Sostenibilità
Differenziata addio
Dopo l'emergenza, un piano che punta solo sull'incenerimento
di Redazione
Cinque impianti a regime saranno in grado di bruciare tutta la produzione della Campania. Questo significa che non si prevede
di aumentare il tasso di riciclaggio, oggi fermo all’11%. Uno scacco matto all’idea di fare dei rifiuti anche una risorsa
La situazione di emergenza cui si era arrivati imponeva soluzioni drastiche, certamente non si poteva permettere che i rifiuti restassero in mezzo alla gente, accanto alle scuole, vicino agli ospedali. Ma il problema è che questa soluzione, pur nella cronicità dell’emergenza rifiuti campana, deve necessariamente avere un punto di svolta, può cioè rispondere alla sola contingenza, all’immediato, ma non può diventare regola.
Tutta la normativa comunitaria e italiana è fondata su pochi principi chiari che si possono così riassumere: va in discarica (o all’inceneritore con recupero energetico) tutto quello che non è altrimenti recuperabile. Nel momento in cui un piano di gestione prevede un sistema basato, anche in futuro, su impianti d’incenerimento di dimensioni tali da assorbire la gran parte dei rifiuti prodotti e si autorizzano per legge questi impianti a smaltire il tal quale, di fatto si afferma che riduzione dei rifiuti, riciclaggio e recupero dei materiali non servono a niente. I numeri aiutano a capire.
In Campania vivono circa 5 milioni 800mila persone che, secondo i dati Apat (oggi Ispra) producono ogni anno oltre 2 milioni 800mila tonnellate di rifiuti solidi urbani; di questi, oggi solo poco più dell’11% vengono recuperati tramite raccolta differenziata. Oltre il 30% dei rifiuti è composto da materie organiche e vegetali (quello che comunemente si definisce come “umido”), quasi il 25% da carta, quasi il 7% da vetro, non meno dell’11% da plastiche, oltre il 6% da tessili, il 5% da materiali legnosi, oltre il 3% da oggetti in metallo; rimane poi una frazione di composta da frammenti di tutti questi materiali che però sono in pezzatura così piccola da non poter essere identificati e recuperati.
In Campania il governo ha deciso di realizzare un sistema di quattro inceneritori (teoricamente con recupero energetico) più uno (specificatamente destinato allo smaltimento delle ecoballe, cioè dei rifiuti “preselezionati” e pressati che si sarebbero dovuti smaltire negli inceneritori che nessuno aveva ancora costruito, ecoballe che oggi hanno raggiunto i 7 milioni di tonnellate). Per quanto si sa, l’inceneritore di Acerra avrà due linee di smaltimento per un totale di circa 800mila tonnellate annue; quello di Santa Maria la Fossa avrà un impianto simile a quello di Acerra ma con una sola linea, quindi circa 400mila tonnellate annue; a Salerno si prevede un impianto di 450mila tonnellate; la situazione di Napoli non è ancora chiarissima, ma s’ipotizza che il nuovo impianto sia di circa 500mila tonnellate annue. Il totale è di oltre 2 milioni di tonnellate di rifiuti l’anno smaltiti tramite incenerimento. A questo, come abbiamo detto, si aggiungerà l’inceneritore per le ecoballe il cui dimensionamento non è ancora chiaro, ma si vorrebbe creare una struttura capace di smaltire i rifiuti giacenti in circa dieci anni, difficile quindi ipotizzare un impianto di dimensioni molto inferiori a quello di Acerra. Una volta smaltite le ecoballe, anche questo quinto impianto sarà utilizzabile per lo smaltimenti rifiuti portando la capacità di incenerimento regionale a circa 2 milioni 800mila tonnellate annue, cioè all’incirca pari alla produzione di rifiuti odierna della Regione Campania. Questo significa che o qualcuno sta puntando sull’aumento dei rifiuti in Campania, cosa che sarebbe scellerata, oppure si sta rinunciando a priori alla raccolta differenziata, oppure si sta candidando la Campania a diventare piattaforma di smaltimento rifiuti per un’area ben più vasta del proprio territorio.
Una breve riflessione va poi fatta sul presunto recupero energetico che questi impianti dovrebbero garantire. La produzione di energia da rifiuti dipende certamente dal tipo d’impianto che si realizza, ma molto dipende anche dal tipo di rifiuto che si smaltisce: più è alta la percentuale di carte e plastiche nei rifiuti inceneriti, più si produce calore e quindi energia, più i rifiuti smaltiti contengono frazione umida, meno energia si produce. Per questo motivo la realizzazione degli inceneritori prevede la prescrizione della tipologia di rifiuti che possono essere smaltiti, rifiuti che devono essere preselezionati per avere e garantire un potere calorifico minimo e costante.
La Corte dei Conti nel 2008 ha osservato che in Campania «fermare la raccolta differenziata all’11% determina un conferimento agli impianti di combustibile da rifiuti (Cdr) di raccolta non differenziata con effetti problematici sul funzionamento degli impianti». Oggi si può dire che in prospettiva rischiamo di essere in una situazione paradossalmente ancora più delicata, dove non ci sarà più alcun interesse a fare raccolta differenziata. Tutti gli inceneritori previsti, se realizzati, dovranno essere alimentati con l’intera produzione rifiuti della regione. Si tratta di uno scacco matto non solo alla raccolta differenziata, ma anche a quel buon senso che in Europa governa le modalità di gestione e trattamento di rifiuti che possono costiture una risorsa, ma che in Italia continuano ad essere un affare per i soliti noti.
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