L’Ue spinge l’acceleratore sull’agrivoltaico, per raggiungere gli obiettivi del Green Deal. Ma è sempre l’Europa, dall’altra parte, che considera il terreno coperto di pannelli solari come consumo di suolo. Il fronte ambientalista è diviso, tra chi punta sulla transizione energetica e chi invece mette al primo posto la tutela del paesaggio. Per fare ordine, bisognerebbe intanto identificare le aree idonee e definire con chiarezza cos’è il fotovoltaico integrato con gli usi agricoli.
C’è una spaccatura nel mondo ambientalista, e non solo, quando si parla di fotovoltaico a terra. In base al recente rapporto Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici del Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente – Snpa, il territorio occupato da pannelli è di circa 17.830 ettari, con un aumento di 243 ettari tra il 2021-22. In testa alla classifica c’è la Puglia, con 6.116 ettari. Il fotovoltaico, a livello nazionale, oggi è per il 34% a terra, per il rimanente 66% su tetti e altre coperture. Qui c’è l’articolo di Rossana Certini su VITA.
Dalla parte dell’agrivoltaico
«È urgente un cambio culturale, se vogliamo davvero realizzare la transizione energetica e uscire dalla dipendenza dalle fonti fossili», afferma Attilio Piattelli, presidente del Coordinamento fonti rinnovabili ed efficienza energetica – Free, una rete che comprende associazioni attive nel campo dell’energia pulita accanto alle più importanti sigle del mondo ambientalista, quali Legambiente, Greenpeace e Wwf Italia. Continua Piattelli: «Bisogna adottare un approccio positivo, non continuare a dipingere come negativo un cambiamento di cui abbiamo bisogno, perché non è vero che la copertura con pannelli dei tetti e delle aree già impermeabilizzate sarebbe sufficiente a produrre l’energia che ci serve. Il fotovoltaico a terra non può essere considerato consumo di suolo, al pari della cementificazione, perché le sue strutture sono rimovibili e non produce un impoverimento degli ecosistemi».
Il Piano nazionale integrato energia e clima – Pniec, aggiornato a giugno, pone per il 2030 l’obiettivo di un incremento di 74 GW dell’energia prodotta da fonti rinnovabili, rispetto al 2021, 57 dei quali dovranno derivare da fotovoltaico. Un numero significativo, che il Piano suggerisce di raggiungere attraverso «l’installazione innanzitutto su edificato, tettoie, parcheggi, aree di servizio, etc. e con la diffusione di impianti agrivoltaici, in modo tale da coniugare la tutela del suolo e la spinta sulle rinnovabili».
In base al rapporto di Snpa, sfruttando gli edifici disponibili, ci sarebbe posto per una potenza fotovoltaica compresa fra 70 e 92 GW, dunque un quantitativo sufficiente a raggiungere l’obiettivo del Pniec al 2030. «In generale, – si legge ancora nel report – data la vasta disponibilità di superfici a minore impatto ambientale, si potrebbe formulare un mix di localizzazioni che non solo risponde alle esigenze energetiche, ma minimizza anche il consumo di suolo». Nell’ipotesi estrema in cui tutta la nuova potenza prevista venisse installata a terra, si consumerebbero circa 100mila ettari di suolo.
Di quanto stiamo parlando? «Per capire l’ordine di grandezza, teniamo presente che in Italia ci sono 16,5 milioni di ettari di terreno agricolo, di cui circa 3,5 milioni sono incolti, – riprende il presidente di Free. – Destinare anche l’1% a scopi energetici non significherebbe stravolgere il paesaggio, e parliamo di una superficie inferiore». La Coalizione Free e altre associazioni, inoltre, ricordano che va considerato il fabbisogno non solo elettrico, ma la necessità, entro il 2050, di decarbonizzare il sistema energetico italiano: la domanda di rinnovabili è quindi ben maggiore e l’impiego della sola superficie dei tetti non sarebbe sufficiente.
Contro le “fattorie” di pannelli
Tutt’altra posizione hanno Italia Nostra, Mountain Wilderness, Amici della Terra e alcune altre associazioni che hanno dato vita alla Coalizione Articolo 9. Facendo riferimento alla tutela del paesaggio prevista nella Costituzione, affermano di essere favorevoli «ai pannelli fotovoltaici sui tetti dei capannoni e delle abitazioni non gravate da vincoli di tutela e lungo le infrastrutture di comunicazione perché non compromettono l’ambiente, il paesaggio, la biodiversità e la sicurezza alimentare». Ricordano, inoltre, che: «L’Agenzia Europea dell’Ambiente definisce consumo di suolo non solo l’estensione di aree edificate ma anche quella dei terreni soggetti a sfruttamento, soprattutto intensivo, da parte dell’agricoltura, della silvicoltura o di altre attività economiche».
Roberto Cuneo, consigliere nazionale di Italia Nostra, porta l’esempio positivo dell’Autostrada del Brennero, dove sono state installate barriere antirumore che producono energia con il sole. «Non vogliamo vedere intere colline, o pezzi di pianura, ricoperti di pannelli. Anche in agricoltura, questi nuovi elementi vanno integrati con equilibrio nel paesaggio rurale. Siamo contrari alle fattorie fotovoltaiche, un grosso affare per pochi. Pianificare una distribuzione sui tetti significa anche una migliore ripartizione dei vantaggi economici, è più democratico».
L’accelerazione di Bruxelles
A livello europeo, è forte la spinta verso il fotovoltaico. Un recente studio del Centro Comune di Ricerca – Jrc della Commissione evidenzia in particolare le potenzialità dell’agrivoltaico (al link il documento in inglese: https://publications.jrc.ec.europa.eu/repository/handle/JRC132879). Secondo questo report, usando solo l’1% della superficie agricola europea, con i nuovi sistemi si potrebbero installare fino a 944 GW di potenza, mentre ora sono circa 200 i GW già attivi.
In futuro, in base alla Strategia solare dell’Ue non sarà sufficiente coprire i tetti e le aree dismesse: almeno il 50% della potenza dovrà essere installata su terreni agricoli. Con il Green Deal, infatti, l’Ue ha fissato al 2050 l’obiettivo di azzerare le emissioni nette di gas a effetto serra e il fotovoltaico è una fonte strategica.
È di questi giorni il via libera della Commissione al decreto dell’Italia da 1,7 miliardi, parzialmente finanziato dal dispositivo per la ripresa e la resilienza, per sostenere nuovi impianti agrivoltaici, che dovranno diventare operativi entro il 30 giugno 2026, per una capacità totale di 1,04 GW.
Nel frattempo, però, non è stato ancora approvato il decreto sulle aree idonee per le rinnovabili, atteso da oltre un anno. «È un passaggio strategico, ma la norma deve essere migliorata, deve contenere definizioni oggettive. Il concetto di “aree agricole non utilizzate” va chiarito, altrimenti il rischio è che ogni singola Regione o amministrazione lo interpreti a suo modo. Aziende e operatori di settore devono sapere come comportarsi», conclude Piattelli.
Definire in modo chiaro le aree idonee e quali caratteristiche devono avere gli impianti agrivoltaici è il primo passo verso uno sviluppo ordinato delle rinnovabili, verso la transizione energetica.
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