Cultura

Dibattito: le ong al bivio

Vincenzo Pira (Movimondo) apre la discussione: "la cooperazione è in crisi, servono una legge, maggiori risorse e un'Agenzia operativa

di Stefano Arduini

Cooperazione internazionale dell?Italia : prospettive future (di Vincenzo Pira- Movimondo) La cooperazione internazionale per un paese come l?Italia non può essere una moda che viene messa nell?agenda politica a secondo delle convenienze del momento. Purtroppo non è mai stata tra le priorità della politica estera anche se ogni tanto, soprattutto durante i vertici internazionali, si fanno promesse di rilancio e di maggior impegno per ridurre il divario esistente tra mondi ricchi e poveri del pianeta. La cooperazione italiana è in crisi e va rinnovata e rilanciata. Durante la scorsa legislatura si è dibattuto per anni in parlamento la possibilità di approvare una nuova legge. Il Senato ne aveva approvata una versione che però l?altro ramo del Parlamento non ha approvato prima della fine della Legislatura. Solo oggi, dopo due anni della nuova Legislatura, si riprende a parlare di una nuova proposta. Quasi tutti sono d?accordo che dopo 16 anni ciò è necessario. La legge n°. 49 del 1987, come più volte affermato nel dibattito parlamentare della scorsa legislatura, non è stata mai applicata pienamente. Molte delle sue norme sono state sostanzialmente disattese o interpretate con forti distorsioni. L?Unità Tecnica Centrale non è stata mai messa in condizione di operare con efficacia (personale insufficiente e orientato più a svolgere adempimenti burocratici che a raggiungere gli obiettivi prefissati). Il divieto di ricorso alla trattativa privata (salvo eccezioni come previsto nell?art. 15) è divenuto la regola del 90 per cento dei casi. Non vi è stata traccia di programmi paese né si è tenuto conto di priorità geografiche se non per brevi periodi. Per un malinteso senso dell?efficienza si sono aboliti tutti i comitati consultivi dei soggetti della cooperazione. Non si è ottenuta una maggior efficacia ma si è cancellata la democrazia. Per cancellare le distorsioni si è di fatto abolita la parte di cooperazione bilaterale, diminuendo così anche la possibilità di capire, influire e indirizzare quella multilaterale. Con l?acqua sporca si è buttato anche il bambino. Dal punto di vista quantitativo, le risorse disponibili per l’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS) italiano sono progressivamente diminuite da 4.122 (1992) a 1.376 milioni di dollari (2000), ovvero dallo 0,34% al 0,13% del Prodotto Interno Lordo (PIL) ben distanti dallo 0,7 % assunto come percentuale a livello OCSE. Di queste oltre il 65 % è gestito a livello multilaterale. Nuove proposte in discussione Sono già una decina le nuove proposte presentate o in fase di presentazione. Troppe! Si ricomincia sempre da zero quasi che anni di discussione non siano serviti a fare passi avanti. É importante riaprire il dibattito per dare al tema l?importanza che merita anche se oggi non sembra esistano le condizioni per avviare un iter parlamentare di approvazione di una nuova proposta superando le divisioni e carenze che hanno portato al fallimento del processo nella scorsa legislatura. Se manca una adeguata attenzione politica al tema e non se ne recepisce l?importanza prioritaria è meglio non imbarcarsi in un nuovo processo che porterà allo stesso risultato ottenuto nella precedente legislatura. Il tema non deve restare materia di discussione per pochi specialisti ma deve essere proposto come rilevante al movimento del forum sociale e alle istanze di base dei partiti, sindacati, associazioni, ecc. Questo si è tentato di fare realizzando appositi seminari negli ultimi due anni a Porto Alegre, a Firenze e che continueranno anche a ottobre nella Perugia ? Assisi e nel Forum Sociale Europeo di Saint Denis di novembre 2003. Il primo passo di questo nuovo iter è di costruire una posizione comune e condivisa, frutto di analisi e di una maggior istruzione del tema, coinvolgendo il maggior numero di forze politiche su un cammino unitario, e recuperare una alta posizione istituzionale e ?super partes?. Il dibattito fatto nella precedente legislatura deve essere la base di partenza per non disperdere un lungo e fruttuoso lavoro e per non ignorare i nodi e le diversità di opinione che hanno poi portato alla lunga discussione e, alla fine, alla non approvazione della proposta di legge. Obiettivi generali della cooperazione Occorre essere i più precisi e definiti possibili nel legare con unicità la cooperazione ai temi di lotta alla povertà e globalizzazione dei diritti umani. Nel Vertice del Millennio convocato dalle Nazioni Unite, nel mese di settembre del 2000, i capi di stato e di governo di tutto il mondo hanno assunto i seguenti impegni : Ridurre del 50 %, entro il 2015, il numero di persone che vivono in condizioni di estrema povertà (cioè con meno di 1 dollaro USA al giorno). Garantire la frequenza della scuola primaria da parte del 100 % dei bambini entro il 2015. Garantire la pari partecipazione delle bambine all?educazione primaria e secondaria entro il 2005. Ridurre di due terzi, entro il 2015, della mortalità infantile e materna. Ridurre del 50 %, entro il 2015, la diffusione dell?AIDS, della malaria e delle altre malattie infettive. Adottare, entro il 2005, una strategia in ogni paese per lo sviluppo sostenibile, per ribaltare, entro il 2015, la tendenza alla perdita di risorse ambientali. Promuovere lo sviluppo di una partnership globale per il progresso tra i paesi donatori e i beneficiari attraverso un sistema finanziario di scambi commerciali aperto e non discriminatorio. È importante che, nel quadro di una strategia di lungo periodo, vengano individuati dei parametri e posti degli obiettivi intermedi rispetto all?orizzonte del 2015. Richiedere pertanto che le attività di cooperazione considerino i seguenti punti: L?incremento degli stanziamenti per i servizi sociali di base: iniziative globali a vantaggio della salute e dell?istruzione di base. Portare a termine l?iniziativa 20:20 (destinare tale percentuale delle risorse della cooperazione e dei bilanci degli stati terzi a progetti sociali e di lotta alla povertà), proposta per la prima volta nel Rapporto sullo Sviluppo Umano del 1992 e ripreso dal Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sociale nel 1995 a Copenhagen. Promuovere attività di cooperazione finalizzata alla crescita economica legata alla ridistribuzione in favore dei più poveri. Creare dei meccanismi volti a garantire una più equa ripartizione delle risorse a favore dei Paesi poveri, cominciando dall?istituzione della cosiddetta ?Tobin Tax? (una tassa sulle transazioni finanziarie). Creare opportunità di lavoro che garantiscano libertà, giustizia, sicurezza e dignità umana; un lavoro dignitoso per gli uomini e per le donne, estendendo la protezione sociale e promuovendo il dialogo, incoraggiando investimenti produttivi, lottando contro il lavoro forzato, contro lo sfruttamento del lavoro minorile, contro la discriminazione sul lavoro. Assicurare coerenza, coordinamento e coesione: la lotta alla povertà richiede politiche di sviluppo coerenti da parte di tutti i governi. Le aree di maggior interesse politico nelle quali si deve operare per la riduzione della povertà sono: la cancellazione del debito, il commercio, gli investimenti, l?agricoltura, l?ambiente, le migrazioni, la ricerca scientifica, la sicurezza e le armi. È importante essersi dati degli obiettivi specifici; a niente serve ciò se non vengono monitorati e se non si investono risorse sufficienti per raggiungerli. Vi è poi la carenza di considerare solo aspetti quantitativi del problema. Basta che in Cina e India si mantengano i progressi degli ultimi anni e forse questi obiettivi a livello quantitativo saranno raggiunti. Resterà il problema dell?Africa, del Sud est asiatico o di altre parti del mondo dove milioni di persone saranno ancora esclusi dai diritti umani fondamentali. È limitato definire la povertà unicamente considerando unicamente la quantità di reddito o la sua mancanza. Occorre considerare la povertà come privazione delle capacità fondamentali e non solo in termini di assenza di reddito. Utilizzando tale criterio se la popolazione di un determinato paese è più sana e ha la possibilità di accedere a migliori servizi pubblici, a una migliore educazione senza discriminazioni, questo paese ottiene migliori risultati nella lotta alla povertà. L?efficacia degli strumenti e delle strategie nella lotta contro la povertà non è strettamente legata alla crescita del PIL ma dipende da una miglior distribuzione delle ricchezze. È provato che un maggior investimento nella promozione di posti di lavoro stabili, nella formazione delle risorse umane, nell?aumento degli investimenti nei settori dell?educazione e della sanità sono altamente efficaci nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sociale e di lotta alla povertà. Per quanto riguarda l?impianto istituzionale di una nuova legge è significativo continuare a difendere la distinzione delle tre diverse funzioni: 1. Politica – svolta dal Ministero degli Esteri 2. Indirizzo e controllo di questo ? svolta dal Parlamento 3. Gestione ? monitoraggio e valutazione tecnica ? svolta da una Agenzia operativa I problemi nascono nel definire come tali funzioni devono essere concretizzate e come devono interagire tra loro con equilibrio, rispetto delle diverse attribuzioni e efficienza. É importante continuare a difendere il principio che la cooperazione è parte integrante della politica estera italiana. Parte integrante non significa strumento. Vuol dire difendere un ruolo importante degli attori di cooperazione nel pretendere coerenza tra la solidarietà e le altre scelte politiche. Significa non ridursi a un ruolo marginale fatto di elemosine che non incidono sulle cause. Purtroppo alcune ong e associazioni difendono una posizione contro lo stato e contro le istituzioni rifiutando un ruolo attivo per far si che tali entità svolgano un ruolo più coerente con le richieste della ?società civile?. Si rischia di accontentarsi delle briciole e di non incidere sulle scelte che contano. Di ?andare a giocare in giardino per non disturbare i manovratori che stanno in salotto?. Il Parlamento deve svolgere la funzione di indirizzo e di controllo con efficacia. Come? È questo uno dei punti più controversi e anche polemicamente discussi nella scorsa legislatura. Alcuni parlamentari hanno proposto l?esistenza di una Commissione bicamerale permanente di vigilanza sulla cooperazione. Dalle esperienze di tanti parlamentari che ho sentito su questo si sottolinea la difficoltà di far funzionare le commissioni parlamentari. Poco tempo, troppe cose da seguire, poche mezzi, supporti inadeguati. Se viene meno un funzionamento pieno di questa funzione si perde la dimensione fondamentale di indirizzo e controllo che renda politica di cooperazione, nel più vasto ambito di quella estera, qualcosa di coerente con le indicazioni del mandato democratico di parlamentari. O si danno le condizioni per far funzionare bene le attività di indirizzo e controllo oppure viene meno un pilastro fondamentale e tutto l?edificio rischia di crollare. È meglio prevedere l?istituzione di una Commissione speciale per la cooperazione con parlamentari che si occupino nella loro attività, prioritariamente, di questo settore. L?altro punto rilevante di tutta la proposta ? il più difficile, controverso e discusso ? è la nascita dell?Agenzia per la funzione di gestione. Su questo punto è importante fare una ulteriore e pubblica istruzione per definire ogni minimo aspetto di identità, funzionamento e inter – relazione con le altre entità citate nella proposta di legge. Affermazioni generiche tipo ?la programmazione deve farla il Ministero degli Esteri mentre all?Agenzia spettano compiti gestionali? non sono sufficienti a chiarire compiti, funzioni, gerarchia nel funzionamento concreto del processo. Forse per far approvare tale proposta di legge è necessario contemporaneamente elaborare il suo regolamento applicativo per fugare dubbi e trovare consenso per come applicare le norme generali. Buona parte del successo delle scelte si dovrà, infatti, a una buona applicazione e a un coerente completamento che riguardi metodi e procedure di funzionamento di ogni organo e della relazione fra gli stessi. Qualcuno ha proposto che l?Agenzia sia uno strumento operativo da ancorare ad organismi decisionali della struttura del Ministero degli Esteri. Cioè una agenzia autonoma di gestione interna e dipendente dalle linee politiche del MAAEE. È questo uno dei punti che Forza Italia e Alleanza Nazionale ritenevano decisivi per poter approvare la proposta. Chi gestisce fa politica. Chi ha la responsabilità e una certa discrezionalità nell?uso delle risorse condiziona pesantemente le scelte politiche focalizzando più alcuni aspetti su altri. Occorre predisporre le cose per evitare che si crei un doppio binario tra la diplomazia tradizionale nei territori di competenza e l?azione dell?Agenzia che opera per la cooperazione amministrando milioni di Euro e gestendo rapporti che sono sempre anche politici e diplomatici. Importante l?elaborazione programmatica e la definizione delle metodologie di lavoro. Su questo occorre fare chiarezza prima della costituzione dell?Agenzia. Occorre definire come incidere a livello comunitario affinché vi sia un reale coordinamento delle attività evitando di tornare a delegare tale materia agli stati nazionali. Condividere a livello multilaterale progettualità per il raggiungimento degli obiettivi generali condivisi. Come rilevato in un documento del Forum Solint (rete di Ong composta da MOVIMONDO, Cisp, Coopi, Cosv e Intersos) ?la semplificazione delle procedure rappresenta sicuramente una questione di portanza prioritaria. Sono diversi anni, ormai, che la lentezza e la scarsa trasparenza delle procedure in vigore rappresentano il principale ostacolo che la DGCS deve affrontare per poter sviluppare un?azione più efficace e coerente. I tempi, spesso lunghissimi, che intercorrono tra le diverse fasi delle istruttorie dei progetti rendono molto difficoltoso realizzare in modo credibile i progetti promossi e quelli affidati e praticamente impossibile utilizzare lo strumento degli aiuti di emergenza nell’ambito della cooperazione bilaterale. Di fronte a questa grave situazione non è sufficiente invocare l’approvazione di una nuova legge. Indipendentemente dalla sua approvazione, occorre confrontarsi da subito con le problematiche sottese all?identificazione di modalità e strumenti compatibili con i tempi e le caratteristiche operative della cooperazione internazionale. La stessa scarsità delle risorse umane costituisce un motivo in più per “ridisegnare” un sistema di procedure in grado di funzionare a partire dalla condizioni date. Un secondo tema, strettamente collegato con quello anteriore, riguarda l’adozione di nuovi strumenti operativi capaci di riattivare in modo sostanziale la nostra cooperazione bilaterale e di rendere più agile l’utilizzazione del canale multibilaterale. In proposito, si propongono di seguito alcune ipotesi di lavoro: per quanto relativo alle azioni umanitarie, riteniamo che lo strumento del Contratto Quadro, da tempo adottato dallo European Union Humanitarian Aid Office (ECHO) della Commissione Europea (CE) rappresenti una valida alternativa all?istruzione di specifiche convenzioni ad hoc per ogni singolo progetto, che – di fatto – si è dimostrata incompatibile con i tempi estremamente brevi, propri dell’emergenza; in proposito, riteniamo inoltre necessario dare maggiore enfasi all?identificazione di strategie per la prevenzione delle crisi umanitarie e all?attivazione di strumenti, finanziari e procedurali, specificamente dedicati a tale importante ambito operativo? (da ?Analisi e proposte per una nuova partnership tra istituzioni e società civile e per la riforma della cooperazione allo sviluppo dell?Italia ? a cura di Carlo Tassara** (CISP) sulla base di riflessioni formulate dalle ONG di Forum Solint) La questione della quantità delle risorse è un altro tema di vitale importanza. Occorre raggiungere, gradualmente, l?obiettivo di destinare lo 0.7% del PIL alla cooperazione internazionale. A Monterrey si è parlato di un passo intermedio dello 0,39 % del PIL da raggiungere a livello europeo nei prossimi tre anni. Bisogna legare tale impegno a livello dell?Unione e essere realisti considerando non solo il richiamo ai principi e agli impegni presi in passato ma anche ai reali vincoli di politica finanziaria e di possibilità reale di copertura. È riduttivo affermare che la cooperazione decentrata sia quella che realizzano gli enti locali. ´E qualcosa di più importante e pretenzioso. Significa si il promuovere un reale decentramento di funzioni da uno Stato centralista a realtà locali dove la partecipazione e il coinvolgimento dei differenti attori sia più efficace. Ma questo nuovo orientamento si basa su alcuni punti fondamentali e innovativi : Riconoscere la molteplicità degli attori nel settore della cooperazione allo sviluppo : pubblici, privati, locali, nazionali e internazionali; Il dialogo, la concertazione e la ricerca di obiettivi comuni tra questi differenti attori; La più ampia partecipazione diretta come finalità e metodologia operativa; L?appoggio allo sviluppo istituzionale e la formazione di questi attori; La gestione locale e decentralizzata degli interventi; Il vincolo e interazione definita tra il locale e il globale; Il passaggio da una visione di sviluppo meramente quantitativo (l?aumento delle ricchezze porterà benessere a tutti) a una visione qualitativa (rispetto dei diritti umani e sviluppo sostenibile). Questa visione porta a un impegno di revisione dei nostri modelli di vita; a impostare il lavoro di solidarietà con un radicamento locale ma con una visione globale. Per quanto riguarda il ruolo delle ONG e dei volontari e cooperanti : Occorre che il Parlamento, il MAAEE e l?Agenzia riconoscano nelle ONG dei partner, soggetti politici di cooperazione, e non dei meri esecutori di attività progettuali. In tal senso la legge di riforma deve essere uno strumento non solo per la promozione del non governativo ma anche della sua progressiva qualificazione, come attore di sviluppo, in chiave europea, che dunque consenta agli operatori di non presentarsi, al confronto con le altre Ong europee, come una massa disomogenea e scarsamente professionalizzata ma come rappresentanti del sistema Italia. Si è richiesto che l’Elenco delle ONG sia istituito presso il Ministero degli Esteri e non nell?Agenzia per marcare il rapporto politico tra società civile ed istituzione. La proposta di riforma pone l’elenco presso l’Agenzia e ne riduce così il ruolo a strumento burocratico di eleggibilità al finanziamento delineando cosi il ruolo del non governativo come mero esecutore, derubricandolo quindi dal novero degli interlocutori politici. Crediamo pure che, all’interno dell’Elenco, debbano essere ulteriormente chiariti i requisiti di eleggibilità puntando su criteri di promozione e verifica della professionalità raggiunta e dell’esperienza maturata nel campo specifico. Nei riguardi di volontari e cooperanti, prendere in maggiore considerazione la prospettiva di gran lunga prevalente nella maggior parte dei paesi europei che, tenuto conto dei nuovi strumenti e delle diversificate modalità di tutela e riconoscimento preveda annualmente risorse sufficienti per i costi di impiego ampliando la possibilità di accesso a tale ruolo alla maggior parte possibile di persone che vogliono fare tale esperienza.


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