Politica

Diritti dei disabili(forza ONU!)

Intervista a Giampiero Griffo. La Convenzione Onu è in vigore dal 3 maggio. Rappresenta una svolta culturale senza precedenti.

di Sara De Carli

Il 3 maggio, un mese dopo che il ventesimo Stato l?ha ratificata, la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità è entrata in vigore. L?onore della mossa decisiva è dell?Ecuador. Nel frattempo, altri sei Paesi hanno ratificato la Convenzione: Mali, Egitto, Honduras, Filippine, Slovenia, Qatar. L?Italia non c?è. Come non ci sono Francia, Germania, Regno Unito. Non ci sono nemmeno quei paradisi del welfare che sono i Paesi scandinavi, primi della classe delle stastiche sociali. Tutti nell?elenco di quelli che la Convenzione l?hanno firmata, ma non ratificata: 129 Paesi contro 26. Come dire che un conto è dare un?adesione di principio, altro passare agli impegni concreti. La situzione però ha del paradossale. Giampiero Griffo, che ha lavorato alla Convenzione come advisor del governo italiano, ci spiega come siamo arrivati qui. E ci dice che in realtà questo paradosso non è l?unico?

Vita: L?Italia non è corsa a ratificare la Convenzione. Perché?
Giampiero Griffo: I tempi della ratifica dipendono dall?impalcatura istituzionale di ogni singolo Paese, è ovvio che l?Italia, con un sistema bicamerale, ha tempi più lunghi di Paesi in cui basta un decreto del presidente della Repubblica. La cosa positiva è che già oggi in Parlamento esiste un testo di legge per la ratifica della Convenzione, depositato il 28 dicembre 2007 dal governo Prodi: la ratifica dei trattati internazionali non viene annullata da un cambio di governo, quindi l?iter può riprendere esattamente da dove è arrivato. Noi faremo di tutto perché questo l?iter sia concluso rapidamente.

Vita: Se non lo facciamo, rischiamo di rimanere fuori dal Comitato per i diritti delle persone con disabilità dell?Onu?
Griffo: Già. A ottobre ci sarà una conferenza internazionale che designerà questo organismo, previsto dalla Convenzione. Ma solo i Paesi-parte, cioè quelli che la Convenzione l?hanno ratificata, possono candidare propri esperti e votarli. Se l?Italia non ratifica prima di quella data, non potrà candidare nessuno: sarebbe un peccato, perché l?Italia ha giocato un ruolo importante in fase di discussione, ci sono articoli che sono così perché l?Italia li ha proposti o ha combattuto per modificarli. Vita: Per esempio?Griffo: L?articolo 24 sull?educazione e l?istruzione, che estende a tutto il mondo il modello italiano inclusivo, che garantisce a tutti gli alunni l?istruzione nei luoghi e negli spazi ordinari: ci sono state molte opposizioni, molti dicevano che era impossibile o svantaggioso, anche in Europa? Oppure l?articolo 11 che garantisce la protezione delle persone con disabilità nelle situazioni di rischio, come conflitti armati, emergenze umanitarie e catastrofi naturali. In queste situazioni i disabili sono i più fragili, ma spesso non c?è nessuna attenzione particolare per loro. Questo articolo l?ha proposto l?Italia, chissà se ci sarebbe altrimenti?

Vita: Quale sarebbe per l?Italia il prezzo di questa esclusione?
Griffo: Una Convenzione di questo tipo è innanzitutto una rivoluzione culturale e metterà nelle agende internazionali una nuova priorità: parliamo di 650 milioni di persone nel mondo, più della popolazione dell?Unione europea a 27… Capisce che è uno scenario internazionale di tutto rispetto. L?Italia potrebbe avere un ruolo importante nell?inserire un?attenzione particolare ai disabili nella lotta alla povertà dell?Onu, dentro ai Millennium Goals: in fondo la metà dei poveri del mondo sono disabili.

Vita: I 26 Paesi che hanno già ratificato la Convenzione sono quasi tutti Paesi poveri, senza una grande tradizione democratica o di attenzione sociale? Come mai sono loro i primi ad impegnarsi?
Griffo: Questa Convenzione è la prima che nasce con una fortissima partecipazione dell?opinione pubblica e prevede esplicitamente un fortissimo coinvolgimento della società civile. Questo naturalmente preoccupa alcuni governi, sia quelli che hanno una tradizione meno democratica sia, paradossalmente, quelli che hanno una società civile molto attiva e consapevole: temono che ci saranno troppe richieste e troppe proteste per denunciare le mancate attuazioni della Convenzione. Vita: Ma perché così tanti Paesi poveri?Griffo: Il 98% delle persone con disabilità vive in Paesi poveri. Molti Paesi poveri poi sperano di avere, firmando, un?attenzione particolare da parte dei Paesi ricchi. L?articolo 32 prevede il coinvolgimento della cooperazione internazionale nell?attuazione della Convenzione: molti Paesi quindi sperano di vedere incrementare le risorse a loro destinate, seppure con questo specifico vincolo di utilizzo. Infine entrano in gioco anche fattori di altro tipo: la Libia, per esempio, è membro molto discusso del Consiglio sui diritti umani dell?Onu, era giocoforza tattico che firmasse (non ha ancora ratificato, ndr), al di là dei contenuti.

Vita: E i grandi Paesi di tradizione democratica?
Griffo: È vero che ci sono alcune reticenze. La Convenzione introduce un approccio culturale nuovo: la disabilità non è questione di salute ma di diritti umani. È un modello che dice che più che riabilitare le persone con disabilità bisogna riabilitare la società. Molti Paesi, soprattutto quelli in cui l?attenzione alla disabilità è iniziata prima, hanno invece un sistema centrato sull?istituzionalizzazione, sull?intervento speciale? Per immaginare la rivoluzione concreta che la Convenzione porta, basta pensare che in Europa più del 50% dei bambini con disabilità frequenta ancora oggi classi speciali; lo stesso per i sistemi di welfare, tesi più alla cura e all?assistenza che alla promozione di una vita indipendente. La Russia e la Cina hanno osteggiato moltissimo l?articolo 12, sulla personalità giuridica, perché i loro sistemi, soprattutto in psichiatria, vanno in tutt?altra direzione. Quindi diciamo che molti Paesi sono spaventati dalle difficoltà di attuazione concreta della Convenzione nei loro sistemi organizzativi e dai costi che questi cambiamenti comportano.

Vita: Di quali Paesi parla?
Griffo: Per esempio Gran Bretagna e Danimarca, anche se ovviamente è un preoccupazione sotterranea, non ufficiale. Più chiare invece le preoccupazioni legate al ruolo della società civile e alle forme di monitoraggio, definiti approfonditamente nel protocollo opzionale: molti Paesi così approvano la Convenzione ma non il protocollo opzionale. Basta dare un?occhiata ai numeri: 129 Paesi hanno firmato la Convenzione e solo 71 il protocollo opzionale; 26 hanno ratificato la Convenzione e solo 16 anche il protocollo opzionale.

Vita: L?Italia però ha una legislazione che lei stesso ha definito ?avanzata?: cosa cambierebbe concretamente in Italia con la ratifica della Convenzione?Griffo: Per quanto la legislazione italiana sia avanzata, nemmeno da noi c?è la cultura della non discriminazione. I diritti umani si basano su un concetto semplice: tutte le persone devono essere trattate senza discriminazioni e avere pari opportunità. Se andiamo a vedere alcuni dati, capisce che non ci siamo: il tasso di disoccupazione nel mercato ordinario è del 6%, tra noi arriviamo al 76%; meno del 10% dei treni italiani è accessibile a disabili motori. La società italiana promuove le cosiddette politiche positive ma paradossalmente non è ancora capace di garantire la non discriminazione.
Non semplifichiamo, ci sono entrambe le cose. La Convenzione in realtà impone cambiamenti concreti su tre livelli: l?obbligo di implementare le leggi, l?obbligo di costruire un sistema di monitoraggio, possibilità che i singoli possano esigere il rispetto dei loro diritti. Non si può fare tutto insieme: l?ipotesi di cui stavamo ragionando con il precedente governo era di stabilire una priorità ogni due o tre anni e lavorare su quella.

Vita: Da dove bisognerebbe partire?
Griffo: Dal concetto di inclusione, che è una sorta di ?parola-chiave? per comprendere lo spirito della Convenzione. L?inclusione è diversa dall?integrazione, perché l?integrazione prevede che se io arrivo per ultimo, in una società che ha già le sue regole, io sono integrato nel momento in cui mi sono adeguato alle regole; in base al concetto di inclusione invece è la società che, preso atto della presenza di diverse e nuove esigenze al suo interno, deve cambiare le proprie regole. Far passare questa cultura è una bella sfida, ma è una necessità fondamentale. Per esempio vorrebbe dire una riforma del modo in cui le università formano gli operatori, perché ancora oggi la loro formazione si basa su un modello medico-individualistico della disabilità.

Vita: E poi?
Griffo: L?altra priorità è costruire un sistema di monitorggio efficace. La Convenzione, con l?articolo 33, per la prima volta obbliga il singolo Stato a mettere in piedi un organismo di controllo e monitoraggio per dire a che punto siamo nell?applicazione della Convenzione e delle varie leggi sul tema disabilità. Si tratta di un soggetto che coordina moltissimi aspetti, afferenti a vari ministeri: con il governo Prodi avevamo concordato l?istituzione di un Osservatorio sulla disabilità, adesso è tutto da vedere? L?importante è creare un sistema che funzioni indipendentemente dall?alternanza dei governi, che sia uno strumento di partecipazione, che abbia una struttura chiara. Questo soggetto dovrebbe anche promuovere una raccolta dati diversa da quella attuale, che consenta di valutare il livello di attuazione degli obiettivi della Convenzione. È una trasformazione culturale importante: oggi si sa tutto su quanti siamo a beneficiare di pensioni, quanto costiamo, ma nessuno sa quanto è accessibile una città, quanto sono discriminanti i luoghi di lavoro, quanto costa alle persone con disabilità il mancato godimento dei propri diritti… perché nessuno ha mai raccolto dati su questo.

Vita: Sull?adeguamento legislativo invece da dove si comincia?
Griffo: Dalla valutazione e dagli accertamenti. In Italia c?è un regime contraddittorio, perché la legge 118/71 si basa su un modello medico della disabilità, che mi cataloga come invalido, con la mia percentuale di invalidità, mentre dall?altra parte la legge 104/92 si avvicina al modello diritti umani. Noi vogliamo un?unica lettura culturale da parte delle realtà che si occupano di noi, innanzitutto in fase di accertamento del mio bisogno e di come lo Stato deve intervenire. Il secondo elemento è che si diffonda le consapevolezze che una politica di inclusione scolastica è una politica di investimento: più io studio più sarò una persona produttiva anziché essere un carico per i servizi sociali.

Vita: Un?ultima cosa: il Vaticano polemicamente non ha firmato la Convenzione perché ritiene che l?accesso ai servizi di salute riproduttiva, che includono l?aborto, possa ledere il diritto alla vita. Pensa che questa posizione possa condizionare la ratifica da parte italiana?
Griffo: No. Innanzitutto il Vaticano all?Onu è un osservatore e non ha obbligo di ratifica. Io credo che quella espressa dal Vaticano sia una posizione ideologica, perché coerentemente contesta l?aborto in quanto tale e vorrebbe eliminarlo da ciò che sta sotto ?salute riproduttiva?. Però se la Convenzione garantisce a tutti l?accesso ai servizi e ai diritti, sarebbe un controsenso escludere un settore da questi pari diritti? Sa perché credo che questa posizione non influenzerà la decisione italiana? Perché da noi il processo di trasformazione culturale è già avviato: in Francia una ragazza con disabilità psichiatrica può essere sterilizzata con il consenso famiglia, perché invece di promuovere l?integrità delle persona si pensa ad evitare complicazioni spiacevoli. In Italia invece questo è già percepito come un orrore?

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