Giornata delle persone con disabilità
Disabilità e povertà: quattro piste per uscire dal circolo vizioso
Per la prima volta in Italia, uno studio indaga la correlazione tra disabilità e povertà: ne emergono 4 chiare piste operative per il futuro. Quasi nove famiglie su dieci fanno fatica ad arrivare a fine mese, ma la povertà maggiore è legata al senso di solitudine (7 su 10 non hanno una rete amicale di supporto) e di abbandono da parte delle istituzioni (1 su 5 non ha fruito di alcun sostegno pubblico nell'ultimo anno). Nove su 10 non chiedono più trasferimenti monetari, ma più servizi. E servizi più umanizzati.
Nella letteratura internazionale è stato riconosciuto fin dagli anni ’90 il rapporto tra disabilità e povertà: è cioè assodato che anche nei paesi sviluppati le persone con disabilità sperimentano mediamente tassi di povertà più elevati rispetto al resto della popolazione. Disabilità e povertà sono condizioni che si rafforzano a vicenda, contribuendo ad aumentare la vulnerabilità e l’esclusione.
In Italia però manca uno studio sistematico sul nesso tra disabilità e povertà e che quantifichi il livello di inclusione delle persone con disabilità. Il rapporto Istat sulla disabilità del 2019 elenca i motivi per cui la disabilità ha ricadute economiche sulle famiglie, come per esempio l’aumento delle spese e la difficoltà a mantenere il lavoro. Mentre a livello europeo l’indagine Eurostat relativa al 2022 evidenzia come anche in Italia il 32,5% delle persone con disabilità sono a rischio povertà più delle persone senza disabilità (22,9%). Uno studio approfondito però non c’è: questo deficit informativo è dovuto principalmente alla difficoltà di tradurre concretamente in qualcosa che sia misurabile il concetto di disabilità, così come è stato definito dall’Oms all’inizio degli anni Duemila e dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità. Alcuni decreti attuativi della Legge delega sulla disabilità (L. n. 227/2021), che vanno a rivedere le definizioni stesse di disabilità, dovrebbero facilitare future rilevazioni.
In questo contesto, in occasione della Giornata Internazionale delle persone con disabilità 2023, arriva lo studio Disabilità e povertà nelle famiglie italiane, realizzato da Cbm Italia Onlus insieme a Fondazione Zancan: è la prima ricerca del genere nel nostro Paese e nasce proprio per “illuminare” una realtà che finora non è stata abbastanza indagata. «A livello internazionale Cbm lavora da oltre 110 anni per spezzare quel circolo vizioso in cui povertà e disabilità si alimentano a vicenda nei Paesi del Sud del mondo: lo fa attuando progetti di salute, educazione e vita indipendente, mettendo al centro le persone con disabilità e i loro diritti», afferma il direttore di Cbm Italia, Massimo Maggio. «Dopo tanti anni di lavoro all’estero, dal 2019 abbiamo iniziato a lavorare anche in Italia, con interventi che mirano all’inclusione e al rispetto dei diritti delle persone con disabilità. Ci siamo chiesti quindi quale sia la portata del legame tra disabilità e povertà anche nel nostro Paese». La ricerca nasce così e oggi «è uno strumento che mettiamo a disposizione di tutti per ideare interventi di welfare sociale e lavorativo, per aumentare la consapevolezza dei diritti nelle persone e ampliare la cultura dell’inclusione».
Il campione della ricerca
Il campione della ricerca – costruito con l’aiuto di numerosi enti e associazioni – è costituito da 272 persone a cui è stato sottoposto un questionario. Di queste, 57 sono state coinvolte in interviste qualitative. I rispondenti sono persone che vivono in famiglia, residenti in tutta Italia, di età compresa tra 14 e 55 anni. Nove su 10 hanno la cittadinanza italiana. Dal punto di vista dell’istruzione, il 45% è in possesso di licenza media superiore. In riferimento alla disabilità, 9 su 10 hanno ottenuto il riconoscimento della condizione di invalidità civile. Il 45% fa parte di un’associazione che le supporta.
9 su 10 hanno difficoltà ad arrivare a fine mese
A me sinceramente i soldi di mio figlio non bastano per le terapie che gli faccio fare […] eravamo andati a [città 1] per un controllo e ogni volta per fare su e giù sono soldi… Spostarsi tre persone, arrivare a [città 2], noleggiare la macchina, andare negli ospedali, dormire e mangiare […] Lui fa fisioterapia, chinesiterapia, poi fa dei massaggi, sempre a spese nostre; poi ovviamente qualche hobby glielo devo trovare… e quindi i soldi vanno via. [Int 55]
In riferimento alla situazione economica, in quasi 9 casi su 10 le famiglie intervistate vivono un disagio economico soggettivo cioè riconoscono di arrivare a fine mese con difficoltà. Dal punto di vista oggettivo: il 62% non è in grado di affrontare una spesa imprevista di 500 euro; 2 su 3 non possono permettersi una settimana di vacanza l’anno; più di 4 su 10 si sono trovati in arretrato con il pagamento delle bollette; 1 su 5 ha avuto difficoltà a comprare il cibo necessario al sostentamento della famiglia; quasi 1 su 3 non ha avuto soldi nell’ultimo anno per spese mediche (visite e medicinali); poco più di 1 su 5 è impossibilitata a riscaldare adeguatamente la propria abitazione di residenza. Tutte queste percentuali si aggravano se la persona vive nel sud del Paese, se i genitori sono giovani, se il livello educativo è basso, se non fanno parte di associazioni a sostegno della disabilità.
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In sintesi, hanno difficoltà ad arrivare alla fine del mese l’88% delle persone coinvolte e le persone con disabilità in famiglie; fanno più fatica quelle che non fanno parte di associazioni finalizzate al sostegno della disabilità (94%) rispetto a quelle inserite in un’associazione (85%); quelle in cui gli altri componenti presentano un basso livello educativo (92%) e quelle in cui i genitori, ove presenti, sono giovani (oltre il 90% dei casi).
Le persone con disabilità coinvolte nello studio vivono in famiglie che nel 12,5% dei casi presentano una situazione definibile come “forte disagio lavorativo”, ossia una situazione in cui tutti gli altri componenti della famiglia (diversi dalla persona con disabilità di riferimento) adulti e non pensionati sono disoccupati/e, inattivi/e o inabili al lavoro; l’incidenza del marcato disagio lavorativo sale al 17,2% (oltre un caso su sei) nel Mezzogiorno.
Uno su 5 non ha ricevuto nessun aiuto nell’ultimo anno
Le famiglie sono stanche, diventano sempre più vecchie e non hanno più voglia di lottare. È questo il problema. Perché finché sei giovane puoi spaccare il mondo, ma ti spacchi te; adesso abbiamo rinunciato addirittura a lottare. Non vale neanche più la pena di parlare. Questo è il nostro problema. [Int 43]
Nel 37% dei casi c’è una sola persona che si prende cura della persona con disabilità; per un altro 35% dei casi ce ne sono due. In quasi un caso su quattro (23%) la madre è l’unica figura che si prende cura della persona con disabilità (se la persona con disabilità è minorenne, la madre è la persona che se ne prende cura nel 94% dei casi). Il 9% delle persone coinvolte nello studio è aiutato da un/una assistente familiare, mediamente per 48 ore alla settimana. L’11% di chi vive in una famiglia che non è in deprivazione materiale ricorre all’assistente familiare, rispetto al 6% di chi vive in una famiglia in deprivazione materiale. Il 12% di chi fa parte di una associazione che si occupa di sostenere le persone con disabilità riceve aiuti dall’assistente familiare, contro il 7% di chi non fa parte di un’associazione.
Negli ultimi 12 mesi il 21% dei rispondenti ha ricevuto, da parte del comune o di soggetti privati convenzionati, prestazioni di aiuto e assistenza a domicilio (preparazione pasti, aiuto per l’igiene personale, servizio di lavanderia, pulizia della casa…), con differenze tra Centro-Nord e Mezzogiorno: rispettivamente ne hanno beneficiato il 14% e il 27%. La presenza dell’aiuto appare legata al livello di gravità della condizione di disabilità. Tra coloro che sono stati coinvolti nello studio, negli ultimi 12 mesi il 44% ha frequentato un centro diurno, il 17% ha ricevuto un aiuto economico, il 16% ha beneficiato del sostegno finalizzato all’inserimento lavorativo, il 15% ha ricevuto ausili (es. carrozzine, deambulatori, occhiali, bastoni tattili, …), il 12% ha usufruito dell’assistenza integrativa scolastica, l’8% del reddito di cittadinanza.
Il 21% (29% al Centro-Nord e il 16% nel Mezzogiorno) non ha ricevuto negli ultimi 12 mesi nessun intervento pubblico (esclusa l’assistenza domiciliare), il 49% ne ha ricevuto solo uno e il 30% due o più aiuti. La totale assenza di aiuti riguarda in particolare: le persone adulte (tutti i minori ricevono almeno un aiuto), chi risiede al Centro-Nord più di chi risiede nel Mezzogiorno, chi ha una disabilità sensoriale (il 26% non riceve alcun aiuto), chi ha una percentuale di invalidità inferiore al 100% (27%) rispetto a chi ha una invalidità totale (12%).
Gli aiuti richiesti più frequentemente dai rispondenti all’indagine perché la persona con disabilità non li riceve o li riceve in misura insufficiente/inadeguata rispetto ai suoi bisogni, riguardano la dimensione dell’assistenza sociosanitaria e sociale, rispettivamente indicata nel 39% e nel 37% dei casi. Segue la mobilità, intesa come spostamenti verso l’esterno, indicata nel 25% dei casi, l’aiuto economico con il 24%, la socializzazione con il 23%, e il lavoro indicato in un quinto dei casi.
Nove su 10 non chiedono più soldi, ma più servizi
«Questi dati indicano che chi ha una condizione di disabilità meno compromessa, chi vive al Centro-Nord e chi vive in famiglie non in condizione di deprivazione materiale chiede più frequentemente aiuti finalizzati all’inclusione sociale come la socializzazione e il lavoro. Chi, invece, ha una condizione di disabilità più complessa, chi vive nel Mezzogiorno e chi vive in famiglie con deprivazione materiale chiede più frequentemente aiuti socioassistenziali o sociosanitari», si legge nella ricerca.
In quasi 9 casi su 10 le persone chiedono servizi e/o contributi finalizzati alla fruizione di servizi. In minor misura gli aiuti richiesti (poco più di 1 su 10) riguardano trasferimenti economici o beni materiali di prima necessità
ricerca Disabilità e povertà nelle famiglie italiane
«Considerando il totale degli oltre 400 aiuti richiesti alle istituzioni dalle persone con disabilità e dalle loro famiglie, in quasi 9 casi su 10 si tratta di servizi e/o contributi finalizzati alla fruizione di servizi (assistenza alla persona, anche a domicilio, di natura sociosanitaria e/o socioassistenziale; attività ricreative e di socializzazione; opportunità lavorative; sostegno educativo e, per gli studenti con disabilità, migliore/ maggiore assistenza scolastica; supporto alla mobilità tramite trasporto/accompagnamento; interventi abitativi; sostegno a caregiver/famiglia) mentre in minor misura gli aiuti richiesti (poco più di 1 su 10) riguardano trasferimenti economici o beni materiali di prima necessità. La prevalenza della richiesta di servizi rispetto ai contributi economici, non inusuale allorché si “ascolta la voce” delle persone/famiglie con difficoltà, appare particolarmente rilevante alla luce delle caratteristiche delle persone con disabilità coinvolte nello studio (in prevalenza con disabilità importanti) e delle famiglie in cui vivono, che in 9 casi su 10 vivono in una situazione di disagio socioeconomico», si legge nella ricerca. Le richieste delle famiglie non riguardano tanto nuovi o maggiori aiuti, ma forme di aiuto più qualificate (ad esempio sul versante delle risorse umane impiegate) e/o più flessibili nei confronti delle esigenze (ad esempio, orarie) delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Sono richieste che riguardano i servizi pubblici e a volte del privato sociale.
Solitudine e isolamento: 7 su 10 non hanno una rete amicale di supporto
Ci siamo trovati soli, ad arrangiarci, a imparare man mano nel percorso della vita, a prendere delle decisioni – a volte sbagliate e a volte no – sul benessere di nostra figlia. Però siamo noi e basta. [int 41]
Quando succedono queste cose i parenti e gli amici ti fanno terra bruciata attorno, non ti vengono più a trovare, perché hanno sempre paura che gli chiedi le cose, i favori. Praticamente siamo soli… [Int 31]
Le famiglie coinvolte nello studio percepiscono e vivono in una condizione di isolamento: una su 6 non riceve alcun supporto dalle istituzioni e una su 4 non può contare su una rete informale fatta di amici, parenti non conviventi o volontari. In generale, dagli approfondimenti qualitativi realizzati tramite interviste con le persone/famiglie coinvolte emerge un generalizzato senso di abbandono da parte delle istituzioni: il carico di cura grava prevalentemente sulla famiglia, che spesso non sente un adeguato sostegno dall’esterno per farvi fronte almeno parzialmente. L’isolamento avvertito dalle famiglie si manifesta come svantaggio informativo, cioè deficit di conoscenza e consapevolezza rispetto a opportunità e servizi presenti o esigibili, primariamente presso le istituzioni.
Oltre il 70% è privo di rete amicale di supporto (materiale e immateriale) e il 55% non partecipa ad associazioni di supporto alla disabilità, quote che aumentano dove si registra un basso livello educativo. L’isolamento deriva infatti anche dalla scarsa conoscenza delle opportunità esistenti e dalla poca consapevolezza dei propri diritti.
Conclusioni: quattro lezioni per il futuro
«Da anni parliamo di quanto debba essere sostenuto e alimentato il protagonismo delle persone con disabilità. Il risultato della nostra ricerca va ancora in questa direzione: le voci delle famiglie che abbiamo ascoltato ci confermano che il disagio sociale e culturale è più opprimente di quello economico», commenta il direttore di Cbm Italia, Massimo Maggio. «I servizi umanizzati che vengono richiesti devono entrare nel progetto di vita delle persone, per questo dobbiamo pensarli partendo dal riconoscere le risorse ed evidenziare il valore delle famiglie, per ridurre lo stigma e creare opportunità di inclusione. Per affrontare e favorire il “durante e dopo di noi” affinché diventi “con noi”».
Le voci delle famiglie che abbiamo ascoltato ci confermano che il disagio sociale e culturale è più opprimente di quello economico
Massimo Maggio, direttore di Cbm Italia
Dall’indagine emergono molte indicazioni sia a livello di conoscenza del fenomeno, sul cosa fare e cosa non fare, sul come fare e non fare. Le indicazioni principali per costruire un futuro migliore sono quattro e vanno considerate come parte di una strategia complessiva.
- La prima indicazione riguarda la condizione di solitudine e di isolamento delle persone con disabilità e delle loro famiglie, da cui deriva la necessità di rafforzare la cultura dell’inclusione a tutti i livelli e diffondere una più estesa e approfondita consapevolezza su bisogni e risorse delle persone con disabilità e dei loro familiari, in modo da abbattere “muri” relazionali, istituzionali e di contesto.
- La seconda attiene a quello che le persone con disabilità e le loro famiglie chiedono: non aiuti economici ma servizi, rivolti sia alle esigenze della persona sia alle necessità dei familiari, e capaci di promuovere l’umanizzazione degli interventi, superando la “standardizzazione” delle risposte.
- La terza indicazione evidenzia come le persone con disabilità e le loro famiglie, pur nelle difficoltà quotidiane e nonostante il disagio socioeconomico, hanno forze e capacità utili per loro e per gli altri. Vanno riconosciute e valorizzate per rafforzare le opportunità di inclusione sociale e lavorativa e per ridurre lo stigma sociale ancora associato alla condizione di disabilità.
- La quarta indicazione fa riferimento alla necessità di promuovere opportunità per l’inclusione sociale e lavorativa. Sono dimensioni per le quali non si è ancora fatto abbastanza. È la doppia sfida del “durante e dopo di noi” e del lavoro che riguarda la persona con disabilità, i familiari e quanti se ne prendono cura. Sono questioni che diventano ancora più rilevanti per le persone le cui difficoltà sono aggravate dalla condizione di disagio socioeconomico e socioculturale.
La ricerca Disabilità e povertà nelle famiglie italiane di Cbm Italia e Fondazione Zancan è disponibile sia nella versione completa sia in un abstract al seguente link: https://www.cbmitalia.org/ricerca-cbm-zancan/
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