Pure se ami le statistiche, se ti rassicurano i dati, se le tavole excel ti ammaliano nella loro rapida e infallibile capacità di sintetizzare il mondo, ci sono certi numeri che ormai non ti entrano più in testa nella loro negativa ripetitività. Che ti cambia se la disoccupazione giovanile arriva al 43.9% in rialzo dello 0,6% da ottobre, se il tasso dei senza lavoro arriva al 13,4% in aumento di due punti percentuali rispetto al mese precedente? Se il Pil pare che salga di pochino e poi cala sempre? La negatività irreversibile dei dati non cambia il concetto. Una brutta notizia è una brutta notizia.
Il rapporto fragile e precario con il lavoro riguarda ormai le sfere relazionali di ciascuno di noi. Non c’è quasi più via o famiglia in cui non si sperimenti la notizia di un conoscente, amico o parente che perde o non trova lavoro. E molti di coloro che sono sicuri oggi, non possono escludere un domani di contrarre quella terribile malattia chiamata disoccupazione.
Sul tema, e su cosa ci aspetta per il futuro, sono pieni gli scaffali delle biblioteche e la rete. Ma presuntuosamente potremmo dire che basta un tweet: “la ripresa non ci sarà, o comunque l’economia e il mondo del lavoro non torneranno mai come prima, almeno in Italia”.
La questione, si sa, riguarda soprattutto i giovani: non solo perché sono la fascia sociale più colpita dalla difficoltà di trovare lavoro, ma anche perché sono quelli che ancora più a lungo vivranno in una società che non regalerà più nulla a nessuno (o meglio, continuerà a regalare ai pochi che hanno molto. Ma è un tema da affrontare a parte). E per molti decenni avranno a che fare con i problemi che oggi vediamo diffondersi rapidamente.
Sperare nella ripresa dell’economia come in un grande vento che porterà prosperità e sicurezza per tutti è, oltre che ingenuo, anacronistico, slegato dalla realtà, anche uno modo remissivo e pure codardo di affrontare il futuro. Vedere tanti ragazzi senza la prospettiva di fare un lavoro che amano è triste; vedere tanti ragazzi che non fanno nulla per crearsi un futuro nella società in cui vivono è deprimente; vedere tanti ragazzi che si adeguano a saper fare poco, non vogliono crescere, parlano anche male l’italiano, sanno scrivere poco e aspettano di guadagnare qualcosa da quel poco che sanno è amareggiante e non porta a niente.
Tempo fa in un dibattito pubblico un “attivista” attempato si scaldò e indicando me e altri giovani che assistevano o parlavano ebbe a dire: “voi non avete speranza, siete una generazione sfigata”. Lo disse con una cattiveria colpevole, quasi come fosse una confessione di quel delitto collettivo che i nostri padri e le nostre madri hanno compiuto, visto compiere o ne sono stati complici. Quel delitto collettivo e sociale consiste semplicemente nel non aver creato le condizioni perché il benessere e la ricchezza che loro avevano avuto a causa di contingenze positive potesse continuare a proliferare in un mondo che cambiava profondamente.
Oggi molti dicono o si lasciano dire: “andare via dall’Italia, da questo Paese di merda”. A me fa ridere questo approccio alle cose, è un approccio figlio di quella “merda” (mi scuso ma l’espressio in voga è questa) contro cui si scagliano. E’ fatto di “merda” pure quello. Il lavoro deve far parte di un progetto di vita ambizioso e bello, che questo ti porti fisicamente all’estero o nell’appartamento sotto casa di mamma e papà è la stessa cosa. Chi vuole fuggire a Londra lo faccia, ma non venga a raccontare che è stato più bravo di chi rimane. Ha solo fatto una scelta.
Per questo la mia generazione, e soprattutto quella sotto di me, quella dei ventenni, oggi ha davanti l’immane compito di ricostruire tutto, in presenza di un mondo del lavoro a diverse velocità. E chi oggi parla di diritti del lavoro da difendere, dovrebbe spiegare a tutti cosa sono i diritti quando diventano piccoli privilegi. Ma fermiamoci qua.
Non so voi, ma io non accetto di vivere, crescere, invecchiare in una società destinata al declino. Perché di società destinate al declino è piena la storia. Ma la storia è piena anche di generazioni che hanno reagito al declino e creato le basi per mondi nuovi, conquiste sociali, progresso, innovazione. Spesso forzando i tempi e scardinando lo status quo.
Allora -aldilà delle politiche e delle economie- mi venivano in mente alcuni umili suggerimenti per un ipotetico reale ventenne di oggi. Per guardare avanti e avvicinarsi al mondo del lavoro con meno paura e più speranza. Che poi questi consigli non riguardano solo i ventenni, ma tutti quelli che si sentono giovani nella loro voglia e capacità di essere diversi e migliori. Magari a qualcuno questi consigli da poco possono essere utili. Oppure no.
Primo. Azzera le convinzioni con cui sei cresciuto. Pensa a tutti i mestieri che fin da piccolo hai imparato a conoscere. Ecco, adesso escludili tutti e inizia a guardare come funzionano le cose quando funzionano. Prima di una qualifica professionale tu sei una persona e il tuo modo di vedere il mondo è ciò che può portarti dove vuoi.
Secondo. Sii curioso, avidamente curioso: soprattutto viaggia, conosci, impara ad ascoltare, a stare in mezzo agli altri. Impara a comunicare con le lingue, tante lingue non una sola oltre all’italiano. Rifiuta le banalità, i luoghi comuni, le cazzate che affollano il quotidiano di adulti e piccini. Non farti risucchiare da quegli atteggiamenti emotivi stupidi che scimmiottiamo dalla televisione. Se vuoi avere una coscienza politica rifuggi le ideologie e le ricette pre-confezionate.
Terzo. Regalati il privilegio di essere colto: studia tutto quello che puoi, fin da quando la ragione ti sorregge. E anche da adulto. Leopardi, Manzoni, la fisica quantistica, la matematica, la rivoluzione francese, l’illuminismo, il medioevo, gli atomi e le molecole. Leggi e domanda dentro e fuori dai libri. Perché in un mondo di ignoranti i colti viaggiano più velocemente. Non i noiosi, boriosi o pieni di sé. I colti.
Quarto. Entra in relazione con tante persone: fai volontariato, impegnati per una società più giusta. Sii generoso pur senza averne motivo. Le relazioni che costruisci sono un patrimonio che ti porti dietro sempre. Rifiuta sempre le verità pre-costituite e smonta tutti i luoghi comuni che i media e i vecchi ti inculcano in testa.
Quinto. Non escludere mai niente: neppure la più infima fra le occasioni di lavoro è da rifiutare a priori. La dignità non si vede da quello che si fa, ma da come si sta nelle situazioni della vita e di lavoro. Ma non rassegnarti mai, cerca di crescere sempre e di trovare occasioni migliori.
Sesto. Cerca un lavoro, non solo un reddito. Entra nel sistema di pensiero che il lavoro dipendente è un privilegio, si può raggiungere e quando si raggiunge non è “la sistemazione”, ma una della tappe della vita. Ma è probabile che non lo raggiungerai mai, allora insegui quello che ami fare, che sia in Italia o altrove. Se vuoi lavorare nel non profit non pensare che sia una sorta di parastato né che sia popolato da eroi del bene che rendono tutto utile e piacevole. Il non profit come il profit e il pubblico è fatto di organizzazioni guidate da persone. Meritevoli o meno che siano. Se hai un’idea o un sogno non lasciare che i non più giovani te la distruggano: poverini, pensano di vivere nello stesso mondo di 30 anni fa.
Settimo. Non buttarti mai dove ti dicono che conviene. Non esistono settori dove è più facile trovare lavoro di altri. Certo, l’economia va studiata e interpretata, ma buttarsi a pesce in una cosa che non piace solo perché “lì c’è lavoro” è sbagliato. Meglio allora fare tante esperienze.
Ottavo. Non rinunciare mai alla tua dignità di persona. In quasi tutti i posti di lavoro il merito non è il criterio secondo cui si orientano le attività e le gerarchie. In quasi tutti i posti di lavoro si potrebbe fare meglio. In quasi tutti i posti di lavoro ci sono persone che valgono e persone che valgono meno da tutti i punti di vista. Ma il rispetto viene prima di tutto, esigilo e ti sarà riconosciuto. E non farla troppo lunga: un collega o un capo antipatico non sono la fine del mondo.
Nono. Impara ad essere imprenditivo. Una delle convinzioni sbagliate che molti giovani hanno oggi è che aprire un’impresa sia impossibile. Certo in Italia lo è quasi, ma si può stare nel mondo del lavoro con la voglia di avviare progetti, non necessariamente imprese, e collaborazioni sulla base di idee innovative. Puoi avviare una brillante startup oppure fare cose nuove in un contesto difficile, quello che conta è crescere sempre.
Decimo. Usa tutti i talenti che hai. Riconoscili, coltivali, mettili in connessione con gli altri. Non monetizzarli volgarmente, ma valorizzali sempre. Pensa che quella di oggi sarà una giornata utile per imparare tante cose che domani ti porterai con te.
E quando hai voglia di cambiare fallo. Ma non per contrarietà, bensì per volontà. Buona fortuna e buona vita.
p.s.: sono solo dieci fra i mille possibili. Se ne hai altri commentali qua sotto.
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