Welfare
Difendere il Reddito di cittadinanza è un gesto patriota
Il RdC è misura perfettibile e Caritas Italiana ed Alleanza Contro la Povertà hanno da tempo segnalato difetti e possibili correttivi. Ma se questa destra di governo vuol salvare il concetto di “patria” inverta le priorità: prima di un cambiamento al ribasso, si mettono in sicurezza i deboli, chiunque essi siano per il solo fatto che sono parte dell’unica nazione, poi si creano le condizioni perché chi può partecipi davvero alla costruzione del suo Paese
Una signora ucraina che vive in Italia da anni, e che aveva la residenza in una cittadina del Donbass, mi ha freddato qualche tempo fa dicendomi che la sua patria è “quel paese che le passa la pensione”, non conta quale paese fosse tra i due che contendono la sua terra, conta che quella nazione non si fosse dimenticata di lei. Sarà certamente un pensiero riduttivo, strumentale ed al limite del cinico, che non ha nulla di quel grande sentimento che ha ispirato il nostro risorgimento ed i nostri padri costituenti, ma è un pensiero che fissa un punto: la patria è quell’organizzazione umana che non si dimentica di me, per il solo fatto che mi considera parte di essa.
Pensando alle parole chiave di questo nuovo governo la parola “ Patria” balza subito agli occhi ed addirittura la si vuole “riportare nelle scuole” come emergenza educativa. Quando però questa novella patria pensa agli ultimi ed ai più poveri nella prima manovra finanziaria sembra essere intenta a sfilar loro l’unica coperta che li tiene ancorati ad un concetto di appartenenza allo Stato. Occupablità, politica attiva del lavoro, inclusione lavorativa, sono tutte dimensioni fondamentali del vivere dinamico del nostro Paese e delle giuste aspettative che devono esserci nel rapporto di reciprocità tra cittadini e stato. Ma queste parole a fine mese non dicono assolutamente nulla a chi ha un reddito più basso di ciò che serve per campare dignitosamente. Un “giovane” occupabile, di sana e robusta costituzione, oltre la soglia dei 35 anni e che non ha un lavoro, va assolutamente aiutato ad entrare di diritto in quel mondo, ma finché i Centri per l’Impiego pubblici resteranno uno scampolo di welfare mal riuscito, l’ultimo luogo in cui un “occupabile” spera di poter ricevere una proposta di lavoro, la responsabilità pubblica verso quel cittadino si sostanzia nel non lasciarlo solo a fine mese.
Quando fu attivato il Sistema di Inclusione Attiva nel 2015 tutti gli addetti al settore tirarono un sospiro di sollievo: finalmente un quadro armonico che coniugasse lotta alla povertà e difesa del reddito, ma i numeri della sperimentazione erano ancora così bassi da essere poco più di un laboratorio. Poi arrivò la grande riforma del Reddito di Inclusione, naturale prosecuzione del SIA, entrato in vigore nel 2018: progetti personalizzati di uscita dalla povertà, misure per il reddito e per l’inclusione lavorativa, ed i poveri hanno capito che lo stato si era finalmente ricordato di loro, settant’anni dopo il varo della costituzione, con una riforma che parlasse di loro. Ma una riforma è tale quando non solo la lettera della legge ma anche l’investimento che ne consegue ha il peso di una riforma, per il REI non fu così: l’importo medio mensile distribuito andava da un range tra 225 e 328 euro e raggiunse, prima di essere sostituito dal Reddito di Cittadinanza, solo 506 mila nuclei familiari. Con il RDC la misura è divenuta una vera riforma degna di questo nome, con sette miliardi, poi divenuti dieci, di spesa complessiva, più un milione di nuclei familiari coinvolti, ma la norma combina dei pasticci, che Caritas Italiana ed Alleanza Contro la Povertà avevano tempestivamente segnalato al governo precedente: la confusione tra politiche del lavoro e politiche sociali e soprattutto sulla standardizzazione del reddito a prescindere dal “caro vita” effettivo del beneficiario. E così il reddito distribuisce in Campania lo stesso importo che ci vuole per uscire dalla povertà relativa per chi vive a Varese.
Ora con il cambio di governo si ritocca la riforma ancora una volta, come è normale che sia nell’ alternanza delle visioni politiche, ma decidere di modificarla a ribasso a prescindere, di dare il conto alla rovescia a qualcuno che sul RDC ha fatto affidamento, ben prima di aver chiarito quale protezione concreta si ipotizza per il fine mese di un occupabile che occupato non è, può essere un gesto scellerato, una violenza contro chi è stato prima dimenticato dallo Stato, quando il lavoro non arrivava, poi protetto con una coperta di fortuna di un reddito che presentava stravaganze ma che pur sempre coperta per il freddo era, ed ora anzicchè lavorare sulla domanda di lavoro ( i centri per l’impiego) si riduce la protezione a coloro che vorrebbero essere offerta ma non sanno ancora per chi.
Se questa destra di governo vuol salvare il concetto di “patria” inverta le priorità: prima si mettono in sicurezza i deboli, chiunque essi siano per il solo fatto che sono parte dell’unica nazione, poi si creano le condizioni perchè chi può partecipi davvero alla costruzione del suo Paese. Il lavoro è oggi un diritto non esigibile a fine mese da parte degli occupabili, a cui almeno lo Stato-Patria concede un reddito nel frattempo.
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