Formazione

Diario di un’insegnante delle medie

Il suicidio? i miei ragazzi ci pensano.

di Redazione

11 gennaio 2005. Come tutti i martedì, la classe è invasa dalle copie di Repubblica (abbiamo aderito al progetto lanciato da questo quotidiano). I ragazzi lo sfogliano blandamente interessati ma poi mi chiedono: «Prof, possiamo leggere questo articolo? Parla di un ragazzo della nostra età che si è suicidato». Annuisco perplessa. L?articolo è breve e piuttosto incolore. All?inizio la discussione sembra girare a vuoto, devo incalzare spesso i ragazzi che, da una parte fanno domande impossibili («Ma cosa ci sarà sotto? Ma perché non si è difeso quando la prof l?ha accusato?»), dall?altra sembrano quasi colpevolizzare il ragazzo: «Ma non ci si deve mai uccidere» e via di seguito. Improvvisamente interviene un ragazzo con un bruciante: «Anche a me è capitato di pensare al suicidio». A questo punto gli interventi si susseguono numerosi e cominciano tutti così: «Anch?io ho pensato alla stessa cosa qualche volta». Sono soprattutto i maschi a parlare e, cosa davvero insolita, parlano di sentimenti. Sostengono di essersi sentiti schiacciare da una montagna, di essersi sentiti cadere in un buco nero, usano insomma immagini molto eloquenti e drammatiche. Io all?inizio ho provato stupore, poi paura. Ma come, i ?miei? ragazzi, normalissimi ragazzi, amati ragazzi, coccolati, ben nutriti, i miei dolci ragazzi, i miei allegri, spiritosi e spensierati ragazzi pensano al suicidio? Ma non sono i ragazzi cosiddetti difficili, i drop-out, i disperati e gli abbandonati a pensarvi? No, evidentemente no. Poi lo stupore è diventato paura e insieme inadeguatezza: «Oddio, che cosa gli dico io adesso a questi qua?». Sentimenti molto forti davvero, ho fatto fatica a mantenere la posizione emotiva dell?ascolto perché avrei voluto stoppare, chiudere, finire quella discussione che, altrettanto evidentemente, metteva in crisi anche me. Mi sono fatta forza, in quel momento le mie responsabilità educative erano troppo forti perché potessi lasciare i ragazzi soli, almeno soli nella discussione, così ho proseguito. Ho chiesto loro perché e quando si sentivano preda di quei pensieri. Anche qui le risposte non si sono fatte attendere e ancora una volta hanno parlato soprattutto i maschi: «Ci penso quando mi sento troppo solo», «Ci penso quando mi sento schiacciare da tutto quello che mi capita», «Ci penso quando nessuno mi ascolta», «Ci penso quando i sentimenti cattivi si accumulano dentro di me e non se ne vogliono andare». Ho chiuso la discussione dopo oltre un?ora invitandoli a riflettere e indicando alcune semplici domande da farsi. Mi sono sentita inadeguata ma ho pensato che almeno avevamo provato a parlare di questo misterioso ?buco nero?. Sempre meglio di niente.

Un?insegnante milanese


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