Cultura

Digiuno contro la violenza

Appello dei vescovi indiani: domenica 7 settembre preghiere e rinunce contro le persecuzioni subite dai cristiani. Parteciperanno anche indù e musulmani

di Gabriella Meroni

«La Giornata speciale di digiuno e preghiera, il 7 settembre, sarà un momento di invocazione e di affidamento a Dio che unirà i cristiani di tutte le confessioni e denominazioni presenti in India. In perfetta unità ecumenica pregheremo e saremo fianco a fianco contro la violenza e in difesa della vita»: con queste parole padre Babu Joseph, portavoce della Conferenza episcopale dell’India, ha presentato in un colloquio con l’Agenzia Fides la Giornata del 7 settembre, indetta dalla Chiesa indiana all’indomani degli attacchi anticristiani in Orissa.

Padre Babu racconta: «La Giornata si celebrerà all’interno delle chiese, dalle prime ore dell’alba fino alla sera, con preghiere, sante messe, adorazione eucaristica, santo rosario, veglie. Pregheremo per le vittime dell’Orissa e per le loro famiglie, per i cristiani cacciati dalle proprie case e costretti a una vita da profughi. Invocheremo pace, unità e armonia per il paese, chiederemo a Dio di sciogliere la violenza e l’odio dai cuori». Nella Giornata – sottolinea il portavoce – «saranno uniti a noi tutti gli uomini di buona volontà, compresi fedeli indù e musulmani, e anche rappresentanti delle autorità civili». «É necessario – continua padre Babu – dare un segnale a tutta la società indiana: occorre proteggere e garantire la vita di tutti i cittadini, qualsiasi religione professino. Vogliamo ricordare alla nazione che l’India é sempre stata un paese multietnico, multiculturale e multireligioso e che la pace é possibile. Tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e nella loro dignità fondamentale, davanti a Dio e davanti agli uomini. Tutti hanno e devono godere degli stessi inalienabili diritti».

Padre Babu sottolinea il carattere propositivo della Giornata: «Vogliamo che questa Giornata sia un momento di unità della nazione, in opposizione a ogni violenza, a ogni ideologia estremista, ogni discriminazione politica, sociale o religiosa. Ci ispiriamo e chiediamo la protezione di Madre Teresa di Calcutta, di cui domani, 5 settembre, si celebra la festa: lei é stata ed é per l’India un modello di compassione universale». La Giornata sarà celebrata in tutto in territorio nazionale, compreso lo stato dell’Orissa. Il portavoce dei vescovi conclude: «Temiamo che in Orissa – pur essendo l’iniziativa del tutto pacifica e non violenta, centrata sulla dimensione spirituale – si possano generare ulteriori tensioni, con possibili reazioni dei gruppi estremisti, non ancora del tutto sotto controllo. Per questo abbiamo chiesto al Governo di prendere maggiori precauzioni e di assicurare la protezione dei cittadini cristiani».

Intanto non si fermano le violenze anticristiane in India. Secondo fonti ufficiali cattoliche della regione, sono in un numero compreso fra i 40 e i 50 mila i profughi sfuggiti agli attacchi degli estremisti indù nello stato indiano dell’Orissa e rifugiatisi nella giungla quando sono cominciate le violenze anticristiane. In 13 dei 30 distretti dello stato si sono verificate violenze di vario tipo: distruzione di chiese, residenze di sacerdoti e suore, conventi, scuole, ospedali. Le vittime degli scontri sono state almeno 25 mentre circa 15 mila persone sono ora nei campi profughi; tuttavia il panico e la confusione si sono diffusi in almeno tre di questi campi presi di mira dagli estremisti. La situazione rimane ancora molto tesa da quando, lo scorso 23 agosto, é stato assassinato quasi certamente da un gruppo maoista un leader estremista indù ed alcuni suoi seguaci. I gruppi induisti sostengono però che dietro l’omicidio ci sono in realtà i cristiani. Un’accusa che i vescovi indiani hanno rigettato con sdegno accusando invece i fondamentalisti di dare la caccia ai cristiani perché questi ultimi convertono i dalit, i fuoricasta, al cristianesimo. Nonostante l’intervento e delle forze di sicurezza e dell’esercito inviato da New Delhi le violenze non sono cessate del tutto e ancora in questi giorni sono state date alle fiamme numerose chiese e ancora abitazioni di cristiani.

Ma quali sono le ragioni della rabbia anticristiana? Secondo numerosi osservatori, ciò che rende insopportabile agli occhi degli estremisti indù la presenza della Chiesa cattolica in India é la volontà dei vescovi e dei missionari cattolici di non riconoscere il rigido sistema delle caste e di porre fine alle discriminazioni contro i dalit, cioé gli intoccabili, i fuori-casta, anzi di accoglierli al proprio interno assegnadogli ruoli di responsabilità e di guida delle comunita’. Un impegno che si scontra anche con le resistenze di molti indiani convertiti al cattolicesimo rimasti legati a una mentalità che non sa rinunciare alla suddivisione in caste; per questo i vescovi stanno cercando di affermare il superamento delle divisioni di tipo castale nei cimiteri come nei riti funebri; allo stesso tempo si battono affinché i dalit possano assumere posizioni di rilievo nella Chiesa o diventare preti. In questo contesto nello Stato del Tamil-Nadu, sud dell’India, i vescovi stanno spingendo i cattolici a combattere le ineguaglianze prodotte dal sistema delle caste e a portare aiuto agli appartenenti alle caste più basse e ai cosiddetti «intoccabili». «É dovere di tutti i cristiani rimuovere le differenze di casta e costruire una Chiesa dell’eguaglianza» ha affermato il consiglio dei vescovi del Tamil Nadu in un documento ufficiale. La dichiarazione dei vescovi cattolici é stata letta a voce alta nelle parrocchie di tutte le 19 diocesi dello Stato lo scorso 17 agosto.

La società indiana é stata costruita su un sistema castale con quattro principali livelli. Le persone al di fuori di questo sistema, che una volta venivano considerate fuori-casta o intoccabili, ora sono chiamati tutti insieme dalit, termine sanscrito che sta per «calpestati». La dichiarazione dei vescovi lamentava ancora che le persone, inclusi i cattolici, continuano a praticare «l’intoccabilita’» in varie forme e a vari livelli. I vescovi, fra l’altro, vogliono che vengano rimosse anche quei segni del sistema delle caste che permangono anche all’interno della vita della Chiesa. É il caso del divieto imposto ai bambini dalit di servire messa e alle processioni cattoliche di entrare nei luoghi dove vivono i dalit. I prelati chiedono inoltre che venga posta una fine alla separazione dei luoghi di sepoltura e dei veicoli funebri. Nuovi cimiteri, hanno asserito i vescovi, dovranno essere aperti a tutti. Ancora la Chiesa cattolica chiede che i dalit convertiti possano entrare a far parte dell’amministrazione delle parrocchie e dell’amministrazione della Chiesa. A tale scopo la nota afferma che i dalit dovrebbero essere incoraggiati a partecipare e a guidare i consigli delle parrocchie e di altre organizzazioni cattoliche. I vescovi chiedono inoltre alle congregazioni religiosi e alle diocesi di incoraggiare le vocazioni presso i gruppi di dalit. I presuli hanno poi spiegato che gli indiani, anche quando cambiano religione, mantengono l’identità castale e i simboli e gli abiti tipici di questo sistema e i cristiani in questo senso non fanno eccezione. Ma i vescovi hanno anche sottolineato che la Costituzione indiana proibisce la discrimi
nazione delle caste e la pratica dell’intoccabilità. Nel testo della Chiesa del Tamil Nadu si sollecitano i vescovi, i preti, i religiosi e i laici a lavorare insieme per fermare la discriminazione castale; il persistere di tali discriminazioni da parte di preti e religiosi, si legge nel testo, è «un grande peccato» poiché tale comportamento equivale a una contro-testimonianza evangelica. L’impegno dei vescovi e della Chiesa scaturisce anche dal fatto che proprio da questi ambienti di estrema povertà arriva una parte dei neoconvertiti al cristianesimo, per questo in alcuni Stati dell’India sono state elaborate leggi anti-conversione adducendo il motivo che si tratterebbe di conversioni forzate al cattolicesimo.


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