Leggo sui giornali finalmente una notizia riguardante il mondo della disabilità. Ovvio. È l’annuncio dell’Inps di aver scovato migliaia di falsi invalidi, in giro per l’Italia, grazie ai controlli affidati per legge all’istituto. Notizia ghiotta, dunque, che individua l’ennesima cialtroneria nazionale, e mette alla berlina una fetta di profittatori che puntano, facendo carte false, alla cospicua pensione di 250 euro al mese.
Non metto in dubbio la correttezza di un’azione di controllo, quanto mai doverosa, tenendo conto della spesa pubblica improduttiva e del fatto che una pensione data a una persona che non ne ha diritto è di fatto sottratta a chi l’attende invano pur avendone i requisiti. Ma faccio mia l’osservazione della Fish: chi si vede tolta la pensione, nove volte su dieci ricorre in via amministrativa e vince, perché le Asl non si presentano, o non hanno più la documentazione necessaria. Una vittoria di Pirro, dunque, che comporta costi amministrativi e giudiziari sicuramente pari all’entità delle pensioni ritirate. Occorre dunque partire dalle regole, dalle procedure di ricorso, snellire e rendere trasparente il tutto. E magari fare attenzione, nello slancio censorio, a non colpire anche chi comunque ha una disabilità vera. Magari accertata malamente, tanto più che in Italia i criteri di accertamento dell’invalidità sono vecchissimi, basati sulla superata classificazione del ministero della Salute, e non sulla più recente classificazione dell’Icf.
A volte il criterio del 100% di invalidità è quasi inevitabile se si vuole concretamente favorire una persona nella ricerca di un lavoro e fornirle con l’indennità di accompagnamento di 450 euro un sostegno per compensare le spese vere in più che deve sostenere per l’autonomia e la mobilità. Insomma, un po’ di equilibrio non sta male: dietro ogni accertamento c’è comunque una persona.
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