Tagli ai caregiver

Disabilità: senza gli aiuti economici, le famiglie non sopravviverebbero

Mentre si discute dei tagli all'assistenza familiare in Lombardia, ci sono moltissime famiglie che si trovano in difficoltà già ora, con i sostegni che ricevono. Se questi soldi dovessero diminuire, per molte sarebbe un disastro, dal punto di vista finanziario ma anche fisico ed emotivo

di Veronica Rossi

Un uomo a letto, coperto con una coperta e una tracheotomia, lo abbraccia da dietro una donna coi capelli castani e gli occhiali

Del taglio ai sussidi per l’assistenza familiare in Lombardia per dare attuazione al Piano nazionale per la non autosufficienza, saranno le famiglie delle persone con gravi disabilità a pagare il prezzo. Molte di queste, infatti, riescono a far quadrare i conti a fine mese (e a fornire un’assistenza adeguata al proprio caro) proprio grazie agli aiuti economici che ricevono; una loro riduzione avrebbe conseguenze devastanti in termini finanziari ma anche in termini fisici ed emotivi. Per dare idea dell’impegno fisico, mentale e finanziario a cui sono sottoposte le famiglie, abbiamo raccolto la testimonianza di una caregiver di Boltiere, in provincia di Bergamo, Pierangela Mandelli, moglie di Alberto Spada – oggi quarantottenne –, ammalato di Sla dal 2014. L’assegno di 900 euro al mese che la donna percepisce come caregiver di una persona che ha bisogno di supporto vitale a giugno calerà, per effetto della direttiva 1669 della Giunta regionale, a 700 euro. «Sia nel caso del passaggio da 900 a 700 per chi è in supporto vitale che nel caso del passaggio da 650 a 400 per le altre disabilità», afferma Stefania Bastianello, direttrice tecnica dell’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica – Aisla, «si tratta di una decurtazione che, sommata all’inflazione, al caro vita e all’aumento dei costi energetici è francamente inaccettabile».

Mandelli, qual è la storia della vostra famiglia?

Mio marito era un libero professionista, aveva un’impresa edile; di conseguenza, quando si è ammalato non ha avuto nemmeno la pensione. Il contributo che prende ammonta a circa 300 euro di inabilità al lavoro e 500 euro di accompagnamento, che gli vengono tolti tutte le volte che va in ospedale, dove purtroppo continuerebbe a servire, perché la maggior parte delle volte in reparto non sanno gestire un malato di Sla. Se poi il comunicatore con cui mio marito interagisce non funziona, tutto diventa più difficile. Attualmente con la misura B1 percepisco 900 euro al mese, che tuttavia non bastano.

Come mai?

Con il piano Ats che ho in uso, al massimo possono darmi un’ora al giorno una persona che venga ad aiutarmi dal lunedì al venerdì, con due accessi dell’infermiere alla settimana. Io però sto cercando di mandare avanti la ditta di mio marito: se avessi trovato un lavoro da dipendente i soldi che avrei guadagnato sarebbero andati tutti nella gestione della persona badante che avrei dovuto assumere per mio marito. Mi sono quindi concessa un mio spazio, perché oltre a gestire lo sport dei miei figli devo andare spesso e volentieri in cantiere: per questo motivo ho dovuto aggiungere tre ore al giorno che pago io per cinque giorni a settimana, perché il sabato e la domenica faccio tutto da sola. Per avere l’ora di assistenza a mio marito fornita dall’Ats ho dovuto anche togliere il fisioterapista, che ora pago da sola. Poi, visto che i malati di Sla sono tutti diversi l’uno dall’altro, mio marito ha anche una forte scialorrea; abbiamo provato molte medicine e terapie, compresa la radioterapia, ma l’unica cosa che funziona è un cerotto di scopolamina che viene dalla Svizzera. Di conseguenza devo comprare questo farmaco, che costa 49 euro per cinque pezzi della durata di tre giorni ciascuno, più il prezzo della spedizione. I sondini che mi passa l’Ats per un anno io li consumo in un mese e mezzo circa, quindi li devo acquistare, al costo di 20 centesimi l’uno, e ne uso più o meno una trentina al giorno. C’è però una cosa che mi rammarica più di questo.

Cosa?

Se io un giorno decidessi di mettere mio marito in una struttura tutto sarebbe gratis; lui, però, si è sottoposto alla tracheotomizzazione e a tutte le terapie perché vuole continuare a vivere, nonostante la vita disumana che deve affrontare, per vedere crescere i nostri due figli. A me non sembra giusto che io debba privarlo di questo. Però dopo dieci anni di assistenza, anche se sono ancora abbastanza giovane, sono piuttosto provata e non so quanto riuscirò ad andare avanti.

Come se la caverebbe se i sussidi che riceve venissero tagliati?

Saremmo messi malissimo, perché se non ci sto dentro coi soldi che prendo ora, figuriamoci con meno.

Non ce la farebbe nemmeno se venissero aumentati i servizi?

Se a me dovessero dire «Ti tolgo tutto, ma c’è una persona che viene tutti i giorni al tuo domicilio per otto o 12 ore al giorno» firmerei anche domani. Ma non credo che la situazione sarà questa. Noi viviamo in un Comune dove fino all’anno scorso non c’era l’assistente sociale e non era nemmeno stato stanziato a bilancio il Servizio di assistenza domiciliare – Sad per le famiglie non abbienti. Non penso che potranno essere erogati servizi adeguati ai nostri bisogni.

In apertura foto di Alberto Spada e Pierangela Mandelli

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