In questi giorni la Repubblica Democratica del Congo (ex Zaire) è tornata alla ribalta sulla stampa italiana per la vicenda dei due missionari italiani, citati come complici dei guerriglieri dell’Fdlr (Forze Democratiche per la Liberazione del Rwanda) in un rapporto dell’Onu che dovrebbe essere discusso in una prossima riunione del Consiglio di Sicurezza. Personalmente ho molto apprezzato la serietà e lo scrupolo con cui il settimanale “Vita” ha seguito questo caso rendendo ad esempio pubblica la nota dei saveriani in cui sono state chiarite nel dettaglio le posizioni di padre Pier Giorgio Lanaro e padre Franco Bordignon. Accusati nel rapporto Onu di aver deviato fondi raccolti in Europa verso i combattenti del movimento ribelle ruandese, i due missionari si sono sempre prodigati a servizio della stremata popolazione congolese. Notizie come queste amareggiano perché le testimonianze che vengono dalle loro comunità cristiane indicano l’esatto contrario di quanto riferito nel rapporto, avendo fatto la scelta degli “ultimi” con grande fede e abnegazione. Detto questo, vorrei condividere con voi, cari lettori, alcune considerazioni sulla situazione nelle due province congolesi, quelle del Nord e Sud Kivu, dove il “caos” regna sovrano. Stiamo parlando di un territorio ricchissimo di materie prime, che da oltre un decennio è sconvolto da un’irrefrenabile spirale di violenza. Un clima brutale acuito dalla cultura d’impunità di cui godono le formazioni armate, con la connivenza di poteri più o meno occulti. Basta dare un’occhiata ai dispacci che inviano i volontari di Medici Senza Frontiere (Msf) per rendersi conto delle vessazioni perpetrate contro gente innocente. Dal gennaio scorso questa benemerita organizzazione umanitaria ha trattato oltre cinquemilatrecento vittime di violenza sessuale a riprova della totale assenza di uno stato di diritto. E mentre le autorità militari congolesi diffondono con clamore raffiche di dispacci sui successi conseguiti contro la famigerata milizia ribelle hutu, le cosiddette Fdlr, con l’intento di far credere che la situazione sia ormai sotto controllo, la realtà sul campo è assai diversa dalla propaganda. Il business minerario infatti fomenta a dismisura la sporulazione di nuovi gruppi armati, al punto che non passa settimana senza che venga annunciata la nascita di una nuova formazione. Ma il dato forse più inquietante riguarda lo sfruttamento illegale delle risorse minerali del Kivu che, secondo autorevoli fonti della società civile, avviene con la connivenza tra il regime ruandese e le Fdlr. Benché queste due entità siano ufficialmente antagoniste, gran parte della cassiterite e del coltan estratti nei siti minerari controllati dalle Fdlr ed esportati dal Kivu transitano “curiosamente” – è proprio il caso di dirlo – per Kigali. Alcuni osservatori ritengono che la presenza delle Fdlr nel Kivu sia usata dal regime di Kigali come pretesto per intervenire, direttamente o indirettamente, nel Kivu e mantenerlo, militarmente e politicamente, sotto il suo controllo per poter continuare a usufruire degli enormi benefici derivanti dall’attività commerciale delle risorse minerarie congolesi. Ecco perché non ci sarebbe affatto da stupirsi se un giorno si venisse a sapere che le violenze ora attribuite a “presunti Fdlr” fossero volute e pianificate dal governo ruandese, con il medesimo obiettivo. D’altronde l’esercito congolese ha nel proprio organico, in seguito all’accordo di pace tra le parti, una presenza cospicua di militari provenienti dalla milizia filoruandese del Cndp (il Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo). Nel frattempo, la Monuc, la forza di peacekeeping delle Nazioni Unite, s’è risolta in un clamoroso “fiasco”. Stando al rapporto Onu già citato, la Monuc sarebbe stata incapace di contrastare le Fdlr che godrebbero dell’appoggio di una rete di finanziamento non solo in Africa ma anche in Europa e nel Nord America. La questione di fondo comunque, troppo spesso sottaciuta dai media, è che la popolazione del Kivu sta subendo un’occupazione militare occulta a seguito delle mire espansionistiche dei paesi limitrofi, in particolare il Rwanda e l’Uganda, coinvolti nello sfruttamento illegale delle risorse minerarie congolesi tra cui figurano anche oro, petrolio e gas metano…. Non v’è dubbio allora che, al di là della retorica profusa nelle cancellerie di mezzo mondo, sarebbe auspicabile passare dalle parole ai fatti: adottando ad esempio la pratica di una certificazione di origine dei prodotti minerari per impedire un saccheggio che contribuisce a finanziare il conflitto.
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