Sostenibilità
Dietro il caso della Prestige. Petroliera mia non ti conosco
Le grandi compagnie non controllano la filiera. Nel 1970 le navi con bandiera ombra erano il 9%. Oggi sono oltre il 56. Intervista a Matteo Bartolomeo.
Rating etico alla prova del petrolio. Il disastro della Prestige al largo delle coste spagnole rilancia la domanda: di quali strumenti dispone chi deve misurare la responsabilità socio-ambientale delle imprese? Interrogativo che abbiamo girato a Matteo Bartolomeo, partner di Avanzi, società di rating etico leader in Italia.
Vita: Un altro disastro legato al petrolio. Quali difficoltà incontrate nel valutare questo settore?
Matteo Bartolomeo: Innanzitutto è sempre più difficoltoso delineare le responsabilità in gioco fra proprietari delle navi, armatori, produttori e acquirenti. Le compagnie non si occupano più dei trasporti ed è difficile capire, come nel caso della Prestige, di chi fosse il gasolio finito nell?oceano.
Vita: Cos?è cambiato?
Bartolomeo: Dopo la crisi petrolifera degli anni 70, le grandi compagnie hanno cominciato a esternalizzare il trasporto, per realizzare economie di scala. Oggi, sono parte della filiera ma non la controllano. I dati sono significativi: a metà degli anni 50, le bandiere ombra rappresentavano solo il 9% dei traffici. Nel 98, il 56,5%.
Vita: Ci sono vincoli di legge?
Bartolomeo: Quelli più avanzati fanno riferimento all?Oil Pollution Act, disposizione statunitense per prevenire l?inquinamento da greggio. Prevede innanzitutto che, nei porti Usa, non possano attraccare petroliere che non battano bandiera americana. Un provvedimento a metà fra il protezionismo e la tutela. La norma prevede che, oltre il 2010, non possano circolare navi che non abbiano il doppio scafo e quindi più sicure in caso di avaria. L?Europa avrebbe anticipato gli stessi limiti al 2005, ma la normativa non è stata ancora approvata.
Vita: Altri strumenti?
Bartolomeo: Le tecnologie satellitari, utili a rilevare gli sversamenti al largo e i lavaggi delle cisterne. Le polizze assicurative invece possono prevedere penalità nel caso di responsabilità dell?equipaggio ma, spesso, hanno massimali bassi, controindicati nel caso di disastri, dove oltre al lucro cessante, al danno emergente, si aggiunge il danno ambientale. Un?altra leva importante: i diritti portuali, con i quali colpire le navi carretta, premiando quelle sicure.
Vita: E le compagnie petrolifere?
Bartolomeo: Sono stati registrati approcci diversi. Se la Exxon, per il caso della Valdez, è stata collaborativa, la TotalFina per l?Erika ha invece tenuto un comportamento arrogante. Mentre la Shell, Bp e la stessa Exxon avevano rifiutato di usare la stessa imbarcazione. L?approccio è complessivamente molto volontaristico. E non sempre le certificazioni possono bastare. La stessa Erika era stata certificata dal Rina?
Vita: E gli azionisti?
Bartolomeo: Oltre al danno patrimoniale sono molto sensibili a quello reputazionale. Se però analizziamo l?andamento dei titoli, notiamo forti diminuzioni, in corrispondenza degli incidenti, che durano pochi giorni.
Vita: L?azionariato responsabile si pone il problema?
Bartolomeo: Nello specifico nemmeno la finanza responsabile Usa è riuscita a far molto. In Italia, c?è stato un forte pressing su Eni per Porto Marghera. Legambiente andò addirittura in assemblea. Si puntò molto sull?inquinamento dell?impianto, piuttosto che sul rilevante traffico di greggio della Laguna di Venezia.
Vita: Ci sono zone off limits?
Bartolomeo: Le Bocche di Bonifacio, per il loro patrimonio naturalistico. Una rarità. Il Bosforo, per esempio, è ad altissimo rischio.
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