Cultura
Diciamo la nostra, sin dal primo mattone
Un ruolo sempre più strategico per la cooperazione sociale
di Luca Zanfei
L’apporto del privato sociale non sarà più ex post. Ma
sarà decisivo sin dalla fase di ideazione e di progettazione. Per intercettare bisogni e conflitti Le esperienze di social housing per ora non sono molte. Una di quelle in stato più avanzato è quella di Parma. L’hanno ribattezzata Parma Social House e prevede la realizzazione di 1.050 alloggi per un costo complessivo di 132 milioni di euro. Il regolamento delfondo Investimenti per l’abitare, promosso da Cdp Investimenti Sgr, la società di gestione guidata da Matteo del Fante e partecipata da Cassa depositi e prestiti (70%) con Abi e Acri (15% ciascuna), è stato approvato da Bankitalia a marzo. Tra breve inizieranno i cantieri. E la cooperazione sociale sarà chiamata ad avere un ruolo importante, come spiega Giordana Ferri responsabile dei progetti per la Fondazione Housing sociale. «Il progetto che oggi è nella fase esecutiva mette insieme finanziamenti pubblici e privati, con il Comune che coordina, fissa i criteri e dà indicazioni di massima per la definizione degli interventi. Per quanto riguarda l’aspetto sociale sarà fondamentale l’apporto della cooperazione sociale nelle fasi di ideazione, progettazione ed esecuzione dei servizi».
Ed è proprio dal dialogo tra queste due tipologie di cooperazione che nascono i progetti più interessanti, spesso condotti indipendentemente dal coordinamento degli enti locali. È il caso dei 1.900 alloggi nel quartiere di Niguarda a Milano, costruiti e gestiti in collaborazione tra la cooperativa Società Edificatrice Niguarda, cooperative sociali e altre realtà non profit. Oggi i soci di Niguarda possono contare su servizi di assistenza integrati, supporto legale e psicologico e persino offerte culturali garantite dalle attività di un teatro costruito dalla stessa cooperativa.
«Abbiamo capito prima degli altri che i progetti di housing sociale devono seguire un percorso impostato sulle esigenze delle famiglie», spiega il presidente dell’Edificatrice Niguarda, Giovanni Poletti. «Si inizia con un’attenta analisi preventiva del contesto sociale e delle caratteristiche di ciascuna famiglia, si prosegue con il coinvolgimento dei futuri abitanti nella progettazione dei servizi e delle infrastrutture e solo dopo si inizia a costruire. In questo modo si assicura stabilità al piano di housing, perché si riescono ad evitare ghetti e conflitti sociali». Stabilità che passa anche nella responsabilizzazione di tutti i soggetti coinvolti. «La presenza della cooperazione in progetti di housing sposta l’accento su un diverso modi di intendere l’impresa immobiliare», spiega il presidente di Labirinto, Gianfranco Alleruzzo. «Gli stessi costruttori privati devono capire che si può guadagnare di meno, puntando sul valore sociale dell’intervento. Così, prestando attenzione ai materiali e alle nuove tecnologie anche energetiche, si evitano futuri costi di manutenzione altissimi e si garantisce un ciclo di vita più lungo agli immobili. E non si può prescindere dal coinvolgimento degli abitanti che devono capire l’importanza della coprogettazione dei servizi».
Con questo spirito Labirinto e altre cooperative di abitanti sono riuscite a ideare un piano per oltre 200 alloggi in cinque quartieri di Pesaro, puntando sull’offerta di servizi di base, garantiti grazie ad un sistema informatico a rete, e interventi più specifici come case di riposo e appartamenti assistiti. Tutto nell’ottica del fare comunità. Ad oggi, però, esperienze così innovative si contano sulle dita di una mano, anche perché «finora è stato difficile superare i diversi ostacoli identitari che frenano il dialogo sistematico tra soggetti cooperativi», spiega Felice Romeo, presidente dell’impresa sociale Sotto il Tetto specializzata in progetti di autocostruzione. «La cooperazione sociale interviene ex post e quasi mai in fase di pianificazione dell’intervento edilizio. La vera innovazione sta nel creare a livello locale veri e propri tavoli con la partecipazione di tutti i soggetti coinvolti. Solo così si potrebbero valorizzare tutti i tipi di interventi, dal co-housing all’autocostruzione, fino al recupero degli edifici e delle zone dismesse».
E proprio in quest’ottica si potrebbero muovere le fondazioni. «Finora», spiega Giordana Ferri, «le fondazioni si sono limitate ad erogare denaro, oggi invece si è capito che si può investire e quindi provare a coordinare gli stessi progetti. D’altronde chi più delle fondazioni ha la sensibilità per capire l’aspetto sociale degli interventi?».
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