Cultura
Dieci anni senza don Gallo, prete dell’inclusione
Dal G8 al Gay Pride, da Grillo a don Ciotti: ritratto di un sacerdote scomodo, amatissimo dagli ultimi con i quali viveva e per i quali lottava
Borsalino scuro in testa, sciarpa rossa al collo e sigaro all'angolo della bocca. Non sembrava neanche un prete, don Andrea Gallo (Genova, 18 luglio 1928 – 22 maggio 2013).
Eppure, dell'etimologia della parola "prete" – dal latino presbiter, che significa "più anziano" – egli conservava l'essenza. Gallo, il giovane partigiano della Resistenza, il missionario salesiano in Brasile, il sacerdote comunista, l'amico degli ultimi possedeva la saggezza del vecchio curato e lo sguardo lungo di chi riesce a vedere Oltre. Don Gallo aveva scelto Gesù, come disse in una intervista, e il suo esempio era stato l'unico vero motore trainante del suo cammino sacerdotale. La Comunità San Benedetto al Porto di Genova, la sua casa, il suo rifugio, il suo campo di battaglia, accoglieva (e accoglie) anime perdute in cerca di serenità.
Bella ciao in chiesa
Ragazzi difficili, tossicodipendenti, prostitute trovavano rifugio tra le braccia di quel prete che cantava Bella ciao nella casa del Signore. Quel prete che era amico di De André e Paoli, e utilizzava le loro canzoni per tramandare il Verbo. «I miei vangeli non sono quattro… Noi seguiamo da anni e anni il vangelo secondo Fabrizio De André, un cammino cioè in direzione ostinata e contraria. E possiamo confermarlo, constatarlo: dai diamanti non nasce niente, dal letame sbocciano i fiori». Quel prete che marciava in testa ai cortei contro la guerra in Iraq, chiedendo la Pace e sventolando la bandiera arcobaleno, la stessa in cui fu avvolta la sua bara nel giorno dei funerali. Quel prete che c’era sempre, per tutti. «La vera cultura che cresce è un costume di vivere che parte soprattutto dall’accoglienza». «Non extra omnes, fuori tutti, ma dentro tutti, dentro i gay, dentro i divorziati, ecc.», è una sua frase famosa, che don Luigi Ciotti, presidente di Libera, ha ricordato davanti al suo feretro, il 25 maggio 2013.
Don Gallo era un sacerdote inclusivo. Presenziò al Gay Pride di Genova nel 2009 e partecipò anche al convegno “Diritti non detti dei transgender” a Palazzo Ducale, sempre a Genova, nel 2010, sottolineando come dovesse essere per prima la Chiesa, in funzione di quell’appartenenza a «un’unica famiglia umana», a riconoscere «il primato della coscienza personale», la cui centralità era stata già appurata ai tempi del Concilio Vaticano II. C’era sempre anche per i lavoratori, che aiutava, supportava e sosteneva nella lotta quotidiana alla dignità e al salario giusto, anche se non era il “sacrosanto” 1° maggio, e non c’erano bandiere rosse da esporre in piazza. «Il potere sa che se tiene l’oppresso e il povero nell’ignoranza avrà gioco facile», per questo l’informazione giusta, la competenza professionale, l’istruzione, la forza della legge possono fare molto. E ai giovani, lavoratori di domani, un solo consiglio: «studiate e agitatevi». E quel prete c’era sempre, ovunque. Anche tra i sostenitori del Vaffa2-Day di Beppe Grillo, nel 2008.
Quel giorno in Piazza Alimonda
«Noi crediamo di decidere, mentre invece fanno decidere gli altri, per questo ho aderito», rispose a un intervistatore prima di firmare il referendum per “Libera informazione in libero Stato”. E c’era anche nelle numerose commemorazioni del G8 tenutosi nella sua Genova nel 2001, dove pacifici cortei che manifestavano idee, diritti e sogni facendo da contraltare ai Grandi della terra riuniti in assemblea si trasformarono in fiumi di sangue e violenza. Il 20 luglio 2011, nel decimo anniversario della morte di Carlo Giuliani (il manifestante del Movimento no-global ucciso da un carabiniere), in piazza Alimonda, Don Gallo gridò a gran voce come fosse viva la memoria di quel ragazzo che continua a chiedere misericordia accanto a chi «vuole la giustizia, vuole la pace, vuole la verità». E in quella stessa piazza, don Gallo ha chiesto più e più volte che si facesse luce su quei tragici giorni di luglio, che fossero identificati i colpevoli e le relative responsabilità. Perché quel prete, le sue responsabilità, se le assumeva sempre, tutte. Anche quando, per mostrarsi a favore della liberalizzazione delle droghe leggere e contro la “Legge Fini”, nel 2006, fumò uno spinello a Palazzo Tursi, sede del Comune di Genova, per poi aggiungere con la sua solita ironia «accetto questo come una provocazione, perché in realtà non posso staccarmi dal mio toscano che purtroppo non ha effetti positivi mentre la marijuana sì».
Un uomo, prima che un prelato, in grado di abbracciare la sua missione come una croce, da portare in spalla contro tutto e contro tutti, lasciandosi guidare soltanto dalla propria coscienza e rimettendosi sempre al solo giudizio divino. Un prete che aveva fatto dell’abito talare il mantello di un supereroe. Il salvatore (con la "s" minuscola) di tutti coloro che avevano perso la strada ma che in qualunque momento avrebbero potuto ritrovarla. Perché nessuno nasce perduto, ci si perde. Anche don Andrea Gallo, in alcuni momenti, si sentiva perduto. Quando le sue azioni provocavano soltanto polveroni senza essere motivo di cambiamento. Quando la Chiesa “ortodossa” storceva il naso di fronte alla sua difformità alla morale comune (per un ministro di Dio). Quando non riusciva fino in fondo ad aiutare i suoi ragazzi. Ma non aveva mai paura, perché sapeva che una soluzione si può sempre trovare. Riguadagnando quel sentiero tracciato da Dio, che lascia liberi anche di sbagliare, regalando la certezza del perdono.
«Camminiamo con i piedi per terra, e con gli occhi rivolti al cielo», sosteneva don Gallo come unica possibilità per percorrere il cammino dell’esistenza. Tra cielo e terra, tra sacro e profano, anche la sua esistenza si concluse, dieci anni fa, intorno alle 18, nella sua Comunità, fra la sua gente. «Il posto di un prete è fra la gente», amava ripetere. E proprio lì, fra la sua gente, don Andrea Gallo continua a combattere.
Nella foto di Isabella Balena per Agenzia Sintesi, don Gallo alla manifestazione contro l'allargamento della base militare di Dal Molin nel Vicentino, nel 2007.
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