospedale rappresenta una sfida per i sanitari e siamo spesso costretti a distaccare personale in ospedale per assisterli.

Un’ultima osservazione sulla parola inclusione: non è un concetto adeguato. La nostra sfida è l’integrazione, una cultura nella quale tutti sono importanti. Le persone con disabilità non sono altro che l’espressione della nostra stessa umanità e manifestano una condizione che è propria di tutti. Ci offrono l’opportunità per fare verità sulla nostra identità, mentre spesso viviamo dimenticandoci quello che siamo, fragili.

7. Possiamo sopravvivere solo aiutandoci l’uno con l’altro

Massimo Mauro, presidente di AISLA e Alberto Fontana, presidente dei Centri Clinici NeMO

Con oltre 3.734 consulti clinici e interventi a distanza, 600 ambulatori in chiamata e videochat di supporto psicologico, 934 chiamate al servizio di nurse coaching, 3.153 chiamate al Centro di Ascolto AISLA, 759 famiglie con con SLA supportate, 145 casi presi in carico dal numero verde di Famiglie SMA e 57 punti di incontro UILDM, AISLA ha fatto immediatamente fronte comune con il Centro Clinico NeMO, UILDM e Famiglie SMA per proteggere le famiglie e rafforzato ulteriormente l’impegno di presa in carico delle persone con malattie neuromuscolari ed in particolare con la SLA anche “a distanza”. Questi sono i numeri della prima fase della pandemia che ci ha isolati nelle nostre case senza la possibilità di essere adeguatamente seguiti secondo un piano di interventi sanitari puntuali (fisioterapia, servizi infermieristici,…) e con visite specialistiche periodiche.

L’isolamento per noi è una vera e propria trincea nella quale la comunità di persone con disabilità si è unita, con le loro associazioni, ed è stata capace di dare risposte al bisogno, senza riserve, in modo creativo e appassionato, con la certezza di non essere soli. Con rinnovato coraggio e maggiore consapevolezza, stiamo affrontando questa seconda fase di lockdown che sarà, a prescindere dai colori, ancora più dura di quella di marzo. Giunti quasi al termine di questo 2020, un anno tremendo per la storia del nostro Paese e non solo, ciò che allevia i nostri cuori è la fraterna solidarietà che ci ha fatto riscoprire il valore della reciprocità. Non dimentichiamoci che noi uomini possiamo sopravvivere su questa terra solo cercando di aiutarci l’uno con l’altro.

Photo by Rasmus Gerdin on Unsplash

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