Non profit

Disabili, chi vuole gli educatori a luci rosse?

La proposta choc di una coop sociale di Novara

di Luca Zanfei

In Svizzera, Olanda e Germania diversi enti non profit formano operatori
ad hoc. In Italia l’argomento è ancora tabù. «Ma il problema esiste. Eccome», spiega la presidente di Gea, Silvia Ruspa
«Assistenti sessuali»: nel resto d’Europa li chiamano così, anche se da noi in molti storcono la bocca. D’altronde è arduo far digerire che anche il sesso a pagamento può rientrare a tutti gli effetti in un percorso di riabilitazione dei disabili. In Svizzera, Olanda e Germania la questione non si pone e associazioni non profit formano speciali operatori capaci di affrontare a diversi livelli le problematiche legate alla sfera sessuale dei disabili, anche a costo di fornire prestazioni dietro compenso, che può andare dai 100 ai 200 euro. In Italia l’argomento è di per sé provocatorio. E forse in questo spirito che si deve leggere l’iniziativa di Gea, una cooperativa attiva proprio nel campo della disabilità psico-intellettiva.
«La nostra campagna ha l’obiettivo di accendere i riflettori sul tema», spiega la presidente della cooperativa Silvia Ruspa. «In Italia si fa finta di niente ma la consapevolezza della propria sessualità è per i disabili gravi un fondamentale fattore di autocoscienza. Ma le pulsioni erotiche si manifestano sempre in modo incontrollato e spesso poco gestibile dagli stessi operatori». Il tema è delicato e finora poco trattato, anche se basta fare un giro su internet per scovare centinai di siti che affrontano l’argomento. Si leggono così storie di operatori e volontari religiosi che si rivolgono a vere e proprie prostitute per soddisfare le richieste dei propri utenti, o di genitori che arrivano persino a masturbare i figli. Il sito Disabili.com ha anche promosso un sondaggio per testare il gradimento tra i disabili di un’eventuale figura degli “accarezzatori di professione” da istituire anche in Italia. L’80% del campione ne sarebbe entusiasta. «E si trattava principalmente di disabili fisici che si autodeterminano», precisa Ruspa, «figuriamoci quale sarebbe stata la risposta delle persone con handicap cognitivi». Il problema dunque esiste e va affrontato senza pregiudizi.
«Dobbiamo confrontarci in maniera laica», continua la presidente, «consapevoli che una risposta a queste richieste bisogna pur darla. Che poi sia il sesso a pagamento, l’assistente sessuale o altro, poco importa. L’obiettivo è quello di trovare il metodo più idoneo a migliorare la condizione dei disabili e delle loro famiglie, spesso assolutamente impreparate a soddisfare bisogni di questo genere». Ma forse il problema non è solo loro. «Sono gli stessi operatori a sentirsi inadeguati nel trattare questo aspetto della disabilità», ammette Ruspa. L’assistente sessuale potrebbe essere una soluzione? Sì, ma solo se «pensiamo ad una figura adeguatamente formata per affrontare ogni aspetto del problema, dal punto di vista psicologico, educativo e sociale», conclude Ruspa.

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