Cultura
Dighe: I faraoni del duemila allagano i popoli
Sbarrare i fiumi per costruire centrali: è la strada preferita allo sviluppo per Banca mondiale e governi di Paesi poveri. Ma i disastri ambientali e umani sono numerosi
Situata sul corso medio dello Zambesi, al confine tra lo Zambia e lo Zimbabwe, la diga di Kariba è una delle opere più colossali realizzate in Africa per produrre energia idroelettrica. Ma la sua utilità, come quella di tutte le dighe di grandi dimensioni, è messa sempre più in discussione. La diga di Kariba è stata costruita tra il 1953 e il ?62 da un consorzio di ditte italiane capitanate dalla Impresit, che oggi fa parte del gruppo Impregilo, ancora molto attivo nella costruzione di grandi dighe nel mondo.
La Banca mondiale già negli anni ?50 finanziava grandi dighe. Quella di Kariba è stata costruita con uno dei più grossi prestiti concessi per infrastrutture del genere. A pagare il prezzo più alto è stata però la popolazione locale e soprattutto i Tonga, il popolo che da più di cinquecento anni vive nella valle del fiume Zambesi. «Ho saputo della storia dei Tonga dagli anziani, mentre lavoravo per un progetto agricolo a Lusitu, dove la terra è molto arida e difficile da coltivare», racconta Paolo Romagnoli del Celim di Milano, una organizzazione non governativa presente da molti anni in Zambia. «È qui che sono andati a finire la maggior parte dei Tonga che vivevano nella zona dove è stata costruita la diga».
Per costruire la diga di Kariba sono state deportate 57mila persone, fra i Tonga che abitavano la riva zambiana del fiume e i loro fratelli del lato opposto dello Zambesi, su territorio zimbabwano. «La vita dei Tonga è sempre stata strettamente legata al fiume», spiega Romagnoli. «Le piene dello Zambesi assicuravano la fertilità della terra e un buon raccolto. La pesca e la costruzione delle canoe, un?attività della quale i Tonga erano molto abili, assicurava il necessario per vivere con le piene che rendevano fertile la terra».
La decisione di costruire la diga è stata presa senza consultare i Tonga. Un anno prima è stato detto loro che la terra che abitavano da cinquecento anni sarebbe stata allagata dalle acque del bacino artificiale. «Quando è arrivato il momento sono stati caricati su grandi carri, e trasportati via a decine», racconta Pier, un altro volontario del Celim. «Cinquant?anni fa, quando è stata costruita la diga di Kariba, c?era meno attenzione per l?ambiente e le popolazioni locali», conferma Pierluigi Moschetti, ingegnere dell?Impregilo, l?impresa che ha costruito la diga. «Oggi le dighe vengono costruite in modo da ridurre le conseguenze negative sull?ambiente, e alle persone che vengono spostate si assicura un luogo adatto per vivere, come risarcimento per le terre lasciate».
L?utilità di questi mega-impianti viene però sempre più contestata. E a farlo non sono solo gli ambientalisti, ma scienziati e studiosi che stanno sollevando sempre più dubbi sui costi ambientali e umani che le grandi dighe comportano. E che si affiancano alle popolazioni locali che non vogliono lasciare le proprie terre. è diventata ormai famosa in tutto il mondo la lotta degli abitanti di un gruppo di villaggi dell?India centrale per fermare la costruzione di una diga che sommergerà 40mila case. Si tratta della diga di Maheshwar, che fa parte di un complesso di ben 130 dighe che il governo indiano ha deciso di costruire sul fiume Narmada.
Per dar voce alla popolazione locale, nel 1989 è nato un movimento della società civile indiana, Narmada Bachao Andolan (Movimento per salvare il Narmada), che contesta l?intero complesso di dighe, che in tutto prevede lo spostamento di un milione e mezzo di persone. Del movimento fanno parte attivisti per i diritti umani e per l?ambiente, scienziati, docenti universitari, e le persone che saranno spostate per far posto alle dighe. Narmada Bachao Andolan ha denunciato proprio la mancanza di studi approfonditi per verificare l?impatto ambientale, e la mancanza di un vero piano per il reinsediamento della popolazione locale. Gli attivisti sono riusciti nel 1994 a fermare i lavori, ma l?anno scorso il governo indiano ha ordinato l?arresto di mille dimostranti durante una manifestazione, e ha annunciato la ripresa del cantiere.
La pressione dell?opinione pubblica, e con Internet la risonanza in tutto il mondo, deve però aver avuto qualche effetto se la Banca Mondiale, la principale finanziatrice di dighe, ha deciso di ritirarsi dai progetti più contestati tra cui proprio le dighe di Narmada. L?istituzione internazionale ha fatto marcia indietro anche dal progetto delle Tre Gole in Cina, una diga alta più di 180 metri sul fiume Azzurro. Anche in questo caso le persone da spostare sarebbero più di un milione. Alle imprese costruttrici, che sostengono l?utilità delle grandi dighe per i vantaggi in termini di resa energetica, le organizzazioni non governative chiedono progetti che possano migliorare la vita della popolazione locale.
In Zambia i vantaggi dell?energia elettrica prodotti dalla diga di Kariba non hanno sfiorato i Tonga del fiume, che vedono ancora oggi passare la corrente elettrica sulle loro teste mentre lottano per sopravvivere in un territorio che non era adatto a ospitarli, dove il suolo non è stato irrigato mediante la costruzione di acquedotti come era stato loro promesso. Molti di loro se ne vanno in città, senza più radici e senza un passato. E non pensano più nemmeno allo Nyamanyami, il dio del fiume custode della natura, per sempre sepolto dalle acque di Kariba.
Info: www.narmada.org
www.dams.org/default.php
www.unimondo.org/cbm/diuma1f.htm>/a>
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