Formazione
Didattica a distanza, la scuola dell’assenza
Questa forzata distanza da aule, corridoi e cattedre ha rinnovato la certezza che il sapere si costruisce sulla relazione, un fatto prima di tutto fisico di presenza e sguardo. Un insegnante fa il bilancio di questi mesi di video scuola
“Il silenzio delle strade una sera dei primi di marzo nella città di Milano. Raccontiamolo anche come qualcosa che ha smorzato le nostre classi e magari attivato, alle dieci dell’indomani mattina, espressioni malinconiche e mai viste sui volti, neanche troppo assonnati, dei miei studenti delle medie in videochiamata.”
Un appunto di poco più di due mesi fa per iniziare a parlare della scuola ai tempi del Covid-19, adesso che forse sono più vicino a… imparare! Sono passati oltre sessanta giorni da quando cominciavo ad assegnare esercizi escludendo dalla consegna precostituita "insieme a un compagno", ogni volta realizzando quanto difficile dovesse essere per i ragazzi il drastico venir meno della socialità. Poi, con la repentinità incontrollabile che a quasi tutti sta capitando di diagnosticare a questo strano periodo, il clima d’interazione e partecipazione alternative, che si sono create giocoforza in videochiamata, è diventato più urgente, fin quasi a sostituirsi all’operazione tradizionale di correzione sistematica di un esercizio.
Adesso che la fase pandemica comincia per la scuola a sembrare così lunga da farci entrare in una specie di seconda stagione, di sera tardi avvedutamente abbiamo preso l’abitudine di silenziare anche le suonerie dei telefoni per non ricevere, ai tempi dell’insonnia già standardizzata, notifiche di recapito compiti, anche perché poi abbiamo dovuto scoprire che la consegna di un compito “in piattaforma” non ha gli stessi tempi reali di una mail: un esercizio inviato dal tuo alunno alle 18 può farti davvero trillare il telefono all’una di notte!
Adesso che tutto questo è un fatto, credo che da lavoratore e professionista consapevole, sia il caso di condividere senza esagerare qualche verità essenziale sul fare scuola in condizioni di extra-ordinarietà.
Si sono dissolti, sono stati rimossi come parole dalla lavagna gli aspetti intuitivi della comunicazione, nutrita di ironia e rapidità, anzi della rapidità dell’ironia, che rappresenta un bene insostituibile della presenza e del dialogo vero.
Il maleficio di questa forzata distanza da aule corridoi cattedre ha rinnovato, lapidaria, la certezza che il sapere si costruisce sulla relazione, un fatto prima di tutto fisico di presenza e sguardo, intonazioni e voci armonizzate in una familiarità che è e sarà sempre una buona abitudine nel tempo trascorso a scuola insieme.
Sta diventando paralizzante sentire echi e giochi di acronimi e nomi che non saranno mai sinonimi di scuola vera. I proclami sui possibili prodigi della D.A.D. (Didattica A Distanza, ovvero improbabili misture di piattaforme telematiche, come Edmodo e Classroom, e applicazioni, come Meet e Zoom), che arriverebbe quasi a incarnare la prospettiva futura del fare scuola, non potranno mai aggradare tutti. Si tratta infatti di percorsi possibili tutt’al più come efficace complemento dell’istruzione ultima, universitaria.
Le didattiche alternative, non m’annoio a ribadire, comprendono strumenti utili solo nella straordinarietà di questa pandemia, ma non potranno da oggi comiciare a tracciare la strada di una professione che è costituzionalmente fondata sulla relazione.
Questo surrogato temporaneo presto diventerà il passato prossimo, digressione forzata e parentesi che ha fatto di un’intera categoria professionale, la classe docente, un plotone impazzito di autodidatti delle piattaforme digitali, sulle quali mai, prima dei primi giorni del marzo 2020, alcuna direttiva ministeriale li aveva, con un criterio metodico e istituzionale, adeguatamente eruditi.
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