Welfare

disabili gravissimi: un patto per la salutee l’assistenza globale

handicap Il modello integrato della Sacra Famiglia

di Redazione

Occorre ripensare i servizi destinati ai disabili, soprattutto gravi, in una chiave di integrazione. Famiglia, Asl, enti accreditati, scuola, ospedale devono costituire una rete che tenga conto della persona e stipuli con questa un “patto per la salute”. È questo, in sintesi, il tema di un convegno di studio organizzato dalla Fondazione Sacra Famiglia (vedi box) in cui saranno presentati anche dei modelli che si stanno sperimentando in questo settore. «Tentiamo di dare visione a una continuità assistenziale che cambi la presa in carico della disabilità», spiega Luca Degani, direttore generale della fondazione, «e che passi dall’offrire servizi per unità d’offerta – la residenza, il centro diurno, la domiciliarità – a un sistema che a fronte dell’esistenza di una persona disabile crei con lei un “patto per la salute”».
Una visione d’attualità, in questi tempi in cui si rischia, specie nei casi di disabilità gravissima, di “parcellizzare” l’assistenza spezzettandola in tanti momenti distinti, affidati ad altrettanti soggetti. La conseguenza è che molti interventi a favore di disabili gravi non sono considerati sanitari, ma sociali. «In altri Stati europei funziona così», ammette Degani, «ma con importanti differenze: in Germania, per esempio, gli aspetti sociali, quali la parte di assistenza psicologica o la prevenzione del rischio emarginazione, godono di un sistema di tassazione specifico e la pubblica amministrazione ha risorse. Da noi invece il sociale ricade sulla famiglia o sui Comuni, che non hanno risorse».
E qui si inserisce la Sacra Famiglia. «Il nostro tentativo è coordinare in una filiera il momento di presa in carico e di continuità assistenziale tra le varie figure», spiega Fabrizio Pregliasco, direttore sanitario della Sacra Famiglia. «Noi sperimentiamo modelli di presa in carico individuali, dal punto di vista gestionale e organizzativo, che prevedono la creazione di équipe pluriprofessionali modificabili e flessibili, dove possano prevalere aspetti infermieristici o educativi». Una via obbligata, specie si se ha a che fare con persone dai quadri clinici complessi e che alla disabilità grave associano altre patologie. «Fare una tac, o una visita dentistica, per i nostri ospiti diventa difficile», sottolinea il direttore. Tanto più che la legislazione spesso ragiona più in termini di prestazioni che di continuità di cura… «Sì, a livello culturale si è affermata la discutibile idea secondo cui l’inguaribile deve contribuire alla spesa della sua presa in carico», continua Luca Degani, «dal momento che i lunghi tempi di cura non sono sostenibili dal Servizio sanitario. Questo spezza il patto di solidarietà che fa del sistema sanitario un sistema di cura, non necessariamente di sola guarigione».
A rendere complesso il quadro, in Italia, la molteplicità delle normative regionali. «Le legislazioni regionali sono diverse e in più tendono a compartimentare gli interventi», continua Pregliasco. «Così ci sono strutture che si occupano solo della diagnosi, mentre noi ci dovremmo occupare solo dell’aspetto riabilitativo o assistenziale, ma la diagnosi non può essere fatta in un solo momento della vita!». Soluzioni? «La Conferenza Stato-Regioni dovrebbe occuparsene», conclude Degani, «per dare un quadro organico così da non creare differenze di servizi offerti».

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