Welfare
Disabili e anziani: nelle strutture sociosanitarie servono più mascherine
Nessun j’accuse, ma un appello forte perché nell’emergenza Coronavirus e nella distribuzione dei dispositivi di protezione individuale si tenga conto anche delle RSA e dei centri residenziali per le persone con disabilità. Perché anche queste strutture e servizi sono essenziali ed è importante intervenire in modo adeguato, soprattutto in termini di prevenzione
Nessun j’accuse, ma un appello forte perché nell’emergenza Coronavirus e nella distribuzione dei dispositivi di protezione individuale si tenga conto anche delle RSA e dei centri residenziali per le persone con disabilità. Perché quello che si è fatto finora, non è sufficiente: mancano ancora le mascherine chirurgiche ma soprattutto tute, guanti, occhiali, copricapi, ffp2… tutte quelle protezioni indispensabili nel momento in cui un ospite di queste strutture risulti positivo al Covid-19. Tutte quelle protezioni indispensabili per arginare il contagio ed evitare che questi luoghi si trasformino in bombe esplosive. È quanto emerso questa mattina, nel corso del Comitato Editoriale di Vita.
Rossano Bartoli è il Presidente della Lega del Filo d’Oro. Il distanziamento sociale di 1 metro, loro, non possono rispettarlo: le persone che seguono sono sordocieche o pluriminorate psicosensoriali, il tatto per loro è l’unico modo per avere un contatto con il mondo e per comunicare. A seguito delle disposizioni governative le attività dei servizi territoriali sono state sospese, mentre prosegue l’attività dei cinque centri residenziali (in Lombardia, Emilia Romagna, Marche, Puglia e Sicilia). Casi di positività al momento non ne hanno. «Abbiamo preparato alcune stanze per l’isolamento, abbiamo DPI per gestire qualche giorno di emergenza vera. Come strutture sanitarie o sociosanitarie abbiamo bisogno di avere garanzie rispetto alla possibilità di operare in sicurezza, a tutela di tutti», dice. Le strade le hanno percorse tutte: quella delle richieste alla Protezione Civile, come pure quella di mettersi insieme con altre organizzazioni per fare ordini collettivi, «ma c’è tanta difficoltà, alcuni ordini sono stati bloccati alle frontiere», dice Bartoli. Le mascherine ora ci sono, più difficile invece è ancora reperire DPI quali ffp2 e ffp3, tute, guanti, copricapi… La seconda riflessione riguarda i tamponi: «per averlo bisogna segnalare, insistere, non è detto che venga fatto subito e comunque il risultato sappiamo che non è veloce, nel frattempo cosa fai? Abbiamo bisogno di essere aiutati a capire se c’è o no il problema, essere messi nelle condizioni di agire correttamente e tempestivamente. Stiamo vivendo tutti un’emergenza eccezionale, capiamo benissimo che ci sono fronti oggettivamente prioritari… Vedo la Protezione civile qui ad Ancona, ci sono persone che non tornano a casa da settimane… Il nostro è un appello: tenere conto che anche le nostre strutture e servizi sono essenziali ed è importante intervenire in modo adeguato, soprattutto in termini di prevenzione».
Abbiamo bisogno di essere aiutati a capire se c’è o no il problema, essere messi nelle condizioni di agire correttamente e tempestivamente. Stiamo vivendo tutti un’emergenza eccezionale, capiamo benissimo che ci sono fronti oggettivamente prioritari… Il nostro appello però è quello di tenere conto che anche le nostre strutture e servizi sono essenziali ed è importante intervenire in modo adeguato, soprattutto in termini di prevenzione
Rossano Bartoli, presidente della Lega del Filo d’Oro
La drammaticità della situazione è confermata da Fondazione Sacra Famiglia – 23 sedi in Lombardia, Piemonte e Liguria – che nelle sua varie strutture conta complessivamente circa 150 persone positive al test. In Sacra Famiglia si sono procurati i tamponi e hanno iniziato a testare i pazienti e gli ospiti con sintomi similinfluenzali già dal 18 marzo; in seguito sono stati testati anche ospiti e operatori che erano venuti in contatto con loro, pur in assenza di sintomi specifici. «I dispositivi di protezione individuale? Li abbiamo ma con grande fatica, teniamo conto che fra ospiti residenti e operatori abbiamo bisogno di circa 1.800 mascherine al giorno e 7mila guanti… anche per le ffp2 e ffp3 sta aumentando la necessità, perché sta aumentando il numero delle persone positive», dice Mara Garbellini, responsabile della Comunicazione e Raccolta fondi.
Il kit completo per gestire sospetti positivi e positivi conclamati, questo è adesso il materiale mancante. Roberto Speziale è il presidente nazionale di Anffas, una rete di 167 associazioni locali e 49 enti a marchio, che dà servizi e assistenza a oltre 30.000 persone con disabilità intellettive e alle loro famiglie. «La situazione dei DPI è leggermente migliorata rispetto a dieci giorni fa, ma non risolta. Per le mascherine aspettiamo di avere qualcosa fra oggi e domani, ci siamo approvvigionati con nostre risorse. Settimana scorsa è successo che alcuni ordini sono stati bloccati e dirottati sulle strutture sanitarie. Ora stiamo cercando soprattutto di avere kit completi, che sono molto costosi», afferma. La mancanza di DPI è un ostacolo non indifferente per organizzare interventi a domicilio, sostitutivi delle attività che sono venute a mancare con la chiusura dei Centri diurni: «Nessuna delle nostre famiglie è stata lasciata sola, tutto ciò che si può fare a distanza è stato attivato subito, portiamo farmaci e spesa, offriamo supporto psicologico», spiega Speziale. «Però al domicilio è difficile andarci senza DPI, non è possibile, non solo per la tutela degli operatori quanto per la sicurezza delle persone con disabilità: ricordiamoci che spesso queste persone hanno condizioni tali per cui contrarre il Covid19 significa davvero rischiare la vita. Man mano che i DPI ci sono, si può organizzare il servizio».
La portavoce del Forum Terzo Settore Lombardia, Valeria Negrini, sulla questione mascherine suona anche un altro campanello di allarme: «Da qualche giorno pare esserci un esubero di offerta di mascherine. Proposte di 100mila, 200mila, 1 milione di pezzi di mascherine, fino a qualche giorno fa introvabili. Mascherine ferme alla dogana di Bologna o di Milano. Chi le ha ordinate? Per chi? Sono certificate? Credo che adesso il mercato si sia mosso, con le sue regole: serve vigilare perché non si crei un mercato parallelo».
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