Welfare

Direttore risponda: perché quel delitto?

Francesco Romeo morì due anni fa in seguito a un brutale pestaggio. Ora il pm Taglialatela ha chiesto il rinvio a giudizio per venti agenti, e i vertici del penitenziario.

di Cristina Giudici

Quella che vi raccontiamo questa settimana è una brutta storia, accaduta poco più di due anni fa, nel settembre del 1997 nel profondo Sud. Il protagonista è, anzi era, un ragazzo di 28 anni: Francesco Romeo, morto, probabilmente ucciso, nel carcere di Reggio Calabria in seguito a un violentissimo pestaggio. Gli interpreti di questa storia invece sono venti agenti penitenziari, il direttore e il vicedirettore dell?istituto penale reggino, imputati per omicidio volontario e favoreggiamento. La vicenda è stata ricostruita pazientemente dal pubblico ministero Taglialatela che per due anni ha indagato sulla morte di Romeo, lottando contro l?omertà dei detenuti e il depistaggio delle indagini da parte di alcuni agenti penitenziari. Erano molti anni che non accadeva, dai tempi bui dell?emergenza in cui la violenza era considerata un metodo accettabile per combattere in carcere terrorismo, criminalità e mafia. Negli anni 90 direttori e poliziotti hanno partecipato a convegni per parlare di misure alternative e rieducazione del condannato, sottolineando l?aspetto civile e trattamentale del carcere finalmente?umanizzato? di fine secolo. Eppure, se nel processo che si è aperto il 5 febbraio scorso verrà avvalorata la tesi dell?accusa, quei tempi sono tornati. Continuate a leggere e giudicate voi perché questa storia, che raccontiamo in esclusiva, sembra proprio un brutto presagio. Tutto cominciò cinque anni fa Francesco Romeo è finito in carcere nel 1994 per scontare una condanna di 25 anni per omicidio avvenuto durante una rissa. La sua famiglia era già stata oggetto di un?inchiesta giudiziaria. Il padre infatti è stato arrestato (e poi scagionato) all?interno dell?operazione ?Rose Rosse? contro la cosca di Natale Iamonte in cui precedentemente era stato coinvolto anche il figlio Francesco. La casa di reclusione di Reggio Calabria è un tipico istituto penale del Sud, dove i detenuti sono in maggioranza 41 bis, condannati per mafia, il controllo e la vigilanza sono severissimi e nelle sezioni di alta sicurezza ci sono gli agenti dei reparti speciali dei Gom. I gruppi operativi mobili, regolamenti per decreto dal guardasigilli Diliberto nel febbraio del 1999 che rappresentano un?autorità poliziesca autonoma dalla direzione e molto temuta dai detenuti. Lì Francesco Romeo stava scontando la sua condanna in un reparto di media sorveglianza, ribattezzato infermeria. La mattina del 29 settembre, secondo la versione ricostruita successivamente dagli agenti, mentre era in cortile per l?ora d?aria con nove detenuti, ha approfittato dell?assenza di controllo per tentare di scalare il muro di cinta dal quale è precipitato. Dopo nove giorni di coma, Romeo muore. Il magistrato che conduce le indagini però si rende subito conto che si tratta di una messinscena perché il detenuto viene trovato disteso con le braccia aderenti al corpo, come se invece di spiccare un fatale volo si fosse semplicemente addormentato. Nel cortile in cui è stato ritrovato Romeo c?è solo una macchia di sangue, il corpo seppur martoriato è intatto. Secondo la successiva perizia infatti, il dottor Antonio Milardi afferma: «Non sono emersi elementi riconducibili a precipitazioni dall?alto, sono emersi invece elementi che indirizzano verso un?azione lesiva nei confronti del defunto Romeo. In particolare perché sono state evidenziate lesioni ad alcuni organi ed apparati abitualmente non interessati nella fase di precipitazione: lesioni traumatiche a livello testicolare bilateralmente, il viso, il tronco e agli arti superiori. La salma presentava aree violacee ai polsi che verosimilmente possono essere ricondotte a tentativi di voler immobilizzare gli arti stessi». Quindi? Ecco l?ipotesi d?accusa del magistrato intentata nei confronti degli agenti penitenziari: «Non impedivano che Francesco Romeo venisse da un numero imprecisato di persone ma comunque non inferiore a cinque, aggredito, immobilizzato e mortalmente percosso con uno o più corpi contundenti. Anzi mutavano artificiosamente lo stato dei luoghi e delle persone abbandonandolo all?interno di un cortile, adiacente al reparto Camerotti, simulando una caduta accidentale nel corso di un tentativo di evasione, con le aggravanti di aver agito con sevizie e crudeltà». Secondo l?imputazione, gli agenti e la direzione del carcere hanno tentato maldestramente di alterare i fatti, i registri delle presenze degli agenti di guardia, dando contraddittorie versioni dei fatti accaduti quella mattina. Lo strano volo di Francesco Infatti per gli agenti presenti sul luogo, dal momento della scoperta della fuga fino all?arrivo dell?ambulanza passano solo 5 minuti. L?agente Trilli si accorge del tentativo di fuga alle 9,50 e informa il capoposto Chiricosta che la passa all?agente Galante che parla con l?agente Bianco che dirà di aver visto il medico del carcere chiamare l?ambulanza, ma la telefonata al pronto soccorso arriva alle 9,55. E intanto l?allarme per la tentata fuga non è mai suonato. Anzi mentre gli agenti aprivano il cancello del cortile dove è stato ritrovato Romeo, altri chiamavano già il medico. Avevano la sfera di cristallo? Quando Trilli, (che ha avvisato Chiricosta che lo ha detto a Galante che l?ha detto a Bianco che ha informato il comandante Cardamone, il quale guarda caso non era lì al momento del fattaccio ), si sono dimenticati della prima norma in caso di tentata evasione: schiacciare i pulsanti dell?allarme acustico. E il dialogo fra la centralinista del carcere e la centralinista del pronto soccorso aiuta a capire bene in che tipo di posto fosse finito il malcapitato ?detenuto che voleva spiccare il volo?. «Urgentemente un’autoambulanza», dice la prima voce. «Alle carceri?», risponde la seconda. «Attenda (segue frase incomprensibile) cos?è successo?», «C?è uno che sta male grave». «Con chi parlo, scusi». «È il carcere di Reggio Calabria, centralinista Cuzzilla Consolato». «Senta cos?è successo, mi sapete dire cos?è successo?». «No, no non vi so dire, sacciu che ca un ispettore a chiedermi l?autoambulanza. Vi chiedo dal carcere, venite», e poi più decisa la centralinista del carcere afferma «si è sentito male ed è sbattuto a terra». Dagli interrogatori riportati negli atti del rinvio a giudizio, Romeo aveva già tentato di morire ingerire del detersivo (strano tentativo di suicidio) e il 29 settembre avrebbe tentato l?evasione durante l?ora più affollata, quella dell?aria per i detenuti, ma in quel momento non c?era nessuno a controllare le mura di cinta. Dov’erano finiti tutti? Sempre secondo la minuziosa ricostruzione di Taglialatela, l?agente Trilli (che sorvegliava i detenuti all?aria e quindi anche il ?fuggitivo?) alle 9,00 (50 minuti prima del fattaccio) era andato a fare pipì e al momento della fuga era stato inaspettatamente chiamato ad assolvere il doppio incarico al 4° cancello, dove stranamente l?agente Bruno era stato spostato in un altro cortile di passeggio, mentre l?agente Megale di servizio al reparto camerotti che avrebbe potuto vedere ciò che accadeva nel cortile in cui poi è stato ritrovato Romeo nel momento clou era stato costretto ad andare allo spaccio a bere un caffè! Intanto l?agente Ielo che aveva le chiavi dell?infame cortiletto si era attardato al 4° cancello, il sovrintendente Cariati era in più posti contemporaneamente e il Comandante del personale di polizia penitenziaria, Cardamone, era assente dall?istituto al momento del fatto (ma poi si proverà che invece era occupatissimo ad alterare le prove). Tutto questo accade in un carcere da dove non è mai riuscito ad evadere nessuno. Nelle 300 pagine di rinvio a giudizio per l?omicidio di Romeo, Taglialatela riporta anche il contenuto di inquietanti intercettazioni ambientali in cui emerge un clima omertoso se non ostile alle indagini. In una di queste conversazioni, un agente dice a un altro: «Gli unici che ci possono salvare sono i lavoranti » (detenuti che svolgono mansione lavorativa e quindi hanno più libertà di circolazione, ndr.) e poi più avanti un altro agente risponde: «Arrestano te, a te ti fottono, hai capito perché Megale allora allo spaccio non ci è arrivato». Altra voce non identificata: «Alle dieci e un quarto se lo sono portati (chi, Romeo?) dalla cosa fuori, dalla lavanderia»; «Io ho saputo alle dodici passate» e poi in dialetto: «Ennu arrivari o puntu, questi (i magistrati,ndr) non arriveranno mai. Sai pirchì? Ognunu, ognuni i nui ci dissi na minchiata diversa. Cioè non arrivanu mai o puntu. Capisti?» (In sintesi: i magistrati non arriveranno mai al punto perché ognuno di noi ha detto una cosa diversa.). L?avvocato Ugo Giannangeli che difende i familiari di Francesco Romeo, costituitosi parte civile al processo dichiara apertamente. «Romeo Francesco non si è suicidato, non è caduto accidentalmente nel tentativo di fuggire e non è neanche stato ucciso dai compagni di detenzione: è stato ammazzato. Sappiamo che si tratta di un omicidio volontario perché almeno due colpi (uno con oggetto contundente e uno tipo karatè sulle vertebre cervicali) sono stati inferti con intenzione omicida, ma non sappiamo chi siano gli esecutori materiali». L?Avvocatura dello Stato non risponde Quindi non ci sono colpevoli? «L?accusa ha dimostrato che attualmente ci sono 4 o 5 assassini liberi di circolare nelle carceri» conclude Giannangeli, «e numerosi dipendenti dell?amministrazione penitenziaria che a vari livelli fra direttore e vicedirettore del carcere, comandante della polizia e agenti, hanno dimostrato la loro connivenza mentendo o omettendo i fatti. Per evitare la condanna degli imputati i loro avvocati hanno chiesto il rito abbreviato per evitare la fase del dibattimento. Ora io mi domando chi stanno coprendo? Forse gli agenti dei Gom che nei giorni dell?omicidio e durante quelli precedenti erano presenti in istituto?» Il processo riprenderà il 13 maggio e l?avvocato Giannangeli ha indicato il Ministero di Grazia e Giustizia come responsabile civile dei danni causati alla famiglia Romeo, chiedendo un risarcimento. L?avvocatura di Stato però non si è costituita. Secondo il fratello di Francesco Romeo, Domenico, la soluzione dell?enigma è semplicissima: «Nell?ultimo colloquio prima di morire Francesco mi ha detto che da una ventina di giorni alcuni agenti di custodia lo stavano ricattando al fine di indurlo a collaborare nell?ambito di un processo di mafia ?Rose Rosse?, inoltre ho notato sulle sue mani e sul viso delle escoriazioni. Sono convinto», aggiunge, «che la morte di mio fratello sia da addebitare inequivocabilmente ad un’aggressione attuata da parte di alcuni agenti penitenziari che dietro indicazioni precise intendevano indurlo a diventare un collaboratore di giustizia. In risposta alla sua ferma volontà di sottrarsi al ricatto è stato brutalmente pestato e quando la situazione è degenerata hanno inscenato una finta evasione». Le brutte storie non accennano a diminuire nelle carceri italiane. Anzi. Un anno dopo i fatti di Reggio Calabria, nel 1998, nelle patrie galere si registrarono 6342 atti di autolesionismo, 923 tentati suicidi, 6228 scioperi della fame e oltre 11 mila atti di protesta. L?ultimo semestre sarà ricordatio per le sue molte misteriose morti. Nell?ottobre e novembre 1999, solo a Roma, sono morti misteriosamente tre detenuti: Marco Ciuffreda, Luciana Medici e Adriano Tacchia. Il 22 gennaio 2000, un?altra morte in circostanze poco chiare a Parma: Antonio Fabiani, detenuto disabile, viene trovato morto in cella. Ufficialmente si tratta di suicidio. Ma i dubbi sono tanti, a cominciare dal fatto che è molto difficile che un uomo inchiodato sulla sedia a rotelle si alzi in piedi per impiccarsi alle sbarre della cella. Due giorni prima, Fabiani aveva scritto alla moglie: «Se muoio, fatemi l?autopsia». Un?altra scomparsa su cui si sono addensati dubbi e interrogazioni parlamentari è quella di Marco Ciuffreda, morto a Rebibbia il 2 novembre 1999. Sulla sua morte anche il Governo ha ammesso la sussistenza di omissioni e colpe. Eppure il 2 marzo il Pubblico ministero ha chiesto l?archiviazione delle indagini sulla sua vicenda. Sul carcere torna a scendere il silenzio.


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