Sono rientrato ieri dall’Etiopia dove ho trascorso una ventina di giorni incontrando numerosi missionari, missionarie, sacerdoti fidei donum e laici. Come potete immaginare, è stata un’esperienza estremamente arricchente, sia dal punto di vista spirituale che umano. Da lì avrei voluto continuare ad aggiornare questo blog, ma la mancanza di un accesso soddisfacente ad Internet me lo ha impedito. Tutta colpa del “Digital Divide”, fenomeno sintomatico del divario tra il Nord e il Sud del Mondo. Dico subito che ritengo forviante pensare che portando un computer in ogni capanna i problemi della povera gente possano essere considerati risolti. Sicuramente le nuove tecnologie, se organicamente introdotte, potrebbero, in tempi e modi adeguati, diventare uno strumento di sviluppo e conoscenza; ma il cammino è molto lungo e tutto in salita. La mancanza di volontà politica da parte di coloro che siedono nella stanza dei bottoni, unitamente alla gravissima crisi economico-finanziaria dei mercati internazionali, sono alcuni dei fattori che stanno fortemente penalizzando in particolare l’Africa. Sta di fatto che in Etiopia, in meno di un anno, i generi di prima necessità sono aumentati per ben tre volte causando gravissimi problemi alla povera gente che fa fatica a sbarcare il lunario. Tornando però al discorso sul “Digital Divide”, vorrei condividere con i lettori di questo blog due brevissime considerazioni. La prima riguarda l’uso delle tecnologie che, dal mio punto di vista, non dovrebbe servire a creare dei bisogni indotti in questi Paesi (connettività ultraveloce, computer sempre più potenti….), ma a farli sentire in grado di definire e realizzare uno sviluppo tecnico adeguato alle loro reali esigenze. Da questo punto di vista credo che nell’ambito dell’informatica – ed è questo il secondo punto – il paradigma tecnologico più sostenibile sia quello legato ai cosiddetti “free software”. Infatti la possibilità per gli utenti di partecipare attivamente all’innovazione, la possibilità di personalizzare per le diverse esigenze i software, e più in generale il modello cooperativo a cui fanno riferimento i “free software”, sono alcuni dei punti di forza di una strategia globale che potrebbe giovare alla causa dello sviluppo. A questo proposito mi pare che vi siano alcune Ong che si stanno occupando di questi temi con grande serietà e interesse, anche se poi molto spesso, ahinoi, mancano di quel supporto tecnico e finanziario da cui non si può prescindere per ogni serio ragionamento in questa materia. Come giustamente rileva Giulio Carcani, grande esperto nelle problematiche inerenti al Digital Divide, “il problema più difficile a oggi sembra essere quello di far incontrare l’esperienza pluriennale nei progetti di cooperazione delle Ong con l’importante bagaglio tecnico della comunità ‘free software’. Se questi due mondi riusciranno ad incontrarsi su dei progetti specifici e a far tesoro reciprocamente l’uno delle esperienze dell’altro, forse si potrà iniziare a vedere un futuro meno cupo per il Digital Divide, destinato altrimenti a diventare un nuovo e micidiale strumento di colonizzazione”. (Cfr.: http://web.peacelink.it/dossier/divide/dossier.pdf)
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.