Cultura

Differenza, ne basta anche una goccia

di Maria Laura Conte

Perché il mio giornale non è più capace di ospitare la differenza, per questo me ne vado: è il messaggio che Andrew Sullivan, autore di articoli incendiari negli Usa, ha lanciato con il suo ultimo pezzo per il New York Magazine. Lascia la rivista, nella quale lo spazio per un pensiero diverso (come il suo) si è fatto sempre più asfittico, e torna al suo vecchio blog.

Ma Sullivan, come i due colleghi del New York Times, Bari Weiss e James Bennet, che hanno dato le dimissioni nelle scorse settimane per la stessa ragione, insieme ai 153 intellettuali che hanno firmato la lettera sul dibattito aperto su Harper’s Magazine, prestano il volto a una discussione che negli ultimi mesi si è arroventata. La trama ha radici antiche, incorpora questioni complesse come libertà di espressione, razzismo, cultura e diritti, equilibri tra maggioranze e minoranze, potere e politica, derive ostili dei social media, e si sta articolando in una serie di stagioni cadenzate, come quelle cinematografiche, da colpi di scena e grandi protagonisti. Merita indagini scientifiche, non letture semplicistiche, ma anche solo al primo sguardo spicca il tema della differenza.

Già nel suono disturba questa parola, trascina un che di scomodo. Viene dal verbo latino dif-fero, che nella forma attiva significa porto qua e là, dissemino, nella passiva sono lacerato, tormentato. Nella versione intransitiva vuol dire mi differenzio, mi distinguo. Di qui il nostro uso comune di differenza come mancanza di somiglianza tra due cose o persone. In filosofia indica l’alterità, cioè la non corrispondenza tra cose appartenenti allo stesso genere; in una certa declinazione letteraria è sinonimo di dissidio; in fisica definisce lo scarto tra valori di determinati parametri. E soprattutto tale disciplina viene in aiuto per ritagliare il profilo di questa parola con un modello preciso: ci insegna che se lasciamo cadere una goccia di reagente all’interno di una soluzione “inerte”, avviamo una reazione che produce una nuova condizione, aumenta l’entropia che è disordine, ma apre a qualcosa di nuovo che sa raggiungere poi uno stato di equilibrio.


Tornando al caso Sullivan e soci, è questo reagente che faticano ad assorbire anche giganti orgogliosi di tutelare il pensiero aperto. Rasenta l'assurdo, eppure è quanto documenta lo scambio nato attorno alla sciagura della cancel culture, cioè quella tendenza culturale che, intollerante, cancella il pensiero non allineato con il suo. Il reagente rompe l’inerzia, spacca la bolla, perciò meglio rimuovere chi se ne fa difensore, meglio lasciarlo in pasto alle belve dei social media, al veleno, se non all'odio violento. Anzi più la bolla è consolidata e le sue componenti uguali, e più l’impatto della differenza è dirompente.

Ma ci possiamo permettere di farne a meno?

Basta una goccia: il gesto differente può essere minino, quasi una sottrazione (il cui risultato in matematica si definisce differenza). Come quello dell’ortolano di Havel de “Il potere dei senza potere”: il drammaturgo riflette su quel che può innescare in un sistema totalitario, che ovviamente non ammette di esserlo, la scelta del proprietario di un negozio di frutta e verdura che un giorno decidesse di non attaccare alla vetrina il cartello della propaganda, contro la prassi consolidata di tutti.

Finché l’apparenza non viene messa a confronto con la realtà non sembra un’apparenza

V. Havel

Quando sei una delle molecole inerti della bolla, non ti accorgi di esserne complice, finché qualcosa di originale e reale fa breccia. Finché l’apparenza non viene messa a confronto con la realtà non sembra un’apparenza. Perciò di quel reagente hai bisogno. Anche se non lo capisci subito, dovresti essere grato ai dissidenti, per altro sinonimo di differenti (da dis-sideo: mi siedo distante).

Visto che il prezzo può essere molto alto, l'esilio, il fango o la condanna, un uomo o una donna non diventano dissidenti perché un bel giorno decidono di intraprendere questa stravagante carriera, e rubo le parole esatte del presidente ceco, ma per una combinazione di fattori: una responsabilità interiore che non si lascia silenziare, le circostanze esterne, il gusto dell’avventura.

Così sbocciano loro, e forse salvano gli altri. Di sicuro dall’immobilismo mortifero.

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