Cooperazione
Diritti umani, le ong non possono essere i supplenti della politica
Ma come stanno oggi i diritti umani nel mondo? Chi li difende mentre assistiamo alla loro violazione sistemica che resta, il più delle volte, impunita? «Viviamo in una realtà in cui l’intervento delle organizzazioni umanitarie è sempre più necessario», dice Marco Chiesara, presidente di WeWorld. L’organizzazione ha pubblicato il ChildFund Alliance World Index, che misura le condizioni di vita di donne, bambini e bambine in 157 Paesi nel mondo: nel 2023 un bambino o una bambina su 3 e più di 1 donna su 4 vivevano in Paesi con un’attuazione limitata o minima dei diritti umani
di Anna Spena
“Le persone adulte non dovrebbero fare la guerra”, lo dice F. 14 anni, ora si trova in Moldavia. “Le persone adulte dovrebbero mandare i bambini a scuola regolarmente, supportarli, dar loro amore, prendersi cura di loro e proteggerli”, M. 10 anni, vive in Cambogia. E ancora “Le persone adulte dovrebbero proteggere i bambini da ogni forma di violenza e maltrattamento e chiedere la loro opinione”, spiega S. dal Kenya. Queste sono solo alcune delle diecimila testimonianze raccolte, in 41 Paesi del mondo, dall’organizzazione umanitaria WeWorld e contenute nel ChildFund Alliance World Index, che misura le condizioni di vita di donne, bambini e bambine in 157 Paesi nel mondo, valutando la promozione, l’esercizio e la violazione dei loro diritti. Per il 2024 la ricerca si è concentra sul diritto dei più giovani ad avere un futuro.
Ma come stanno oggi i diritti umani nel mondo? Chi li difende mentre assistiamo alla loro violazione sistemica che resta, il più delle volte, impunita? «Viviamo in una realtà in cui l’intervento delle organizzazioni umanitarie è sempre più necessario. La sensazione è che i diritti umani vengano continuamente messi in discussione», dice Marco Chiesara, presidente di WeWorld. I Governi latitano eppure «il compito primo della politica dovrebbe essere quello di lavorare per garantire il rispetto dei diritti umani. Che sono diritti universali. Non può farsene carico solo una parte della società. Le organizzazioni non governative, o il Terzo settore in generale, non possono assumere il ruolo di supplenti della politica. Dobbiamo lavorare insieme, relazionarci. Inoltre se guardiamo alla situazione europea, ancora una volta, la sensazione è quella di un progressivo disimpegno dal tema dei diritti umani».
Quella pubblicata da WeWorld è la nona edizione del rapporto e i dati non sono incoraggianti: «Nel 2023 un bambino o una bambina su 3 e più di 1 donna su 4 vivevano in Paesi con un’attuazione limitata o minima dei diritti umani. Al passo attuale ci vorranno 113 anni perché le donne, i bambini e le bambine siano testimoni della piena attuazione dei diritti valutati dall’Index in tutti i Paesi», dice Chiesara. «Il diritto al futuro è legato ai minori e all’educazione. Mettere in discussione questo diritto ha delle ripercussioni immediate non solo sugli stessi bambini, sulle bambine sugli adolescenti, ma anche sui Paesi dove vivono e sul loro futuro di questi Stati».
In coda alla classifica dell’Index troviamo alcuni Paesi africani come Mali, Niger, Repubblica Centrafricana, con il Ciad fanalino di coda su 157 Paesi. Paesi dove i diritti delle fasce più vulnerabili della popolazione continuano a essere a rischio. Menzione a parte merita l’Afghanistan, quasi sparito dalle cronache dei media: un Paese “fuori dai radar”, dove il divario tra la condizione di uomini e donne resta enorme e i diritti di bambine e bambini sono a rischio. Si prevede inoltre un peggioramento per Paesi come Libano e Palestina, a causa dei conflitti in corso (i dati si riferiscono al 2023 ndr).
«Il rapporto», spiega Martina Albini, coordinatrice dell’area advocacy nazionale e del centro studi di WeWorld, «è composto da 30 indicatori. Quindi l’index restituisce una visione multidimensionale». Per avere una visione esaustiva è possibile consultare la dashboard che raccoglie i dati del global ranking ChildFund Alliance World Index 2024 (qui la scorecard relativa all’Italia ChildFund Alliance World Index 2024). «Il report», continua Albini, «è composto anche da quattro mappe globali. L’Italia è 34esima nella classifica generale e nonostante sia nella parte alta della classifica, che comprende Paesi con “forte implementazione dei diritti umani”, le cose cambiano se si guardano i sottoindici: soprattutto per la condizione delle donne, il nostro Paese si conferma un Paese a misura di uomini ed è molto peggiorata dal 2015, passando nella categoria “Moderate Human Rights Implementation”; mentre si registra un miglioramento della salute femminile, seppur lieve, peggiorano invece le altre componenti considerate, come opportunità economiche, educazione e partecipazione ai processi decisionali. L’invito che facciamo è sempre quello di guardare alle cose in prospettiva. Se pensiamo al nostro Paese rispetto ad alcuni dell’Africa o dell’America latina, chiaro che la nostra posizione sarà più alta. Ma se guardiamo alle mappe globali e alle dashboard vedremo che dell’intera Europa l’Italia è un fanalino di coda. Non bisogna guardare le posizioni in classifica, ma il punteggio. Perché la posizione in classifica cambia molto anche a seconda di quanto è cambiata la posizione degli altri Paesi».
Credit foto Jake Lyell
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